Logo Arretrati

Parlare di Musica




Curiosamente, mentre mi accingevo a scrivere queste righe, su 'Tuttolibri', supplemento al numero de 'La Stampa' dell' 8 Ottobre, è apparso un articolo, a firma Sandro Cappelletto, dal titolo "L'Editoria Musicale: Così Lenta, Così ostica.", in cui viene dibattuto l'ormai annoso problema dell'editoria musicale italiana. Partendo dal dato incontrovertibile che il numero dei titoli musicali apparsi nel 1996 è esattamente uguale a quello di dieci anni prima, l'articolista snoda la sua trattazione tra i vari aspetti dell'editoria musicale italiana, andando a focalizzarne diversi punti tra i quali, molto importante riteniamo sia l'eccessiva e molto spesso autocompiaciuta esasperazione del tecnicismo dei testi. Cappelletto, testualmente, recita: "Individuare e descrivere una modulazione ben nascosta è diventato più importante che capire perchè sia stata scritta: la materialità dell'oggetto si è imposta sul suo significato e senso." e, ancora: "Per un libro che sappia ancora 'parlare' di musica, siamo travolti da decine di relazioni, atti, saggi, contributi che neppure si pongono il problema della divulgazione autorevole, compiaciuti invece del raggiunto specialismo tecnico.". E conclude lamentando che se è vero che gli Italiani sono un popolo musicalmente ignorante, anche " i 'Maestri Cantori' non si danno troppa pena per farsi capire dalla plebe del lettore medio.".
Fin qui l'articolo di Tuttolibri, che capita a fagiolo per introdurre il tema della nostra riflessione. Come infatti accade per l'editoria, anche per l'interpretazione organistica stiamo scivolando verso una situazione in cui, a forza di scavare alla ricerca dei particolari più nascosti, si perde troppo spesso di vista l'aspetto musicale ed artistico globale delle opere.
Questo discorso è solo all'apparenza semplice. Infatti questa evoluzione interpretativa in senso sempre più strettamente filologico, se da una parte aiuta a recuperare particolarità tecniche, foniche e stilistiche che in precedenza non venivano neppure notate, dall'altra espone a notevoli rischi, il più pericoloso dei quali è lo smembramento formale dei brani ed una loro considerazione 'tout court' come semplici costruzioni formali e stilistiche. Ho potuto personalmente ascoltare giovani ma già autorevoli concertisti sezionare ed analizzare frase per frase, battuta per battuta e nota per nota le opere organistiche di Franck. Ottimamente preparati, costoro sono a perfetta conoscenza delle caratteristiche tecniche e foniche degli organi francesi dell'epoca e di quello di S.te Clotilde in particolare; hanno una eccezionale padronanza dell'analisi musicale, tale da riuscire a scoprire frammenti di temi perfino nelle pieghe più armonicamente complesse dell'opera. Dalle loro analisi tutti i particolari ne escono chiari e limpidi... ma la visione globale dell'opera, e di conseguenza la loro interpretazione, è simile a quella di un puzzle appena terminato: si vede che l'immagine è composta di tanti pezzettini, molto ben uniti tra di loro, ma sempre di pezzettini si tratta.
In definitiva, proprio come per l'editoria, per un organista che sappia cogliere la piena unitarietà musicale dei brani, ce ne sono altri dieci che privilegiano troppo l'analisi dei particolari e troppo se ne compiacciono. E di questo la discografia organistica odierna ne presenta svariati esempi.
Molti pensano che il motivo di questo atteggiamento sia dovuto ai troppi filologi che condizionano con le loro teorie i giovani musicisti. D'altra parte è anche vero che alcuni di costoto (i filologi) cambiano spesso e volentieri opinione, sia perchè il lavoro di ricerca prosegue, sia perchè altrimenti verrebbero messi molto presto da parte e tacciati di 'vecchio'. Alcuni di loro, ad esempio, che oggi predicano l'esecuzione delle fughe organistiche di Bach con una sola ed unica sonorità, sono gli stessi che non più tardi di dieci anni or sono raccomandavano caldamente di variare il più possibile la registrazione.
Ma non ci pare questo il motivo. Quello vero, a mio modesto avviso, è che si sta perdendo poco a poco la capacità di ascoltare e cercare di capire la musica con il cuore. Uno dei miei vecchi insegnanti mi diceva che la musica prima parla al cuore e dopo, solo dopo, al cervello. E mi faceva l'esempio di una persona che, ascoltando parlare un'altra persona, ne apprezzava la sintassi, il periodare, la perfetta grammatica e la proprietà di linguaggio.... ma non riusciva a coglierne il senso.
Ecco, secondo me ci stiamo abituando troppo a ragionare e troppo poco a 'sentire', nel senso di ricevere sensazioni. In un mondo sempre più tecnologico ove conta soprattutto la capacità di ragionare precisamente e freddamente, anche nel campo musicale è normale che si verifichi una sempre maggiore 'razionalizzazione' sia della proposta che della fruizione della musica.
Personalmente, ma io sono ormai, e non solo musicalmente, vecchio, ogni tanto preferisco rituffarmi in una musica che, seppur eseguita lontanissimamente dalle moderne filologie e mode, riesce ogni volta a comunicarmi sensazioni nuove: le esecuzioni bachiane organistiche di Albert Schweitzer.



Torna all'Indice Considerazioni e Riflessioni
Torna all'Indice Categorie


Copyright "La Pagina dell'Organo" - 1996-2010