Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 12 Maggio 2002: <<IL PUNTO. UN FRONTE COMUNE CONTRO LE ESTRAZIONI di DONATO SINIGAGLIA>>

L'inchiesta sulle estrazioni di idrocarburi in Alto Adriatico avviata dalla Procura della Repubblica di Rovigo, sta alzando il velo che, forse, per troppo tempo è rimasto steso su alcuni aspetti inquietanti della vicenda.

Il business multimiliardario dell'approvvigionamento di gas, a pochi passi da casa, ha scatenato da tempo gli appetiti dell'Eni che, essendo in possesso delle concessioni, doveva trovare il modo di sfruttare i giacimenti. L'importanza e la necessità di reperire nuove fonti energetiche, però, si scontra con la sicurezza dei cittadini, la salvaguardia e la tutela del patrimonio naturale. In quest'ottica non esistono spazi per i compromessi, specie quando c'è il serio rischio di sconvolgere territori molto fragili come il Delta del Po e le lagune di Venezia e Chioggia. Non solo. A tenere alta la guardia ci sono i precedenti delle estrazioni nel Delta che, causando abbassamenti del suolo, hanno favorito le alluvioni e quelli del Ravennate, davanti alle cui coste le piattaforme Eni estraggono gas e il fenomeno della subsidenza è già in atto.

Più volte dal Polesine e dal Veneto si sono levate preoccupazioni di fronte a un'attività estremamente pericolosa. Proteste recepite in sede locale ma non sempre a livello nazionale dove la potente lobby dell'Eni spesso è riuscita a evitare il blocco delle estrazioni.

Lo "sbarramento", parziale, alzato dall'intesa tra Regione del Veneto e ministero dell'Ambiente, ha certamente irritato l'Eni che, se le accuse contestate dal pubblico ministero Manuela Fasolato saranno confermate, ha organizzato un'operazione volta a forzare le restrizioni imposte. Infatti, il Decreto Ronchi - lo ha scritto il ministro suIl Gazzettino -introduce un accordo «per la sola sperimentazione, più lontana possibile dalla costa, ben oltre le dodici miglia nautiche». Ma l'Eni s'è fatta rinnovare le concessioni proprio ai limiti dell'area vietata, che corrispondono al parallelo del Po di Goro, aggirando così le limitazioni del Decreto Ronchi.

Il campo Irma-Carola è posto a venti chilometri dal litorale, proprio a ridosso dalle dodici miglia. Inoltre, in base a quanto finora emerso dall'inchiesta giudiziaria, l'Eni, avvalendosi di presunti favori all'interno dei vari ministeri, avrebbe dato avvio a "trivellazioni deviate", che permetterebbero di prelevare gas anche dove non è consentito.

Un atteggiamento di «arroganza» lo ha definito il professor Mario Zambon, il tecnico che più si è battuto, confortato da altri studiosi, nell'evidenziare i rischi di un'attività estrattiva nell'Alto Adriatico. Ma la lobby dell'Eni ha avuto buon gioco nello sfruttare le divisioni di comportamento provenienti dall'una o dall'altra regione, puntando spesso sulla scarsa sensibilità ambientale, o sul fatto che a qualcuno non interessa ciò che accade fuori dalle proprie zone d'influenza. Se la Regione Veneto, con il presidente Giancarlo Galan ed il capogruppo di Fi Renzo Marangon, si è sempre fermamente opposta, non altrettanto è avvenuto in Emilia dove l'Eni è riuscita ad avere campo libero.

Ora l'inchiesta sta mettendo in luce alcuni preoccupanti aspetti. Per questo è opportuno che Veneto ed Emilia raccordino il loro operato, in modo da far fronte comune contro i pericoli derivati dalle estrazioni del gas.

Se l'iniziativa della magistratura appare meritoria per la determinazione di accertare eventuali comportamenti dell'Eni che «vanno al di sopra o al di fuori delle leggi», spiace dover registrare come l'inerzia dei politici (salvo alcune eccezioni) non abbia affrontato i delicati problemi connessi alle concessioni. L'allora ministro dell'Industria Enrico Letta le autorizzò mentre il piano energetico del suo successore Antonio Marzano lascia aperte le porte all'Eni in Alto Adriatico, tanto che la Regione Veneto ha deciso di ricorrere al Tar.

Miopia e ritardi della classe dirigente nazionale sfuggono alle logiche di schieramento, ma non a quelle degli affari.