Da "La Piazza del Delta" febbraio 2001: <<Torna l’incubo delle estrazioni>>

Lo spauracchio delle estrazioni di metano in Adriatico è tornato a farsi sentire. Se solo all’inizio del mese la cosa è diventata di dominio pubblico, la concessione che l’Eni ha ottenuto dal Ministero dell’Industria per la coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi porta la data del 16 novembre scorso. Tre mesi di silenzio, dunque, prima che dal consiglio provinciale venisse sollevato il problema. Ma se tralascia questo tentativo di tenere nascosta la cosa, per il resto tutto è stato fatto secondo i crismi della legalità: c’è un decreto ministeriale che vieta le estrazioni entro le 12 miglia dalla costa? L’area di concessione è subito dopo tale limite. In teoria, dunque, non ci dovrebbe essere il pericolo di un nuovo bradisismo. Questo, almeno, è quello che l’Eni sostiene vantando i progressi tecnologici con cui oggi è possibile estrarre il gas. Niente a che vedere con le tecniche impiegate fino a cinquant’anni fa nel Delta o anche solo con quelle che, nel ravennate, qualche problema l’hanno causato sia con lo sfruttamento dei giacimenti in mare che con quelli in terraferma. E’ chiaro che basterebbe anche solo un abbassamento del suolo di alcuni centimetri per vanificare il sistema di difesa che si è dato il Delta (per non parlare di Venezia) dopo le rovinose alluvioni degli anni 50 e 60. Solo pochi mesi fa, va ricordato, l’emergenza causata dalla piena del Po aveva fatto scricchiolare in alcuni punti gli argini lungo il fiume. E nel contempo, il grido d’allarme per la scomparsa delle spiagge è ogni anno più forte. La fragilità del Delta è sempre più evidente ma, nonostante questo, i possibili fattori di rischio aumentano invece di diminuire o scomparire. Le dodici miglia dalla costa non sono una distanza tale da garantire che i terreni non si abbasseranno. Come ha insegnato l’esperienza, non solo la subsidenza si fa sentire a chilometri di distanza dal punto di prelievo, ma il fenomeno si protrae per anni dopo che l’estrazione è terminata. Questo significa che dopo i vent’anni di sfruttamento dei giacimenti previsti dalla concessione, bisognerà attendere magari un periodo analogo prima di poter tirare un bilancio definitivo dei costi e dei benefici.

<<Le coltivazioni poco oltre la fascia protetta di 12 miglia>>

La concessione ventennale che l’Eni ha ottenuto dal Ministero dell’Industria, posseduta fin dal 1996 dall’Agip, consente la coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi nell’area contraddistinta dalla sigla AC33AG che si trova nel mare Adriatico. Si tratta di 403,65 chilometri di mare con una zona che, pur oltre le dodici miglia dalla costa, oltrepassa a nord il parallelo delle foci del Po di Goro fino all’altezza di Scardovari. Il resto della concessione si sviluppa di fronte alle coste emiliane che però non risulta aver preso una qualche posizione. Il programma dei lavori prevede per il campo “Naomi-Pandora” l’installazione di una piattaforma che avrà quattro pozzi deviati e il collegamento di tre linee marittime con la piattaforma esistente (la “Garibaldi T”). Per il campo “Irma-Carola” sarà realizzata una piattaforma, la perforazione di due pozzi e la posa di tre linee di collegamento alla “Naomii”. Entro un anno dalla data del conferimento della concessione, verrà poi perforato anche il pozzo “Irma 2” per verificare l’estensione del giacimento “Irma-Carola” in direzione sud-ovest. Sulla base dei risultati ottenuti, a quel punto potrebbero esserci due pozzi esplorativi, uno della zona centrosettentrionale e l’altro in quella sud occidentale. Dunque, con il Decreto Ronchi che prevede un divieto tassativo di perforazioni in una fascia di dodici miglia dalla costa, la concessione ricade per la maggior parte a sud del parallelo delle foci del Po di Goro dove, peraltro, non vige il suddetto Decreto. Lo “sforamento” a nord è ben oltre le 12 miglia ma crea un pericoloso precedente perché, dal punto di vista legale, basterà posizionare un pozzo appena al di là del limite per estrarre metano in tutta tranquillità. Per questo il Consiglio Provinciale non ha esitato a condannare la concessione mentre anche la Regione Veneto, nel corso della votazione dell’ultima finanziaria, aveva una volta di più ribadito il suo no alle estrazioni di metano in Adriatico. I margini per impedire le perforazioni sono ora affidati alle azioni di Regione, Provincia e comuni interessati, il tutto muovendosi all’interno di una normativa, appunto il Decreto Ronchi, che l’Eni è tenuta a rispettare per quel che riguarda l’iter. Appare comunque evidente che l’aver lasciato aperta la porta alle estrazioni, mascherata infatti dall’idea della sperimentazione, è stato un errore. Tra l’altro, l’emendamento alla Finanziaria presentato del senatore verde Sarto, che prevedeva l’inserimento anche del golfo di Venezia nella legge che tutela i golfi di Napoli e Salerno, è stato bocciato. Solo il divieto assoluto di perforazioni che poteva essere introdotto da questo emendamento avrebbe messo al riparo le coste del Veneto.

<<Estrazioni/Le conseguenze possibili>>

Contro le estrazioni di metano in Adriatico, il deputato polesano Gabriele Frigato (Ppi) ed il suo collega veneziano Francesco Bonato (gruppo misto) hanno presentato un’interrogazione ai ministri dell’Ambiente Willer Bordon e dell’Industria Enrico Letta. L’intento è di sapere quali studi sull’impatto ambientale siano stati realizzati per la nuova zona di coltivazione di idrocarburi e se c’è la possibilità di revocare la concessione in nome della salvaguardia di un territorio che nel passato è stato profondamente ferito dalle estrazioni di metano. Anche l’Ente Parco ha preso una decisa posizione di contrarietà mentre il presidente della Regione Giancarlo Galan ha assicurato che il no del Veneto è assoluto. Da qualche parte si fa strada il sospetto che l’iniziativa sia un tentativo per tastare il terreno prima di più massicci interventi. In questo senso, viene ricordata la richiesta, neppure troppo lontana nel tempo, di perforare addirittura a San Basilio. Per le conseguenze delle estrazioni, da anni il professor Mario Zambon va sostenendo che non esiste un’estrazione di metano che non abbia conseguenze. Il caso delle estrazioni lungo le coste e nella terraferma nel ravennate e nel basso ferrarese hanno infatti dimostrato che i terreni sono sprofondati di oltre un metro e mezzo mentre le spiagge versano in uno stato di preoccupante degrado. Sulla base delle esperienze del passato (anche recente), è dimostrato che come conseguenza dei 15-20 anni di sfruttamento dei giacimenti, lo sprofondamento del suolo marino avrà un volume confrontabile con quello del volume del gas estratto alla temperatura e pressione del giacimento. Insomma, si formerà una specie di “buca” nel fondo marino che calamiterà gli apporti solidi trasportati dalle correnti litoranee e dalle onde soprattutto in occasione delle mareggiate. Visto che con il suo apporto di materiale solido il Po garantisce il mantenimento del profilo dei litorali del Delta ma anche delle spiagge emiliane, si innescherà un processo di erosione e il conseguente arretramento della linea di battigia fino a destabilizzare le difese costiere. Non bisogna poi dimenticare che la subsidenza si propaga per chilometri dal luogo di estrazione, così che il Delta si troverà a fronteggiare un “attacco” su due fronti.

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