b)L'introduzione di armi nel parco

La difesa sostiene che il caso in esame non è regolato dagli artt. 11 e 30 della L. n. 394 del 1991, i quali vietano anche la semplice introduzione, nel parco, di qualsiasi arma non autorizzata, bensì dall'art. 21 lett. G) della successiva legge n. 157 dell'11.2.1992. Quest'ultima norma vieta il trasporto delle armi per uso venatorio nei centri abitati e nelle altre zone dove tale attività è vietata e nei giorni in cui la stessa non è consentita, a meno che le armi stesse siano scariche e in custodia. La stessa si applicherebbe anche ai parchi regionali, dato che la lett. B) dello stesso articolo ha tenuto in considerazione (sia pure per vietarla) l'attività venatoria che si svolge nel loro territorio.

Anche per questo punto va premesso un richiamo alla normativa operante.

Il divieto di caccia e quello di introduzione di armi nei parchi regionali derivano dalle disposizioni contenute nella legge 394/91: l'art. 22 ("Norme quadro delle aree naturali protette regionali") sancisce che "costituiscono principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali (...) : d)l'adozione, secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformità ai principi di cui all'art. 11, di regolamenti delle aree protette".

Orbene, fra i principi di cui all'art. 11 (inderogabili quindi dalla normativa regionale e dal regolamento del parco), si stabilisce al comma 3 che: "nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati: (...) f)l'introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati".

Il divieto è operante per ogni area protetta, per il disposto di cui all'art. 6 comma 4 che stabilisce che: "Dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all'art. 11".

Può quindi dirsi, riassumendo, che secondo la difesa l'art. 11 della L. 394-91, contrastando con l'art. 21 lett. G) della L. 157-92 dinanzi richiamata dovrebbe ritenersi abrogato; la tesi è però del tutto infondata.

Sia la giurisprudenza di merito che quella di legittimità, con orientamento univoco risalente alle prime applicazioni delle norme in oggetto e mai modificato, hanno ripetutamente escluso che la disposizione di cui all'art. 11 - 3 comma lett. A) ed F) della legge n. 394-91 sia stata abrogata dall'art. 21 della legge n. 157-92.

Tale orientamento è pienamente condiviso dal giudicante. Come già rilevato riguardo alla perimetrazione, il contrasto fra le norme è solo apparente in quanto in realtà le stesse si applicano a fattispecie del tutto diverse. Basta la lettura delle due leggi per cogliere l'assoluta diversità delle due discipline e, conseguentemente, delle finalità perseguite dalle due norme: dall'esame della lettera e soprattutto della "ratio" della norma appare in modo evidente come il richiamo contenuto alla lett. G del detto art. 21 si riferisce agli altri luoghi, in cui è vietata l'attività venatoria, previsti nel medesimo articolo; ma non certamente alle aree protette della legge 394/91, per le quali, ovviamente rimangono in vigore i divieti di introduzione di armi a qualsiasi titolo, da parte di privati.

Sul punto si è espressa chiaramente, come si è detto, la Suprema Corte la quale ha rilevato che, in assenza di un'abrogazione espressa "non si può ritenere che vi sia stata un'abrogazione implicita, in quanto sarebbe contrario ad ogni logica ed allo spirito della legge cancellare i divieti che costituiscono l'unica vera e radicale difesa della fauna protetta dei parchi nazionali" (Cass. n. 2652/1995, parte motiva; conforme Sez. I, n. 5977 del 22-05-2000).

In sostanza, la volontà del legislatore è chiara ed inequivocabile: nelle aree protette alcuni comportamenti sono vietati non per il danno evidente che possono arrecare all'ambiente, ma per la potenziale pericolosità del fatto, pericolosità che non deve essere accertata caso per caso ma è presunta dalla legge. Per questo si ritiene pericoloso introdurre armi e strumenti da caccia in un parco, rimanendo irrilevante il fatto di non aver effettivamente cacciato nel parco. Ciò è confermato dalla Suprema Corte, che sia pure in relazione a diversa condotta (e cioè il "sorvolo di veicoli non autorizzato", vietato dalla lett. H del citato art. 11), la definisce letteralmente "un'attività" che per legge si presume potenzialmente pericolosa per gli equilibri naturali dell'area protetta". (Cass. n. 8561 del 02/06/95, Sez. III).

L'orientamento è costante e risulta confermato anche da sentenze recenti, che hanno precisato l'estensione del divieto. Alcune, per la fattispecie cui si riferiscono, sono direttamente rilevanti per quanto riguarda la condotta contestata all'imputato E. V.;

così si riportano le massime di Sez. I, sent. n. 2919 del 09 marzo 2000: "ai fini della configurabilità della contravvenzione al divieto di introduzione di armi in area protetta, è sufficiente la constatata presenza del privato, senza la prescritta autorizzazione, all'interno dell'area e in possesso di arma e munizioni, a prescindere dalla flagranza dell'attività venatoria o dell'atteggiamento di caccia, costituendo il relativo divieto lo strumento prescelto dal legislatore per la radicale salvaguardia della fauna protetta".

e di Sez. III, 22 ottobre 1999, n. 30:

"Il reato...è configurabile anche nel caso in cui l'arma venga trasportata, scarica, chiusa nella sua custodia ed a bordo di un veicolo, durante l'attraversamento dell'area protetta da parte di soggetti diretti altrove, e ciò senza che in contrario possa farsi richiamo, trattandosi di un fucile da caccia, all'art. 21, lett. g) L. 11 febbraio 1992 n. 157, in base al quale è consentito il trasporto delle armi da caccia purché scariche e chiuse in custodia, anche in zone in cui è vietata l'attività venatoria, atteso che tale disposizione, riferendosi alla "altre" zone in cui opera il detto divieto, non vale relativamente ai luoghi specificatamente indicati alle lettere da a) ad e) dello stesso art. 21 (tra i quali figurano i parchi nazionali e le riserve naturali)".

Può dunque concludersi che è reato l'introduzione di armi e munizioni in un territorio di un parco regionale, senza essere a ciò autorizzati, anche se le armi sono scariche e custodite e l'attraversamento sia finalizzato a raggiungere aree diverse in cui la caccia è consentita.

Nel caso in esame è pacifico che l'imputato è entrato, con la sua autovettura e poi con la barca, nel territorio del Parco del Delta del Po portando con sé armi e relativo munizionamento: va quindi ritenuta sussistente la condotta incriminata.

L'elemento soggettivo del reato

La difesa dell'imputato ha sostenuto altresì la carenza dell'elemento soggettivo del reato, ritenendo sussistente nel caso in esame ignoranza incolpevole della norma penale da parte dell'imputato.

Sul punto va premesso che si tratta di contravvenzione, pertanto punibile sia a titolo di dolo che di colpa. Ora, è principio consolidato che per la punibilità delle contravvenzioni è richiesta almeno la colpa, per cui il soggetto che riesca a provare la sua buona fede deve essere assolto; e la Suprema Corte nel suo orientamento consolidato (si veda per tutte Cass. n. 319/1982) identifica la buona fede in materia contravvenzionale con il caso fortuito, la forza maggiore e l'errore scusabile, per cui la considera sussistente soltanto nel caso in cui l'imputato riesca a dimostrare di aver fatto tutto quanto poteva per osservare la norma violata.

Nel caso in esame, è pacifico che l'esistenza del divieto di introdurre armi nel Parco del Delta del Po era conosciuto dall'imputato: si veda sul punto la deposizione del teste Canella; sostiene però la difesa che E. V. incolpevolmente riteneva di non commettere alcuna infrazione, essendo stato inevitabilmente tratto in errore da una serie di elementi di fatto che lo hanno indotto a pensare che il divieto non riguardasse le armi scariche e custodite.

Egli dunque valorizza a tal fine alcuni elementi, quali il fatto che la Provincia di Rovigo avesse espresso un parere favorevole all'ingresso nel parco dei cacciatori e l'oggettiva incertezza sulla legittimità dell'introduzione di armi che risulterebbe anche dagli articoli di stampa prodotti.

Ora, si vedrà che gli elementi di fatto addotti dall'imputato non avevano affatto il carattere di certezza tale da creare, quali "fattori esterni", quell'irriconoscibilità generalizzata cui deve farsi riferimento per accertare il carattere inescusabile dell'ignoranza legis, secondo i principi espressi nella sentenza della Corte Costituzionale.

Infatti le disposizioni emanate dalla Provincia di Rovigo prodotte come allegato n. 1 e 2 e richiamate dalla difesa sono tutte successive al fatto; lo stesso dicasi degli articoli di stampa prodotti come allegato n. 3 e 4, i quali sono entrambi del 1999. Quindi tali "fatti" non possono aver influito sull'elemento psicologico di un fatto avvenuto il 26.12.1998.