Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 9 Settembre 2001: <<L’INTERVENTO. Critiche alla V.i.a. "Il Terminal coinvolge tutti">>

Il Terminal non è un problema solo di Porto Viro, dove posare o meno il tubo di collegamento alla centrale di rigasificazione, o un affare che riguarda pochi. Esso rappresenta una questione culturale, oltre che politica ed economica, che va ben oltre la costa deltizia ed il suo entroterra e che deve coinvolgere il più largo strato dell'opinione pubblica polesana.

Il fatto determinante che ha caratterizzato questo progetto è stato costituito dalla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale a cui è stato sottoposto. Una procedura questa a cui nessuno di noi era stato abituato a badare, essendo assolutamente nuova sia a livello nazionale che regionale e tanto più a livello locale. Di origine americana la V.I.A. è entrata in Europa da pochi decenni, essendo stata formalizzata come Direttiva C.E.E. n° 337 nel 1985, recepita a livello nazionale con il D.P.R. 12 aprile 1996 e poi a livello regionale con la legge 10 del maggio 1999. Una corposa normativa quindi di lunga e faticosa gestazione che non è ancora entrata nei meccanismi culturali della popolazione. A questo strumento ancora da collaudare nel suo processo di partecipazione popolare è stato attribuito pressoché tutto il peso autorizzativo per la costruzione del Terminal gasiero al largo del Delta del Po, che avrebbe meritato ben più larghe discussioni, dibattiti e coinvolgimenti della popolazione interessata al progetto medesimo. Confronto rispetto al quale, secondo le ultime indiscrezioni, si cerca ora di dribblare ipotizzando un diverso tracciato della tubazione di collegamento a terra, rispetto al tracciato originario nella riottosa terra dei Comitati di Porto Viro, come se il problema fosse unicamente quello.

Va denunciato, in primis, che dinanzi a questo nuovo ed inesplorato strumento legislativo, come la procedura V.I.A., è stato assente il confronto politico sia a livello locale, sia a quello regionale e nazionale. Salvo, naturalmente, qualche piccola voce di protesta indigena è mancata qualsiasi analisi approfondita su ciò che di negativo il progetto poteva comportare. L'opinione pubblica è stata distolta da promesse di benefici che poi si sarebbero manifestati mendaci, vedi la conversione a metano della centrale Enel di Polesine Camerini, l'impiego di cento unità lavorative polesane a fronte di un intervento che, secondo gli imbonitori di turno, non avrebbe costituito nessun pericolo, in quanto non "visibile dalla costa".

Su questa base di soli benefici, dimostratisi poi falsi, è stata condotta la campagna di informazione della popolazione, mentre la procedura V.I.A. faceva il suo corso burocratico, estraneo a quel coinvolgimento popolare che soltanto una conoscenza sperimentata della procedura medesima e la concreta e trasparente illustrazione dei rischi, delle implicazioni ambientali, dei coinvolgimenti economici e sociali che ne sarebbero derivati, avrebbe comportato. In che cosa si è sostanziato in definitiva lo Studio di Impatto Ambientale nel caso Terminal? Semplicemente nell'indicare gli impatti dovuti alla costruzione dell'isolotto-terminal e nella posa della condotta di collegamento mare-terra, nella alterazione della temperatura e della qualità dell'acqua circostante, nella limitazione della navigazione e della pesca, che avrebbero continuato anche nella successiva fase di gestione dell'attività del Terminal gasiero. Quali erano i rimedi indicati? In estrema sintesi erano questi: lavorare cercando di intorbidire poco l'acqua, stare alla larga dall'isolotto con i natanti e sperare che lo scambio di temperatura e la cessione di cloro non disturbi la pesca più di tanto.

Gli autorevoli componenti della commissione V.I.A., che a Roma hanno esaminato il progetto del Terminal gasiero avranno mai visitato il Delta, conosciuto l'equilibrio su cui si regge la sua economia e la fragilità del suo ecosistema? Avranno mai avuto presente, al momento di prendere una così importante decisione, che cosa potrebbe significare per questa parte di territorio cintato di argini e presidiato dalla presenza dei suoi abitanti, mettere in difficoltà la pesca, la navigazione, il turismo? Oppure mettere in moto quella psicosi di insicurezza, di impalpabile ma sovrastante pericolo, che demotiva i residenti ad investire nel proprio territorio, spingendoli ad andarsene? Ciò comporterebbe il collasso del Delta e la sparizione di una delle aree più pregevoli di interesse europeo. Altro che tutela del Parco!

Pietro Tracco

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