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Chiesa e Musica (3)




In questa trattazione, alla luce del vivace ed intenso scambio di opinioni creato dalla precedente Riflessione, riportiamo un articolo di un sacerdote apparso sul Notiziario n. 5 dell' Ufficio Liturgico Nazionale. Il titolo del pezzo è 'Se questo è celebrare cantando...' e lo riportiamo come appare sulla rivista, corsivi compresi:

Se questo è celebrare cantando...

E' una vibrata testimonianza di Don Franco Gomiero, parroco a Mestre (VE) e docente al CO.PER.LI.M. dell'Ufficio Liturgico Nazionale. Ne risulta un forte richiamo ai parroci, agli operatori pastorali e ai responsabili diocesani in vista di interventi formativi e disciplinari che tendano a far superare La soglia troppo "bassa" di certa prassi musicale.

Ho tra le mani il foglio dei canti, che un gruppo giovanile ha preparato per la Messa del sabato sera in una delle più grandi parrocchie della mia diocesi. All'inizio trovo il seguente canto:

Oh, oh, oh.
Vivi il momento che va, cogli l'attimo adesso.
Eh, eh, eh.
Lui va a scuoLa ma non sa perché, butta i giorni nella noia.
vive dentro una fotografia, inseguendo un sogno fragile.
Lui non ha tempo per nessuno, sta viaggiando nel futuro.
Lei ripensa i passi che non ha, sta vangando nel passato;
ha negli occhi un che di arido. Se potesse cambierebbe tutto di sé
Ma ormai l'acqua che è passata non fa più girar La ruota.
Al centro di questo presente scorre l'eterno nelle cose.
E se quest'attimo tu ami, incontri Dio nella tua vita.

Alla preparazione dei doni:

Oh freedom, oh freedom, oh freedom, over me!
And before I'll be a slave, I'll be buried in my grave,
and go home, and go home, to my Lord, and be free.
No more morning... over me! No more shuting... over me!

Al "Santo":

Santo, santo, santo los cielos te proclaman.
Santo, santo, santo es nuestro Rey ]ahvè.
Santo, santo, santo es el que nos redime.
Porque my Dios es santo y La tierra hiena (!) de su gloria es. Porque ..
Cielo y tierra pasaran, mas tus palabras no pasaran...
no, no, non pasaran...
Bendito el que viene en el nombre del Senor,
da gloria a Jesucristo, el hijo de David.
Hossana en las alturas a nuestro Salvador.
Bendito...

Canto di comunione:

Sono ancora qui stasera a guardar questo stellato ciel:
è sempre lo stesso, ma stasera no, qualcosa c'è,
qualcosa di diverso nel mio cuore, non so cos'è,
cerco il senso, il senso delle cose intorno a me.
Sento di una fiamma il suo calore, vedo un fuoco
e giunge nel mio cuore, seguo una scintilla fino al cielo
e poi, lassù nel blu, miriadi di stelle attorno a me,
ed io quaggiù, ammiro il creato, e trovo il suo senso dentro di me.
Scorgo all'improvviso un bagliore, una stella in ciel
nasce e muore, nel silenzio un desiderio sale su,
se ancora Dio vuol darmi la speranza di sognare,
io so che Lui sogna per noi un mondo di amore e libertà.

Non conosco la musica di questi canti. Comunque sia, i testi sono da brivido: non so se sia per le altezze dei sentimenti e delle immagini che evocano, o se sia per il vuoto che mi fanno sentire sotto i piedi. Non so se applaudire alla fantasia di quei giovani, o se denunciare la perdita di ogni criterio e di ogni buon senso sia negli "educatori", sia nel prete che presiedeva la celebrazione. Il mio senso critico, sinceramente, non mi fa essere molto generoso, non mi fa accettare questo genere di linguaggio e questo plurilinguismo gratuito e inutile, non richiesto dalla conformazione dell'assemblea, in cui non c'era ombra di straniero. Né mi risulta che fossero tutti poliglotti i partecipanti a quella Messa. (...).
Non capisco le ragioni di quelle scelte. Soprattutto non capisco perché tanta disinvoltura nel manipolare i testi liturgici e consentirne l'uso semplicemente per ragioni di musica e di ritmo. E' una piaga che si sta diffondendo. Ma non si ha il coraggio di intervenire e curare.
Al posto del canto del Vangelo capita di sentir cantare:

"La nostra festa non deve finire e mai finirà,
perché la festa siamo noi... che cantiamo così: alleluia...."


Succede anche che al "Santo" si vada in prestito di una melodia africana con un bel ritmo e un "Osanna eh", che piace e fa danzare i bambini. (...). Allo scambio del segno della pace, si canta la "Preghiera ortodossa", oppure "Evenu shalom" o simili, e non si dà alcun rilievo al rito dello spezzare il pane, saltando perfino l'acclamzione- invocazione "Agnello di Dio".
Mi è capitato di partecipare ad una celebrazione d'ingresso di un nuovo parroco, mio amico. Al "Padre nostro', dopo una sua calda monizione a pregare insieme la preghiera del Signore, tutti siamo costretti al silenzio. Sulle note della canzone "Sound of silence" di Paul Simon, il coretto si mette a cantare da solo:

Padre nostro, tu che stai in chi ama la verità
ed il regno che Lui ci lasciò venga presto nel nostro cuor
e l'amore che suo Figlio ci donò, o Signor, rimanga sempre in noi.
E nel pan dell'unità. dacci la fraternità
e dimentica il nostro mal, che anche noi sappiamo perdonar
Non permettere che cadiamo in tentazion, o Signor,
abbi pietà del mondo.


Non è possibile ammettere questi scempi. Stiamo perdendo anche quel minimo di dignità, che neppure i testi peggiori del devozionalismo italiano hanno mai perso. Non si può far passare simili testi nella Liturgia! Questo non è celebrare cantando. Questo non è cantare a Dio. è semplicemente cantarsi addosso alla presenza di Dio. Ma la liturgia non è fatta per questo (...). Penso piuttosto che, pur di non perdere la patente di modernità e di apertura al mondo dei giovani, pur di salvare quei pochi che ancora partecipano, si chiudano occhi e orecchi e si lasci passare tutto. E senza rendersi conto che in questo modo si compie la più subdola e irriverente strumentalizzazione della Liturgia e delle persone che non possono sapere, e che soprattutto i preti hanno il dovere di educare e formare.
La Liturgia non è un semplice contenitore di canti e preghiere, con i quali intrattenere i giovani e farli stare in chiesa nella maniera più indolore possibile. La difficoltà di comprendere e di partecipare, che non è solo dei giovani, non si supera lasciando fare loro quello che "sentono" o che è di loro gradimento. Tener conto delle persone che formano l'assemblea non significa rinunciare ad ogni regola o assumere come unico criterio di valutazione e di scelta i loro gusti e le loro abitudini. Ci sono altri criteri e altre esigenze di cui tener conto, se non si vuole snaturare il senso della convocazione.
Non ci si raduna per manifestare a Dio i propri gusti e le proprie abitudini, per fargli sentire i "nostri canti" e "le nostre preghiere", per raccontargli i nostri guai, i nostri sogni, i nostri problemi, per fargli conoscere il nostro mondo, come se non ne sapesse niente. Dio conosce molto bene il nostro mondo, sia quello dei giovani e dei ragazzi, sia quello degli adulti. Non ha bisogno che glielo raccontiamo. Siamo noi che non conosciamo abbastanza il suo, nel quale ci chiama ad abitare e per il quale ci invita a collaborare. La Liturgia si fa per ripresentare questo mondo di Dio, per raccontare il suo progetto affinché nessuno perda la speranza e ogni discepolo del Signore faccia la propria parte. I gusti e le abitudini, se ci sono, devono essere messi al servizio della rivelazione di Dio e del dialogo che essa stessa rilancia e alimenta.
Chi entra nella celebrazione deve sapere e deve accorgersi che non è al supermarket religioso, pieno di offerte e di specchietti che invogliano al consumo, ma si trova come in un laboratorio, in cui la propria vita è presa amorevolmente dalle mani di Dio e (ri)modellata sulla forma di Cristo, perché diventi vita che si dona.
Andare alla Messa è come andare a giocare fuori casa. è entrare in una dimensione diversa. Non si va alla Messa per (ri)trovare se stessi, il proprio gruppo, le proprie canzoni e la propria autoidentificazione. Alla Messa si va per trovare la vita di Dio, che si è manifestata in Cristo e viene donata, affinché ciascuno si nutra di essa. Solo se si trova la vita di Dio e si ha la possibilità di immergersi in essa, si può dire di aver preso parte ad una azione 'liturgica'.
Queste cose anche ai giovani bisogna dirle. (...). Nella Liturgia si canta e si racconta prima di tutto la vita e le opere di Dio. Perché lo scopo della Liturgia è offrire a Dio, come Maria, la possibilità di manifestarsi come Dio-che-salva, come Dio che continua ad essere Redentore e Salvatore. I canti devono far cantare, prima di tutto, l'azione di Dio, come il cantico di Maria, di Zaccaria, di Simeone e tutti gli altri del Nuovo e Antico Testamento. In questi cantici c'è anche la propria vita, c'è anche la propria esperienza personale o quello di tutto il popolo e di tutta la comunità, ma tutto viene visto e raccontato alla luce dell'amore di Dio, allo scopo di rivelarne l'efficacia e di alimentare la speranza che egli continui a salvare.
La specificità dell'azione liturgica richiede che si faccia con urgenza una selezione intelligente, illuminata e coraggiosa.
Celebrare cantando non vuole dire infarcire o infiorire di canti la celebrazione, per dare un senso di festa, per creare emozioni che i riti e le preghiere previsti non danno, per soddisfare esigenze di inopportuno protagonismo o per colorare il raduno di modernità e giovanilismi. Facendo così, si riproducono suoni e immagini, che inchiodano i giovani al loro mondo, piuttosto che aiutarli a cercare fuori di sé, nell'incontrare con Cristo la possibilità di un'esistenza alternativa, in cui si dà spazio all'audacia e alla fantasia delle persone libere.
Poiché nella Liturgia è Dio che si celebra, bisogna scegliere quei canti in cui è Dio che si canta e si racconta.

Don Franco Gomiero
Da Musica e Assemblea 1 (1996).



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