Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 14 Aprile 2002: <<AMBIENTE. Primo passo al Senato. Estrazioni di metano. Si lavora per lo stop. Emendamento e disegno di legge>>

L'approvazione di un emendamento alla finanziaria avvenuto all'unanimità in Commissione territorio-ambiente del Senato può rafforzare le limitazioni vigenti alle estrazioni di metano in Alto Adriatico. La strada è ancora lunga, ma non ci si può che rallegrare per la sensibilità ambientale finalmente dimostrata concretamente dal Parlamento per porre uno stop ai rischi di subsidenza del territorio polesano. L'azione, che sostiene quella espressa all'unanimità dal Consiglio e dalla Giunta ragionale del Veneto, è ancora lontana dall'essere conclusa ma si avvale di due strumenti, l'emendamento alla Finanziaria che impedisce nuove autorizzazioni fatto proprio dalla Commissione e che dovrà passare per le due aule di Montecitorio e Palazzo Madama, e un disegno di legge che limita fortemente l'utilizzazione di quelle già esistenti ricalcando il Decreto Ronchi.

<<AMBIENTE. Dopo le diverse battute d’arresto nella scorsa legislatura si fa strada una normativa garantista. Sbarramento sulle estrazioni. In gioco interessi economici enormi ma la sicurezza del territorio deve essere posta in primo piano>>

È una necessità assoluta la tutela del territorio lagunare e costiero della Regione Veneto dal rischio di subsidenza indotta dalle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi effettuate principalmente nelle acque territoriali prospicienti il territorio veneto.

In questo senso si va esplicando l'azione di un gruppo di parlamentari che cercano da tempo di eliminare il rischio per Venezia, Chioggia e il Delta del Po, vietando espressamente le attività di estrazione di metano in Alto Adriatico.

Sinora, ad alcuni successi si sono alternate altre battute d'arresto che indicano come l'intera questione sia estremamente delicata e le pressioni dell'Eni e della lobby energetica, pronte a sfruttare il business del metano, riescano talvolta a mettere in secondo piano le esigenze di sicurezza delle popolazioni e salvaguardia del territorio. Basti pensare che il progetto per la coltivazione di giacimenti di idrocarburi in Alto Adriatico (Eni divisione Agip, Edison Gas e British Gas) stima l'esistenza di riserve in loco pari a 28 miliardi di metri cubi di gas naturale con una portata di picco pari a tre miliardi di metri cubi di gas l'anno e investimenti di 671 milioni 394 mila euro.

Il progetto prevede lo sviluppo e la messa in coltivazione di una quindicina di giacimenti gassiferi attraverso la perforazione di circa 83 pozzi e l'installazione di 19 piattaforme fisse per la produzione, l'iniezione e il monitoraggio della subsidenza.

Si tratta di attività estrattive già vietate nelle acque del Golfo di Napoli, del Golfo di Salerno e delle isole Egadi con la legge 9 del 9 gennaio 1991. Grazie all'impegno della Regione del Veneto che ha votato all'unamimità la proposta di legge Marangon e all'attenzione del Ministero dell'Ambiente, guidato all'epoca dal verde Edo Ronchi, si è giunti a una consistente limitazione delle possibilità di estrazione di metano in Alto Adriatico.

Nel frattempo, però, si è posta l'esigenza di vincolare ancor più l'estrazione di idrocarburi, a fronte dei tentativi di "far saltare" i paletti già posti all'attività, proprio nell'intento di escludere ogni possibile forma di rischio per il territorio, diretto o indiretto, proprio a causa della presenza dei pozzi.

Dopo una serie di battute d'arresto nella scorsa legislatura, sembra farsi strada questa volta una normativa garantista per il territorio polesano e costiero veneto, che ha come primo firmatario il senatore verde Sauro Turroni, il quale ha trovato finalmente la giusta dose di sensibilità ambientale nella Commissione ambiente di cui lo stesso Turroni è vicepresidente.

<<È ANCORA PRESTO PER CALARE LA GUARDIA, di DONATO SINIGAGLIA>>

Si può porre, definitivamente, la parola fine all'annoso problema delle estrazioni di metano in Alto Adriatico, vietando completamente ogni tipo di attività di ricerca e "coltivazione" dei giacimenti di idrocarburi?

C'è la speranza che, finalmente, il Parlamento si sia incamminato sulla strada giusta, dopo tante delusioni, e che si possa giungere in tempi brevi all'attesa risposta? Interrogativi che i polesani si pongono in queste ultime settimane.

Più volte le forze politiche, di qualsiasi colore, quelle sindacali ed i movimenti ambientalisti hanno evidenziato l'esigenza di evitare qualsiasi forma di subsidenza a territori molto fragili come sono il Delta del Po, Chioggia e la laguna di Venezia. Un'eventualità molto temuta che non può essere barattata con le assicurazioni di varia natura che arrivano dall' Eni e dai tecnici di parte. Sono ancora sotto gli occhi di tutti i precedenti del Ravennate, per cui è comprensibile la diffidenza degli abitanti del Delta; mentre il presidente della Regione Giancarlo Galan ha più volte detto che «non si può accettare il rischio di abbassamento del suolo, neppure di un centimetro».

Chi abita e lavora nelle zone interessate ben conosce il problema, avendo vissuto, sulla propria pelle, le conseguenze catastrofiche causate dall'estrazione di acque metanifere. Difese idrauliche ridotte, erosioni, mareggiate. Non è trascorso, poi, molto tempo dal periodo in cui Porto Tolle andò sott'acqua. Era il 1966 e quell'evento ebbe una visibilità mediatica inferiore alla reale portata del dramma per la concomitanza dell'alluvione di Firenze.

Ma il territorio si era abbassato e l'equilibrio idrogeologico era stato compromesso. Gli abitanti pagarono un grave dazio, chi estraeva acque metanifere no.

Anche se il suolo dovesse abbassarsi esclusivamente in alto mare, il fragile equilibrio legato ai trasporti sabbiosi potrebbe essere sconvolto con conseguenze inimmaginabili sulle coste.

Il "Decreto Ronchi", emanato d'intesa con la Regione Veneto, consente una limitata attività di sperimentazione oltre le 12 miglia marine, ma da più parti s'è alzata forte la voce di tecnici e amministratori locali che ne chiedevano il blocco totale. In quest'ottica di aumento delle limitazioni si è indirizzata l'attività parlamentare. In passato l'Eni, interessata al remunerativo progetto Alto Adriatico, è riuscita a impedire l'approvazione del disegno di legge presentato dal senatore Sarto (Verdi), al quale avevano aderito anche parlamentari di vari schieramenti. S'intendeva applicare al golfo di Venezia fino al Po di Goro, il divieto già vigente in quello di Napoli.

In occasione dell'ultima Finanziaria, la maggiore sensibilità verso l'ambiente e la necessità di garantire più sicurezza alle popolazioni coinvolte, sembra abbiano indirizzato il voto dei senatori; infatti, l'emendamento presentato da Sauro Turroni (Verdi) è stato accolto all'unanimità dalla Commissione ambiente, che l'ha fatto proprio e, prossimamente, lo presenterà all'aula per la doppia approvazione (Camera e Senato). Ma resta un interrogativo: una volta superato l'ostacolo del voto, quale sarà l'effettiva realizzabilità del divieto assoluto? La legge a cui si aggancia l'emendamento, infatti, parla esplicitamente di «fatti salvi i permessi, le autorizzazioni e le concessioni in atto», il che potrebbe aprire spazi per l'Eni che, almeno in parte, oltre le 12 miglia, ha permessi "condizionati" a un ridotto impatto ambientale. Insomma, è presto per tirare un sospiro di sollievo.

Per questo i parlamentari polesani, assessori e consiglieri regionali, Provincia e Comuni non devono abbassare la guardia. Quanto avvenuto nel 1966 potrebbe ripetersi.