Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 21 Febbraio 2003: <<Polesine, lo sviluppo affidato ai capannoni? Solo nelle cinque macroaree sono previsti insediamenti produttivi su ben 16 milioni di metri quadrati>>
Aia (Adria-Loreo), Ca' Cappello (Porto Viro), Calto-Salara, Villamarzana-Casello A13, Castelguglielmo-San Bellino. Sono le cinque macroaree riservate a nuovi insediamenti produttivi in Polesine. Totale 16 milioni di metri quadrati. Un'estensione enorme alla quale vanno aggiunte piccole, medie o grandi zone industriali-artigianali che pullulano in quasi tutti i comuni della Provincia: le varie Borsea a Rovigo, l'Interporto, i 90 ettari in località Ca' Bianca ad Adria, quelle che si notano lungo le maggiori arterie, Transpolesana, Romea, Statale 16 o Eridania. Insomma il Polesine sta assistendo a una trasformazione del territorio, una crescita disordinata dove il territorio agricolo e il paesaggio che permette allo sguardo di perdersi all'orizzonte vede crescere capannoni a dismisura. Una colata di cemento, asfalto, tralicci e viavai senza precedenti. Ogni comune vuole la propria zona industriale-artigianale-commerciale e insegue il miraggio di uno sviluppo. Il tutto mentre la Regione Veneto ha bloccato l'ampliamento delle aree esistenti che anno dopo anno si sono mangiate parte del territorio. Nei 581 comuni veneti ci sono circa 2.500 aree produttive: un'infinità, coincisa con l'eccezionale boom del Nordest, la "locomotiva dell'economia italiana", ma che ora sta facendo risuonare più di un campanello d'allarme. «Il fatto nuovo non è che il consumo di territori, lo squilibrio di ambienti, il degrado di paesaggi incidano negativamente sulle condizioni di vita e di lavoro degli abitanti di vaste aree del Nordest italiano - ha scritto Domenico Luciani, presidente della Fondazione Benetton, inNord Est 2002, rapporto sulla società e l'economia -. Il fatto nuovo è che questi fenomeni vengano recepiti come tali in ambiti sociali relativamente allargati». Il Polesine sta inseguendo un modello che nel resto della Regione è in crisi per diversi motivi. «Per il Nord Est sta avvenendo come ad un'auto il cui motore si sta imballando - rileva Daniele Marini, Fondazione Nord Est, Università di Padova -. Negli anni ha accelerato con una progressione straordinaria ed ora sembra giungere al massimo dei giri possibili. I fattori principali su cui il modello di sviluppo si è fondato stanno progressivamente perdendo la loro potenzialità». Oltretutto, solo valutando le cinque macroaree, calcolando che la superficie volumetrica è del 50%, "rimangono" 8 milioni di metri quadrati che "sfruttati" con 10 persone per ettaro danno la necessità di 80 mila persone come manodopera. Dove sono? Il Polesine non ha tutta questa disponibilità e peggio ancora la Regione. «Si sta raschiando il fondo del barile della disoccupazione, le imprese faticano a trovare personale disponibile, soprattutto nelle mansioni meno accattivanti dal punto di vista professionale - sostiene Daniele Marini sempre nell'introduzione aNord Est 2002, rapporto sulla società e l'economia -. Non a caso la richiesta di persone immigrate è continuamente crescente da parte delle imprese e servizi. La prospettiva, anche a breve termine, è che conosceremo un Nord Est multietnico. Il calo accelerato della natalità dei decenni precedenti sta provocando un vero e proprio vuoto generazionale che in qualche modo va riempito». L'accelerazione tecnologica incombe, dall'America scienziati come Federico Faggin invitano a investire di più sulla tecnologia e i prodotti di altissimo livello superando la logica fino a ieri vincente ma perversa di puntare troppo su un'industria specializzatissima ma vecchia che fa del Veneto la regione con la più alta produzione procapite di rifiuti industriali e nocivi. Le stesse analisi di lungo periodo sull'economia del Nord Est sostengono che «la crescita è imputabile, in buona misura ai settori dei servizi al mercato - afferma Daniele Marini - a quelli privati più che al comparto industriale, tradizionalmente trainante e caratterizzante le economie locali». Quindi bisogna chiedersi se la strada che il Polesine sta intraprendendo è quella giusta e vincente. «Qui in provincia di Rovigo siamo ancora in tempo per salvarci, ma è necessario studiare insieme un assetto logistico sulla scorta dell'esperienza maturata dal confronto sui temi della viabilità - ha detto pochi giorni fa Giorgio Grassia, assessore provinciale ai Lavori pubblici -. Dopo gli "Stati generali" della Provincia di Rovigo si è aperto un dialogo sulla gestione del territorio, cercando di individuare quegli obiettivi che devono essere dell'intera collettività». Un Polesine che attende la realizzazione anche di alcuni importanti lavori come la nuova Romea Ravenna-Venezia e il prolungamento della Valdastico ma che non può guardare solo dentro i propri, piccoli confini nonostante i tutto sommato positivi dati congiunturali sul movimento delle imprese (fonte Camera di Commercio) al 30 settembre 2002: quelle registrate erano 28.588 contro le 28.723 dello stesso periodo del 2001 (-165). Con una forte flessione nei settori agricolo (da 8.410 a 7.981), pesca (da 1.302 a 1.290) e tessile (da 213 a 205); mentre sono aumentate le imprese manifatturiere (da 3.686 a 3.723), edili (da 3.089 a 3.237) e artigiane (da 7.434 a 7.569). Significativi i dati relativi al saldo con l'estero sceso dai 73,5 milioni di euro del primo semestre 2001 a 48,4 per lo stesso periodo del 2002 e quelli riguardanti l'interscambio con l'estero: nel primo semestre 2002 le esportazioni sono del 3,4% e le importazioni dell'8,95% contro una flessione registrata a livello regionale, rispettivamente del 5,9% e del 2,1%. Polesine che prima di deturpare il proprio territorio, magari realizzando delle "cattedrali nel deserto" o ricevendo aziende inquinanti e malsane che nessuno vuole e il cui arrivo è favorito per "coprire" gli errori nelle scelte effettuate, deve interrogarsi sul proprio futuro. «Giocare al "capitalismo molecolare", basato sull'enorme numero dei protagonisti non basta più - ha scritto lo studioso Nadio Delai nella postfazione del libroIl salto curato dall'Assindustria polesana - anche se la forza di quest'ultimo deve continuare ad alimentare la pianta dello sviluppo. È iniziata infatti la fase del "capitalismo relazionale", in cui diventa importante mettere in collegamento le tante e diverse molecole presenti nel territorio: le imprese, le istituzioni e le aree locali. Oggi è necessario guardare alla propria area e chiedersi quali siano le vocazioni e l'identità su cui si vuol giocare per i prossimi vent'anni, compiendo un esercizio di visione che vada al di là del quotidiano». E sulle prospettive Delai aggiunge: «Anche il Polesine può e deve scommettere su un futuro maggiormente sofisticato, basato necessariamente su una strategia di tipo relazionale che va al di là del singolo cancello della singola impresa o del portone del singolo comune. Competere significa tessere alleanze, tra imprese, tra istituzioni, tre le une e le altre, tra un'area ed altre aree. (...) A questo scopo è bene "darsi forma" in via autonoma, affinché non ripeta il meccanismo definitorio che viene dall'esterno e che già è stato conosciuto nel passato. È necessario reimpossessarsi un'altra volta del proprio destino comune». Insomma, il Polesine, oggi più che mai è davanti a un bivio. Avrebbe già dovuto farlo in passato per non trovarsi attualmente impreparato, ma non più procastinare scelte e decisioni oculati. Quale futuro la provincia vuole avere? Quali sono le priorità? Industria, alta tecnologia, specializzazione ed elevata qualità, turismo e ambiente o che altro? I rischi sono dietro l'angolo, in altre province i campanelli d'allarme sono già risuonati, in Polesine meglio pensarci prima che sia troppo tardi o che siano altri a decidere o imporre scelte forzate barattando miraggi di sviluppo e benessere con la qualità della vita. Senza dimenticare il rischi dell'inquinamento, del deturpamento del territorio, delle ecomafie (in passato capannoni liberi, dismessi o abbandonati sono stati riempiti con rifiuti tossico-nocivi di ogni genere) in una provincia, vedi centrale di Polesine Camerini, che da anni sta già pagando un conto salatissimo sul piano della salute dei suoi cittadini.