Cattedrale di Treviso

E' curioso come cambiano le cose. Si strombazzano a tutti i venti proclami e programmi per la tutela e la "rinascita" della tradizione organaria italiana e poi, vedi alcune nostre passate pagine, ci troviamo di fronte a strumenti di spiccata ispirazione straniera realizzati nelle nostre chiese da organari italiani.
A fronte, troviamo organari stranieri che vengono chiamati in Italia e realizzano strumenti che spesso cercano di "conciliare" l'ispirazione "straniera" con un minimo di tradizione italica.
L'organo della Cattedrale di Treviso appartiene a questo filone di organaria estera che cerca e trova nuovi mercati adattandosi a compromessi fonici e timbrici (molto spesso più apparenti che effettivi). Questo aspetto è del tutto evidente prima di tutto "a vista", cioè dalla struttura architettonica dell'organo, tanto "classica italiana" che più non si potrebbe. A vederlo così lo si può tranquillamente considerare opera di un bravo organaro italiano. E, in effetti, non si può dire che lo strumento in questione, a differenza di tanti altri organi che si trovano nelle nostre chiese, non si inserisca a meraviglia nell'architettura del tempio.
Poi c'è la faccenda dei nomi dei registri in italiano. Sembra una stupidaggine, ma anche questo piccolo accorgimento rende l'approccio meno "spigoloso". In effetti, se andiamo a vedere, a parte le evidenti modifiche e gli adattamenti della piramide fonica per renderla più "italianizzante", far risuonare un bel "Ripieno Acuto" invece di un sibilante (già sibila il nome stesso) "Scharff", oppure far squillare una bella "Tromba Armonica" al posto di una "Armonische Trompete" ci illude di avere sotto le mani un bell'organo tutto italiano. L'unica nota stonata, ma ci pare che stoni in modo del tutto volontario, è la "Superottava", che se fosse stata chiamata "Decimaquinta", soprattutto piazzata com'è dopo la Duodecima del Grande Organo, avrebbe completato l'opera.
C'è, poi, in conclusione, il piccolo particolare della trasmissione, che è meccanica, ma che, come da dettami della moderna organaria di ispirazione germanica, è elettrica per i registri. Questo particolare collide abbastanza con le più attuali teorie del "recupero" della tradizione organaria italiana, che vede negli organi totalmente meccanici e, possibilmente, privi di combinazioni che non siano quelle che si utilizzavano trecento anni fa, il "top" dell'organo moderno italico.
Poichè questa impostazione è per noi "opinabile", non ci dispiace avere a disposizione un organo che possa gestire elettricamente le registrazioni e dia la possibilità, come lo strumento in esame, di fruire di 1024 combinazioni aggiustabili, agevolando di molto il lavoro dell'organista e del concertista, a patto che quest'ultimo non appartenga a quella schiera di interpreti che gradiscono eseguire, ad esempio, l'intera Passacaglia di Bach con il Ripieno, con loro intimo e filologico godimento ma con grave e concreto rischio di "saturazione timbrica" per l'ascoltatore sprovvisto della adeguata "preparazione" stilistico-storico-musicologico-filologico-interpretativa.
A prescindere da tutto, comunque, un bello strumento, che pur con tutte le riserve del caso, risulta sicuramente meglio impostato fonicamente e realizzato strutturalmente di tanti organi italiani che da qualche decennio siamo soliti vedere ed ascoltare nelle nostre chiese.

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