Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 7.02.2001: <<Ambiente e sicurezza. La concessione del Ministro dell’Industria a favore dell’Eni per la coltivazione di campi a ridosso della fascia protetta dal Decreto Ronchi ha destato la reazione negativa della Provincia.Estrazioni metano, Naomi fa paura.Una parte dell’area interessata è di fronte a Scardovari. Piattaforme e lavori presto al via>>

L'Eni ha ottenuto dal Ministero dell'Industria la concessione ventennale posseduta dall'Agip sin dal '96 per "la concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi contraddistinta dalla sigla AC33AG ubicata nel mar Adriatico" approvando il programma di lavori di sviluppo che prevede per il campo "Naomi Pandora" l'installazione di una piattaforma che avrà quattro pozzi deviati e il collegamento di tre linee marittime con la piattaforma esistente Garibaldi T; per il campo "Irma-Carola" sarà realizzata una piattaforma, la perforazione di due pozzi e la posa di tre linee di collegamento alla Naomi. Ma non basta. Entro un anno dalla data del conferimento della concessione verrà perforato il pozzo Irma 2 per verificare l'estensione della mineralizzazione del giacimento Irma-Carola in direzione sud-ovest. Dopodichè sono possibili, sulla base dei risultati ottenuti, due pozzi espoloratiuvi, uno della zona centrosettentrionale e l'altro nella zona sud occidentale.

Al di là dei nomi accattivanti dei giacimenti, i 403,65 chilometri quadrati di mare, delimitati in apposite carte (una loro riduzione sintetica è indicata a lato), tocca anche una zona oltre le 12 miglia marittime, ma a nord del parallelo della foce del Po di Goro, fino all'altezza di Scardovari. Tutto ciò ha aumentato i timori per i possibili effetti di abbassamento del suolo indotto dalle perforazioni e dalla coltivazione dei giacimenti. Il Polesine ha alla spalle una lunga storia di disastri e tragedie derivate dalle estrazioni di metano e quindi l'opposizione della Provincia a un simile programma autorizzato dal ministro Letta si è levata forte anche in consiglio provinciale.

Le reazioni alla decisione di Letta.Concessioni Eni per estrarre gas Un coro di no

Il Ministro dell'Industria Enrico Letta ha autorizzato la concessione all'Eni per la coltivazione dei giacimenti compresi in un tratto di mare oltre le 12 miglia dalla costa del Delta del Po, in un'area per una parte a nord del parallelo del Po di Goro e di fronte alla costa polesana. Il decreto Ronchi impedisce le estrazioni a 12 miglia dalla costa, ma consente la sperimentazione controllata ad est. In questo senso non tutelerebbe completamente da possibili effetti di bradisismo e di erosione indotti delle perforazioni, che l'Eni assicura inesistenti. Anzi, da alcuni è considerato una porta aperta per ricerche e sviluppo di giacimenti appena al di fuori del limite, ugualmente rischiosi. Questi sarebbero stati certamente impediti se fosse stato approvato dal Parlamento l'Emendamento Sarto che, equiparando l'Alto Adriatico alla costiera amalfitana, avrebbe vietato ogni attività dell'Eni.

La Provincia ha protestato contro il Ministero per la concessione, il presidente della Regione Galan ha assicurato il no totale a ogni attività dell'Eni che si esprimerà negando ogni autorizzazione, ma nel Delta, già tragicamente scottato per gli effetti sulla sicurezza idraulica dalle estrazioni di metano degli anni Cinquanta, non si vuole sentire parlare di estrazioni, neppure in alto mare.

Estrazioni di Metano. GIANCARLO GALAN (Presidente Regione Veneto). Il nostro no è totale e assoluto

Presidente Galan, il fatto che sia stata data una concessione al largo del Delta, che tocca una zona di mare a nord del parallelo del Po di Goro le appare un aggiramento del cosiddetto Decreto Ronchi-Galan nel '99?

«A parte che accostarmi con il nome al ministro dei Verdi mi fa rabbrividire - risponde sorridendo Giancarlo Galan -, non esistono decreti congiunti fra me e lui. I decreti li fa il ministro. La Regione Veneto sul problema dell'estrazione di metano in alto mare ha tenuto una posizione di chiarezza assoluta in ogni sede. È un no grande a qualsiasi tentativo di estrarre metano di fronte alle coste venete e al Delta del Po in particolare. Esistono pronunciamenti del Consiglio regionale all'unanimità, anche con l'ultima finanziaria in cui il no all'Eni è chiarissimo».

Cosa intende fare a seguito di questa concessione?

«La sorveglianza su quanto succede in quel campo di mare sarà massima. Utilizzeremo le leggi a disposizione per evitare le estrazioni. Ma siccome ci deve essere l'autorizzazione della Regione Veneto, posso assicurare che questa non sarà mai data».

Il limite di 12 miglia dalla costa non rischia di diventare pericoloso perchè riduttivo? Piazzando un pozzo poco distante, l'aggiramento del divieto sarebbe possibile e dal punto di vista legale non ci sarebbero problemi.

«Non so come sia il diritto per le acque internazionali e su questo dovrei sentire bene i nostri legali, ma ci deve essere un aggancio per la Regione Veneto per poter mettere il naso su quanto avviene oltre la linea stabilita nel Decreto. Sono disposto anche ad andare dal Presidente della Croazia (Stipe Mesic ndr) per evitare danni al territorio veneto. Sarebbe davvero offensivo che piazzassero i pozzi metaniferi a 12,01 miglia dalla costa, subito al di là del limite. Io sarei il primo a prendere la barca e ad andare a manifestare. Anzi offro un posto nella mia barca a Federico Saccardin. È questo uno dei pochissimi casi in cui mi trovo d'accordo con la Provincia di Rovigo che ha votato all'unanimità la protesta contro la concessione del Ministro dell'Industria».

Non ha l'impressione che questo sia un "assaggio" da parte dell'Eni sulle vostre reazioni, come poteva essere considerato tale la richiesta di perforare a San Basilio?

«Non lo escludo, perchè la lobby dell'Eni è molto forte e ritengo che possa sentirsi spalleggiata dall'Emilia Romagna che sarà anche favorevole, visto tutto quello che hanno piantatao davanti a Ravenna, e di cui tutti vedono le conseguenze. Anzi, dirò che da parte dell'Emilia Romagna qualche tentativo di ammorbidire la posizione veneta è stato fatto. Ma io assicuro che nessun pertugio dovrà essere concesso all'Eni sulla questione del metano. Non devono avere nessuna speranza di poter estrarre metano al largo di Venezia, di Chioggia e del Delta del Po».

Porto Tolle. Tutti contrari e preoccupati per gli effetti possibili delle estrazioni.Il sistema di difesa è già al limite.Un abbassamento di pochissimi centimetri condannerebbe tutto il Delta del Po

Estrazioni di metano in Adriatico? No grazie. E' questa la sostanza di tutti i commenti che si sono rincorsi nella giornata di ieri a Porto Tolle. Palpabile, infatti, la preoccupazione per un possibile nuovo abbassamento del Delta e, a 35 anni dall'ultima alluvione, di veder vanificare gli sforzi con cui l'area è stata difesa e fatta progredire. "Personalmente faccio una distinzione tra il terminal gasiero e le estrazioni di metano - esordisce l'assessore Danilo Stoppa - queste ultime mi vedono da sempre nettamente contrario perchè, se dovesse riprendere il fenomeno del bradisismo positivo non saremo più in grado di difendere il territorio. Già oggi il sistema di difesa è al limite della sopportabilità, un abbassamento anche di pochi centimetri l'anno condannerebbe il Delta. Per questo l'Amministrazione comunale si associa al no formulato dalla Provincia e condivide quelle preoccupazioni che anche i tecnici del gruppo di lavoro avevano formulato".

Stoppa, che è stato tra coloro che nel dopo alluvione hanno combattuto l'ipotesi di portare le linee di difesa sulla Romea, vede così nel via libera dato all'Eni il riaffacciarsi di quell'ipotesi. "Siamo di fronte ad una nuova offensiva di quei poteri forti - continua Stoppa - che antepongono i loro bilanci alle esigenze della gente. Ci sono state intere generazioni che hanno fatto enormi sacrifici per costruire questo Delta, non potremmo mai dare il nostro assenso a chi vuol far tornare qui il mare. E' un tentativo per far tornare indietro la storia, non certo è così che il Delta, Venezia e la natura verranno tutelati. La Regione Emilia Romagna e il Ministero dell'Industria, ma anche la Regione Veneto che per il momento non ha preso posizione, devono riconsiderare questa scelta".

Tra la popolazione c'è allarme: chi sostiene che "vogliono farci andare sott'acqua", chi bolla il tutto come "una pazzia", chi ancora ricorda che "le conseguenze dell'estrazione del metano si sono fatte sentire per decenni dopo che erano state bloccate". Impossibile, anche ad insinuare il dubbio che oggi la tecnologia è diversa e presenta maggiori garanzie, trovare anche un solo cittadino favorevole. "Il mondo della pesca - sostiene il presidente del Consorzio cooperative pescatori del Polesine Gabriele Siviero - è assolutamente contrario alle estrazioni di metano e la presa di posizione del Consiglio provinciale ci trova completamente d'accordo. Già da tempo andiamo denunciando problemi come l'erosione degli scanni e la difficoltà ad esercitare la nostra attività. Se la cosa si realizzerà, vorrà dire che ancora una volta siamo stati svenduti, che il Delta è ancora una terra di conquista. La nostra speranza è che la Regione, il presidente Giancarlo Galan, non si limiti a sostenere la sua contrarietà alle estrazioni davanti a Venezia e Chioggia, ma tuteli anche noi. Finora ha preso posizione favorevole sul terminal gasiero, contraria al progetto di ambientalizzazione della centrale Enel e sugli altri siti di estrazione. Ma su questo problema? Il Delta è forse destinato ad essere sommerso?".

Il parere del tecnico. Una nota sui rischi stilata dal professor Mario Zambon.Subsidenza per decine di chilometri. Verrà accentuato il processo di erosione delle spiagge, un logorio inesorabile

Come noto, il 16 novembre 2000 il Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato con D.M. accorda alla società Eni Spa la concessione di coltivazione di idrocarburi nell'area di quaranta chilometri quadrati, ubicata in mare Adriatico, a sud-est del Delta del fiume Po, ad una distanza di dieci km circa dalla foce del Po di Goro e ad una distanza media di circa venti km dalla costa.

L'area si estende soprattutto a sud del parallelo che passa per la foce del Po di Goro, fino al parallelo subito a sud di Porto Garibaldi.

È superfluo osservare che burocraticamente la concessione è rigorosamente osservante della normativa vigente, come d'altronde tutte le altre concessioni di coltivazione degli idrocarburi che riguardano il ravennate in terraferma e a mare.

Non è superfluo ricordare che l'attuazione di queste attività di coltivazione di idrocarburi lungo la costa del ravennate e del basso ferrarese, considerate le caratteristiche geologiche di tali territori, ha segnato il definitivo pauroso degrado delle spiagge e lo sprofondamento del suolo di oltre un metro e mezzo.

A seguito della coltivazione dei giacimenti dell'area indicata dal D.M. 16 novembre 2000 dobbiamo attenderci, sulla scorta delle esperienze già fatte e documentate in zone analoghe, nell'arco di tempo del loro sfruttamento previsto di 15-20 anni circa, uno sprofondamento del fondo marino di volume confrontabile con il volume del gas estratto, alla temperatura e pressione del giacimento.

La "buca", che si genera nel fondo marino, diventa una immensa trappola per gli apporti solidi trasportati dalle correnti litoranee e dalle onde; queste ultime specialmente in occasione delle mareggiate.

È noto che gran parte del materiale solido che il Po versa in mare costituisce l'alimento indispensabile per il mantenimento del profilo di equilibrio dei litorali del Delta del fiume, ma anche delle spiagge ferraresi e in parte anche di quelle del ravennate.

Questo materiale solido, quindi, indispensabile per la conservazione di queste spiagge e litorali, viene rapidamente ingoiato da tali depressioni del fondo marino.

Si innesca quindi l'erosione delle spiagge stesse; inizia infatti l'arretramento della linea di battaglia e la destabilizzazione delle difese costiere. Le mareggiate diventano sempre più distruttive.

Questi territori, che già sono stremati a causa delle enormi estrazioni di miliardi di metri cubi di gas dai giacimenti a mare davanti alla costa del ravennate; questi territori appunto dovranno subire anche le devastanti conseguenze delle nuove coltivazioni.

Purtroppo non è tutto.

La subsidenza del fondo marino cagionata dalle estrazioni previste dalla concessione accordata alla società Eni, si propaga fino a decine di km di distanza dai pozzi di estrazione. Si vedano in proposito gli effetti delle estrazioni da giacimenti di gas secco in terraferma del ravennate profondi tremila metri circa; si vedano gli effetti disastrosi sui litorali per gli sfruttamenti dei giacimenti a mare davanti al ravennate.

Gran parte del Delta del fiume Po, specialmente la parte sud-est, è gravemente minacciata dalla subsidenza prodotta dallo sfruttamento dei giacimenti di questa nuova concessione.

Nel Delta sud-est soprattutto sono gravemente minacciate le difese a mare con un logorio lento ma inesorabile.

Non è certamente questa nuova attività dell'Eni un contributo per le fortune del parco nel Delta del fiume Po, che nonostante quanto succede al suo contorno, sia pure timidamente sta già entrando nella meravigliosa immaginazione dei giovani.

Mario Zambon

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