Il restauro degli organi è una faccenda complessa e difficile, che esula dalle normali problematiche del restauro
artistico per comprendere un'interdisciplinarietà che spazia dagli stessi ambiti della costruzione degli organi nuovi a tutta
quella vastissima area storico-culturale che vede strettamente collegate ed interdipendenti filologia musicale, storia
della musica, tecnica organaria antica, ed altre innumerevoli discipline che solamente sessant'anni or sono neppure venivano
immaginate.
A ben vedere, il restauro "filologico" degli antichi organi è una caratteristica abbastanza recente, sia a livello nazionale che, pur
con le dovute eccezioni, europeo. Un fatto di basilare importanza, sotto questo punto di vista, è che l'Italia può vantare
un patrimonio di organi storici che, quantitativamente, è di molto superiore, ad esempio, rispetto alla Francia o alla
Germania. In Francia, infatti, la Rivoluzione prima ed il quasi totale monopolio organaro dei Cavaillé-Coll dopo, non
hanno lasciato un grande numero di strumenti classici, e quei pochi rimasti sono, giustamente, venerati e considerati con la dovuta
attenzione. In Germania sono invece state le vicende del Secondo Conflitto Mondiale a decimare un patrimonio organario di enorme
valore. Qui da noi, al contrario, i nostri antichi organi sono ancora, perlopiù, sulle loro tribune, magari pieni di polvere
e male in arnese, ma ci sono.
Ed è su questo patrimonio musicale che si innesta la problematica del restauro, che, come abbiamo detto, investe una quantità di problematiche che qui noi ridurremo a due domande essenziali: "Restaurare si o no?..... e come restaurare?".
La prima domanda sembrerebbe abbastanza ovvia, ma abbiamo visto troppo spesso spendere cifre esorbitanti per restaurare
strumenti di scarso valore storico e di ancor minore valore fonico e musicale. Parimenti, abbiamo il dispiacere di
continuare a constatare che innumerevoli organi di grande firma e di notevole pregio rimangono in balia di topi,
tarli e dell'incuria.
A monte di tutto questo sta sicuramente una politica di tutela degli organi antichi che, lasciando ai singoli la discrezionalità degli
interventi, di fatto impedisce che si possa mettere in opera un'azione organica di recupero basata su di una visione generale e
complessiva della situazione del patrimonio organario nazionale. A questo proposito, ci si lamenta troppo spesso (e chi
scrive non si stanca di lamentarlo) per il disinteresse del clero nei confronti degli organi di cui è depositario e custode,
ma è anche vero che se anche in Italia, come invece si fa altrove, si promuovesse a livello nazionale e sulla base di rigorose valutazioni
di merito (le schedature delle Sovrintendenze che ci stanno a fare?) un'azione di restauro degli strumenti più
importanti e significativi (e sono veramente tanti!), sicuramente non dovremmo dolerci del fatto che preziosi ed
importanti strumenti giacciono nella polvere e nell'abbandono.
Alla domanda se restaurare, quindi, rispondiamo affermativamente ma a condizione che venga fatto con oculatezza, poichè esperienza dice che non sempre
un restauro "a tutti i costi" è un buon affare. Se una parrocchia scopre di avere in soffitta un pregevole Antegnati il
restauro si impone, così come si imporrebbe un sostanzioso contributo statale. Se, invece, lo strumento è un anonimo organo senza grandi valenze sarà sufficiente una buona pulitura ed una ripassata per mantenerlo efficiente, evitando di spendere cifre spropositate
rispetto al suo effettivo valore.
La risposta alla seconda domanda, cioè in che modo restaurare, è strettamente legata a quanto detto in premessa. Diamo prima di tutto atto che
al giorno d'oggi ci sono innumerevoli tipologie di restauro, che vanno dal completo ripristino di uno strumento nelle sue
condizioni originali e, attraverso vari e diversi livelli di intervento, arrivano fino all'applicazione delle più moderne
tecnologie informatiche. In quest'ottica, riteniamo che per ogni situazione si possa intraprendere la strada migliore
per un buon restauro. Personalmente, sempre tenendo conto dell'importanza dello strumento, ritengo che per gli antichi
organi meccanici, quando possibile, sia da preferirsi il restauro "ad origine", cioè riuscire, quando confortati da
documentazione e riscontri archivistici, a riportare lo strumento nelle condizioni originarie di costruzione. E' ovvio che
questo tipo di intervento è possibile solo in casi particolari, ma rimane il tipo di intervento migliore. Altri tipi di
restauro, anche utilizzanti tecnologie di recente attuazione, possono invece applicarsi ad organi di tipo pneumatico od
anche, con le dovute cautele, a strumenti meccanici di dimensioni e complessità tali da richiedere, oltre al ripristino
delle meccaniche e delle foniche originali, anche un sistema trasmissivo più pratico e "maneggevole"; a questo proposito
sono numerosissimi gli esempi di applicazione di trasmissione elettrica e/o elettronica in sovrapposizione a trasmissioni
meccaniche.
In conclusione, possiamo dire che ormai le tecniche del restauro degli organi hanno raggiunto livelli di assoluta affidabilità
e garantiscono risultati eccellenti; il vero problema, quindi, consiste nel riuscire a determinare caso per caso la tecnica
migliore da applicare. Sotto questo punto di vista, purtroppo, troppe sono ancora le differenze che si riscontrano, e questa
soggettività si può ben constatare vedendo in quanti modi diversi vengono attuate da Sovrintendenze diverse ed a seconda
delle convinzioni personali dei loro esperti, operazioni di restauro di strumenti simili tra di loro. Nonostante tutto,
riteniamo che, almeno in questo delicato campo dell'organaria, sarebbe auspicabile e molto utile un'analisi più oggettiva delle varie
situazioni ed una più omogenea risoluzione dei problemi.
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