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Per chi suona l'organista




Abbiamo già accennato diverse volte al problema del pubblico e della critica, problema che in campo strettamente organistico non dovrebbe esistere, data la caratterizzazione univoca dell'organo quale strumento essenzialmente liturgico. Dato che i concerti organistici sono comunque entrati da tempo, ed a pieno titolo, nel campo dello spettacolo musicale, è giocoforza prendere in esame questo delicato aspetto di un problema che ha sempre dato origine a notevoli discussioni tra gli addetti ai lavori.
Iniziamo subito nel dire che la "critica" in genere consiste nell'esaminare e giudicare qualcosa fatto da qualcuno per trovarne i difetti e, di conseguenza, correggerli. Questo vale, ovviamente, per tutti i tipi di critica, da quella letteraria a quella artistica fino a quella musicale. L'azione della critica, poi, si svolge sempre tra due attori: chi fa qualcosa e chi giudica come viene fatto questo qualcosa.
Detto questo, il primo pensiero che viene in mente ad un osservatore terzo è il seguente: quali conoscenze e capacità ha una persona per poter giudicare qualcosa fatto da qualcun'altro? Calando questa domanda, molto banalmente, nel campo della critica musicale -ed organistica- la prima considerazione che si può fare è che un musicista debba essere criticato, almeno, da un altro musicista che abbia, almeno, il suo stesso grado di preparazione. E' ritenuto infatti abbastanza scocciante, ad esempio, per un pianista, ricevere critiche sulla tecnica da persone che maneggiano molto abilmente la penna ma che quanto a muovere le dita su di una tastiera lasciano molto a desiderare. Sta peraltro di fatto che nessuno si sciropperebbe mai dieci anni di Conservatorio per conseguire un diploma in pianoforte od in organo al solo scopo di poter 'fare le pulci' ai suoi colleghi dalle colonne di un giornale.
Il secondo pensiero che sorge in questo campo è quanto la "Critica" rispecchi la "normale sensibilità" del grosso pubblico. In questo campo può succedere tutto ed il contrario di tutto. A chi scrive è capitato di assistere a rappresentazioni liriche applauditissime dal pubblico e stroncatissime dalla critica. Questi sono, secondo chi scrive, i danni più gravi che la Musica possa subire, poichè creano quella frattura che ha portato, con il passare dei decenni, molti musicisti ad effettuare una scelta: suonare per il pubblico oppure suonare per la critica.
Qui il problema si fa serio e scottante. Chi scrive ha avuto modo di ascoltare con le sue orecchie, dietro le quinte di diversi concerti e teatri, frasi sul tipo "Stasera possiamo fare quello che vogliamo: in sala non c'è nessuno che capisca qualcosa...". Questa frase, di per se ingiuriosa non solo nei confronti del pubblico ma anche, e soprattutto, di chi la pronunciava, sta a testimoniare quanto pesante sia l'incidenza della presenza o meno di un critico musicale in sala. Orbene, a nostro modestissimo parere, questo è, da parte dei musicisti, un atteggiamento di vigliaccheria, poichè sottintende che costoro si impegnano nel loro lavoro -perchè di lavoro si tratta, anche se artistico- solo quando hanno la consapevolezza di essere "sorvegliati" da vicino. E questo è il contrario di quello che dovrebbe essere lo scopo principale ed universale della Musica: educare e contribuire all'elevazione culturale e spirituale degli uomini, a prescindere da tutto il resto.
Utopie a parte, purtroppo, questo dualismo interpretativo è latente in ogni musicista, ed è reso patente dalla presenza in sala del temutissimo "critico", considerato spesso come una specie di Capo Reparto ignorante del mestiere ma a cui si deve, obtorto collo, ubbidire per non perdere il posto. Dato atto che, in effetti, esistono critici musicali sotto la cui giornalistica scorza si celano musicisti con i fiocchi, è purtuttavia vero che, e questo è l'aspetto più triste di tutta la vicenda, per la carriera artistica di un musicista contano di più tre o quattro lusinghiere recensioni sulla stampa (scripta manent) piuttosto che decine di concerti osannati dal solo pubblico (verba volant).
A questo punto, e dispiace dirlo, il terzo attore -il pubblico- conta abbastanza poco. Se è anche vero che il "grosso pubblico", come viene definita la massa di persone di media cultura musicale che frequenta le sale da concerto, è abbastanza gestibile (in effetti bastano tre o quattro sapienti Capo-claque disseminati nella sala per trascinare nell'applauso tutti gli altri), è anche vero che il successo di una rappresentazione teatrale o di un concerto dipendono escusivamente dal pubblico, a prescindere da quanto pensano -e scriveranno- i critici presenti in sala. E, a questo punto, conta moltissimo l'atteggiamento con cui il pubblico si approccia all'evento musicale, ed è molto raro che primeggi lo spirito critico "tout-court". Questo perchè chi va al concerto od al teatro, di solito ci va con l'intenzione di "divertirsi", considerando questa parola nel suo significato più proprio: cambiare momentaneamente i normali orizzonti di vita per cercare uno svago ed una distrazione. Ed è in quest'ottica che il pubblico solitamente si comporta, perdonando spesso le inevitabili piccole magagne che fatalmente "acciaccano" uno spettacolo. Nell'applauso del pubblico c'è, prima di tutto, il ringraziamento al musicista ed all'artista per il "divertimento" che procura e se talvolta, con grande irritazione dei critici, il pubblico applaude anche se qualche voce incespica o qualche dito cede sulla tastiera, in quell'applauso c'è il rispetto per una persona che si esibisce per gli altri e che cerca di dare loro qualcosa di bello: la musica.
A questo punto il discorso si potrebbe ampliare e dilatare all'infinito, tirando in ballo svariatissimi fattori e varianti in cui riteniamo decisamente arduo inoltrarci e che molto bene sono già stati analizzati dal grande Theodor Adorno nei suoi scritti sulla Sociologia della Musica, testi a cui rimandiamo i lettori più curiosi.
Quello che, in definitiva, rimane sul tavolo della discussione è una domanda. A parte "Soli Deo Gloria", per chi suona l'organista?



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