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L'erba del vicino - Organo Italiano (4)




Abbiamo già espresso qualche volta in passato su queste pagine la nostra personale opinione circa la realizzazione di organi di ispirazione o costruzione straniera in Italia, facendo i dovuti distinguo e cercando di argomentare le nostre convinzioni. L'articolo dedicato al nuovo organo Formentelli di San Domenico di Rieti, scritto dalla prestigiosa firma del Prof. Graziano Fronzuto (e qui cogliamo l'occasione per ringraziarlo ancora una volta per questa ulteriore "chicca" che va ad arricchire i contenuti di questo sito), ci spinge ad affrontare ulteriormente l'argomento.
Premettiamo, onde evitare malintesi e/o sospetti di aprioristiche antipatie nei confronti di qualcuno, che riteniamo l'organo di Rieti un vero e proprio capolavoro, così come riteniamo Formentelli uno dei pochi organari la cui coerenza è assolutamente invidiabile e le cui realizzazioni raggiungonon molto spesso -se non addirittura sempre- un livello di accuratezza da rasentare la perfezione.
Detto questo, che peraltro non è il problema in questione, intendiamo qui spendere ancora alcune parole in merito agli organi stranieri in Italia. Prima di tutto per rilevare che se è vero -come in effetti lo è- che "ab immemorabilis" organari stranieri hanno realizzato strumenti di impostazione e tipologia estera qui in Italia (se andate a Roma ne troverete a decine), è altresì inconfutabile che -lasciando ovviamente da parte l'ultimo mezzo secolo- essi hanno realizzato strumenti della loro epoca. Un esempio conosciuto da tutti gli addetti ai lavori è il Merklin 1881 della chiesa di San Luigi dei Francesi, appunto a Roma. Questo organo è uno dei più noti ed importanti esempi di organaria francese realizzato in Italia. Ma Merklin costruì un organo del "suo tempo" e non uno strumento basato sull'organaria francese di trecento anni prima. Lo stesso discorso vale per gli altri organari stranieri che in passato operarono qui da noi, non ultimo il famoso Wilhelm Hermans, che un paio di secoli prima di Merklin portò nella nostra penisola l'organaria germanica, sempre però realizzando strumenti del suo tempo. In pratica, ed è questo che intendiamo sottolineare con il nostro discorso, gli organari stranieri che nel passato realizzarono i loro strumenti in Italia contribuirono a far "evolvere" l'organaria italica apportando le novità tecniche e foniche dei loro Paesi e non, come troppo spesso succede oggi, facendola "involvere" realizzando strumenti che, in effetti, riportano l'orologio dell'organo indietro di secoli.
Questo per dire, in definitiva, che -secondo noi- anche l'organo, come tutte le cose del mondo, deve seguire l'evoluzione ed il cambiamento dei Tempi e non, come purtroppo accade un pò dappertutto, tornare indietro. E' un pò il discorso di come anche il più filologico degli organisti e degli organari, dovendo acquistare una vettura nuova, non si farebbe mai costruire una carrozza a cavalli, ma sceglierebbe -come in effetti sceglie- una vettura dotata di tutti i comforts e gli accessori che la moderna tecnologia gli mette oggi a disposizione. Ovviamente l'essenza dell'automobile rimangono sempre un motore, quattro ruote ed un volante per guidarla, così come l'essenza dell'organo rimarranno sempre il somiere, le canne e la consolle per suonarlo.
Una seconda considerazione riguarda il fatto che ormai troppo spesso organisti, organari e committenti italiani, trovandosi di fronte alla possibilità di realizzare un nuovo organo, invece di ispirarsi, come sarebbe non solo logico ma doveroso, alla quasi bimillenaria tradizione organaria italiana, si lasciano guidare dalle loro personali convinzioni estetiche e dai loro gusti musicali. Nulla di particolarmente grave, poichè è normale che ogni persona che si dedica in qualche modo all'organo ed alla sua musica abbia le sue personali preferenze; ma, secondo noi -e lo diciamo senza timore di essere smentiti- l'organaria italiana (e qui intendiamo "tutta" la storia dell'organo italiano) ha tutte le possibilità di soddisfare ogni esigenza senza forzosamente doversi andare ad appellare alla storia dell'organo degli altri Paesi. Se, poi, consideriamo che è anche grazie all'opera dei sopracitati organari stranieri che l'organo italiano è arrivato nei secoli ad una completezza di foniche e di timbriche che non lo rende secondo a nessuno, possiamo anche considerare positivamente la costruzione di strumenti ispirati all'organaria germanica o francese, ma a quella di oggi, non certo quella di tre secoli orsono.
D'altra parte non ci risulta (ma saremo lieti di essere prontamente smentiti) che in Francia o Germania, in occasione della costruzione di organi nuovi, si ricorra alle antiche bottege organarie italiane per costruire organi uguali a quelli che venivano costruiti qui in Italia nel Diciassettesimo secolo. Ci risulta, invece, che in quei Paesi, dove la filologia organistica è una cosa molto più seria che da noi, i nuovi organi vengano realizzati da una parte mantenendo ben salde le caratteristiche fonico-timbriche delle loro tradizioni (ed è qui che la filologia dà i suoi frutti migliori) e, dall'altra, coniugando in modo impeccabile le tecniche trasmissive antiche (nessun dubbio può infatti esistere, ormai, sul fatto che la trasmissione meccanica sia la migliore in assoluto) con le più moderne risorse della tecnica di azionamento e combinazione dei registri.
Purtroppo la verità è che l'organo italiano è da tempo considerato sia dagli organisti che dagli organari una tradizione di "serie B". A parte la musica antica, per l'interpretazione della quale abbiamo, fortunatamente, un patrimonio strumentale che tutta Europa ci invidia ed un'agguerrita schiera di organisti di calibro assolutamente mondiale, il nostro Otto-Novecento organistico è pressochè dimenticato. Tournemire, Vierne, Dupré e Reger sono il pane quotidiano dei nostri virtuosi dell'organo, che dimenticano troppo spesso nomi altrettanto prestigiosi nostrani quali Ravanello, Manari, Renzi, Tebaldini, Napolitano, Capocci, Sgambati, Respighi, Perosi, Matthey e Yon (solo per citarne alcuni).
E' anche per questa colpevole "dimenticanza" di un intero periodo artistico e musicale che l'organo italiano, oltre a non avere presente, trova, e troverà sempre, enormi difficoltà a costruirsi un futuro autonomo e sganciato dalle influenze estere. Quando si cancellano duecento anni di una tradizione quasi bimillenaria viene inevitabilmente a mancare il necessario collegamento tra passato e presente, ed è proprio questa vacanza che viene surrogata con quel ritorno al passato, quel "salvagente che soccorre il naufrago stremato" di cui parla il Professor Fronzuto nel suo articolo, che si risolve quasi sempre in un mero esercizio di stile, bello, perfetto, impeccabile ed ineccepibile fin che si vuole, ma essenzialmente fine a se stesso e sterilmente autoreferenziale.
Concludendo questa nostra trattazione, saremmo molto più contenti se in Italia, invece di guardare al passato dell'organo straniero, si guardasse, ovviamente tenendo conto di tutta la sua tradizione e senza lasciarne per strada pezzi importanti, al futuro dell'organo italiano. Altrimenti la risposta all'ultima domanda del Professor Fronzuto ("ma vi sarà un futuro?") non potrà che essere negativa.



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