Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 7 Maggio 2002: <<INCHIESTA.Le informazioni di garanzia riguardano dirigenti dell’Eni e dei Ministeri interessati. Estrazioni metano, otto indagati. Le ipotesi di reato ruotano attorno al "disastro doloso" per il progetto Alto Adriatico.>>

Otto informazioni di garanzie inviate a dirigenti dell'Eni, del Ministero dell'Industria e dell'Ambiente. È il clamoroso sviluppo dell'inchiesta della Procura della Repubblica di Rovigo sulle estrazioni di metano in Alto Adriatico, in considerazioni dei rischi di abbassamento del terreno e quindi una serie di danni irreparabili, con conseguenze nefaste sulla tenuta delle coste.

Le ipotesi di reato ruotano innanzitutto attorno all'articolo 434 del Codice Penale che punisce chi «commette un fatto diretto a cagionare disastro doloso se dal fatto deriva un pericolo per la pubblica incolumità». È un'ipotesi più lieve rispetto a quella prevista se il disastro avviene per davvero. Tuttavia sarebbero stati compiuti tutti gli atti idonei allo sfruttamento minerario, ovvero lo studio dei piani e l'ottenimento delle concessioni da parte dello Stato. Vi sarebbero però reati collaterali: tentata inondazione, danneggiamento e deturpamento di bellezze ambientali.

Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 7 Maggio 2002: <<Gas in Adriatico: Eni e Ministeri sotto inchiesta. La concessione della coltivazione situata a sud est di Scardovari ha fatto partire le indagini della Procura>>

Subsidenza, estrazione del gas metano nel delta del Po e in Adriatico, concessioni ministeriali all'Eni a seguito dell'ormai famoso decreto Ronchi, danni all'ambiente e alle coste, perfino l'ipotesi di disastro ambientale. Contiene davvero un cocktail di sospetti inquietanti, ipotesi di reato, interrogativi sull'impatto che può avere una delle più redditizie attività legate allo sfruttamento delle fonti di energia, l'inchiesta che il pubblico ministero Manuela Fasolato sta conducendo nel più asssoluto riserbo da oltre un anno. Solo adesso trapela la notizia clamorosa di otto informazioni di garanzie inviate a dirigenti dell'Eni, del Ministero dell'Industria e dell'Ambiente.

Il magistrato ha iscritto i loro nomi nel registro degli indagati assegnando contestualmente l'incarico di effettuare perizie ad alcuni esperti di geologia che devono rispondere al quesito più volte rimbalzato sulle bocche di politici, amministratori locali e ambientalisti: l'estrazione del gas metano può causare l'abbassamento del terreno e quindi una serie di danni irreparabili, con conseguenze nefaste sulla tenuta delle nostre coste e sulla solidità delle spiagge?

Le ipotesi di reato ruotano innanzitutto attorno all'articolo 434 del Codice Penale che punisce chi «commette un fatto diretto a cagionare disastro doloso» con una pena che va da un minimo di un anno fino ad un massimo di cinque anni di reclusione, se «dal fatto deriva un pericolo per la pubblica incolumità». È un'ipotesi più lieve rispetto a quella prevista se il disastro avviene per davvero, punita fino a 12 anni di reclusione.

I magistrati hanno optato per questo reato considerando che lo sfruttamento indicato nel capo d'accusa non è avvenuto. Tuttavia sarebbero stati compiuti tutti gli atti idonei allo sfruttamento minerario, ovvero lo studio dei piani e l'ottenimento delle concessioni da parte dello Stato. Vi sarebbero però anche altri reati collaterali, ovvero la tentata inondazione, il danneggiamento e il deturpamento di bellezze ambientali.

I nomi degli indagati sono coperti dal riserbo, ma è piuttosto facile pensare che abbiano raggiunto i piani alti dell'Eni, dove vengono prese non solo le decisioni operative, ma anche quelle strategiche, visto che lo sfruttamento del gas dell'Adriatico è un'attività importantissima per l'Ente. Oltre all'aspetto imprenditoriale, c'è quello ministeriale. Infatti, fu il ministero dell'Industria ad accordare nel novembre 2000 all'Eni la concessione di coltivazione di idrocarburi in un'area di oltre 400 chilometri quadrati che si trova a sud-est del Delta del fiume Po, a circa 20 chilometri dalla costa. Mentre fu il ministero dell'Ambiente ad occuparsi della valutazione di impatto ambientale.

L'indagine penale ha preso il via nel febbraio dello scorso anno, a seguito di alcuni interventi preoccupati sui giornali da parte di esperti e geologi. Nel febbraio 2001 il Pm Fasolato inviò i carabinieri ad acquisire documenti negli uffici della Provincia e dei Comuni del Basso Polesine. Ad aprile gli investigatori si recarono a Roma, negli uffici della direzione generale energie e risorse minerarie del ministero dell'Industria per acquisire la documentazione riguardante le concessioni di sfruttamento ventennale e che riguardava alcuni campi dando il via ai progetti per installare un paio di piattaforme.

Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 7 Maggio 2002: <<I NUMERI.Tre miliardi di metri cubi di gas recuperabili ogni anno>>

Un affare plurimiliardario che richiede investimenti per 671,394 milioni di euro. I numeri del "progetto offshore Alto Adriatico" sono davvero rilevanti. L'Eni stima riserve in loco per circa 28 miliardi di metri cubi di gas naturale e giudica recuperabile una portata di picco di circa tre miliardi di metri cubi di gas all'anno.

Ma altrettanto forte è l'opposizione delle popolazioni e degli enti locali per il timore di subsidenza.

Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 7 Maggio 2002: <<I RISCHI.Subsidenza causa di disastri Il timore che si ripetano i danni avvenuti negli anni Cinquanta nel Delta>>

La subsidenza è uno dei più grandi pericoli per zone fragili quali il Delta del Po, le lagune di Venezia e di Chioggia. Il fenomeno prodotto dallo sfruttamento dei giacimenti di gas metano, soprattutto nel basso Polesine, che ebbe inizio nel 1938 e fu sospeso nel 1961 in tutta la Provincia di Rovigo dal cosiddetto Decreto Togni. Il volume delle estrazioni era stato molto modesto fra il 1938 ed il 1950, ma nei sette anni successivi salì ai 230 milioni di mc/anno, raggiungendo i 300 milioni dal 1957 al 1961. Agli inizi il livello idrostatico dell'acqua dei giacimenti era di poco superiore al piano campagna. Nel 1961, quando furono sospese le estrazioni, il livello idrostatico dei giacimenti risultava inferiore di circa 40-50 m rispetto al piano campagna stesso.

Nel 1957, dopo gli abbassamenti avvertiti a vista e dopo la catastrofica alluvione dell'Isola della Donzella, si decise di controllare l'abbassamento del suolo del Delta e delle zone circostanti. I dati permisero di stabilire chiaramente nel Delta del Po la connessione di causa ed effetto tra le estrazione di acqua e gas dal sottosuolo e la subsidenza. La sospensione definitiva delle estrazioni stabilita nel 1961, ha determinato l'inizio della graduale estinzione del fenomeno, a parte la subsidenza naturale di circa 0,3 cm annuo. Le conseguenze sul territorio furono drammatiche, catastrofiche ed irreversibili. Il Delta è stato stravolto; le falde d'acqua risultarono sempre più salate, le strutture di bonifica e di irrigazione risultarono sconvolte, la giacitura media risultò irrimediabilmente sotto il livello del mare con punte di depressione di oltre 3 metri; le spiagge scomparse. Il Delta si presenta oggi come tanti profondi catini orlati da possenti dighe di terra, cioè dagli argini di difesa dalle acque del mare, dei fiumi e dei canali. Gli effetti nel territorio sono risultati analoghi a quelli che si accumulano in un'era geologica.

Il fenomeno di subsidenza è adesso in atto nel Ravennate, soprattutto per l'attuale effetto delle estrazioni di gas secco dai giacimenti esistenti a grande profondità a mare. L'abbassamento del centro storico di Ravenna e del litorale antistante il Ravennate risulta oggi di oltre 1,5 metri, mentre le istituzioni non si muovono. Anzi hanno dato di fatto via libera al progetto Alto Adriatico dell'Agip nelal fase di ricerca. Il 3 Dicembre 1999 il Ministero dell'Ambiente ha approvato, con certe prescrizioni, il Decreto legge "Progetto di sviluppo Alto Adriatico" che dà in pratica il via allo sfruttamento di 14 su 15 giacimenti nella striscia di mare compresa tra i paralleli passanti per le foci del Tagliamento e le foci del Po di Goro; davanti alla Laguna di Venezia ed al Delta del fiume Po. Inoltre il 6 Novembre 2000 il Ministero dell'Industria ha accordato all'Eni la concessione di coltivazione di idrocarburi nell'area di 400 Kmq circa ubicata in Mare Adriatico a sud-est del Delta del fiume Po ad una distanza media di 20 Km circa dalla costa.

Forte è stata l'opposizione dei tecnici, in particolare del prof. Mario Zambon che ha più volte evidenziato i danni prevedibili sul territorio prodotti dalle estrazioni (sia sulle coste per la modifica dei trasporti sabbiosi, sia con gli abbassamenti indotti dalle perforazioni), nonchè degli enti locali, Comuni, Province e Regioni, sia di diversi parlamentari.

Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 7 Maggio 2002: <<IL PROGETTO. 15 giacimenti, 83 pozzi e 19 piattaforme fisse>>

Il progetto di Eni-Agip, British gas ed Edison gas prevede lo sviluppo e la messa in coltivazione di circa 15 giacimenti gassiferi attraverso la perforazione di 83 pozzi e l'installazione di 19 piattaforme fisse per la produzione, l'iniezione e il monitoraggio della subsidenza. La realizzabilità del progetto è sottoposta ai vincoli di tutela dalla subsidenza imposti dal cosiddetto Decreto Ronchi d'intesa con la Regione Veneto del 3 dicembre 1999.