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Gli Organi di S. Maria Novella di Firenze

di Graziano Fronzuto




Questo articolo è dedicato alla memoria di Mons. Luigi Sessa e di Padre Thierry Haenni, sacerdoti, musicisti, uomini di cultura.


Santa Maria Novella è una delle più ampie chiese del mondo (è tra le prime trenta per grandezza), sebbene nella sua città sia superata (di poco) da Santa Maria del Fiore e Santa Croce, con le quali è tuttavia a pari merito per importanza religiosa, storica ed artistica. Rispetto alle altre chiese di pari o maggiore ampiezza ha caratteristiche acustiche forse migliori: l’eco non è eccessiva e la riverberazione non troppo risonante. Ciò l’ha resa da sempre il posto ideale per la predicazione e l’esecuzione di musica sacra, tanto da essere stata tra le prime in Italia a possedere organi (sin dal XIV secolo!). Ma oggi ha un altro primato (poco invidiabile): è l’unica tra le grandi chiese del mondo dove non è possibile ascoltare suoni d’organo. Questa situazione si protrae da oltre cinquant’anni, perciò è doveroso innanzitutto lanciare un appello in favore degli organi di questa basilica, dato che sono stati esclusi dalle campagne di restauro delle opere d’arte qui intraprese negli ultimi anni.
Vale quindi la pena raccontare le complesse vicende storiche hanno portato allo stato attuale, procedendo però non in ordine strettamente cronologico ma partendo da un momento storico molto particolare: l’Unità d’Italia, quando personaggi potentissimi furono direttamente coinvolti nella sorte degli organi.

Il Barone, il Granduca, il Re, il Papa

Firenze, Febbraio 1860 - Palazzo Vecchio

Il barone Bettino Ricasoli, fiorentino, discendente da famiglie di antichissima nobiltà (il padre è il barone Luigi e la madre la nobildonna Elisabetta Peruzzi), si interessa di politica vivendola come una vera e propria missione. Uomo autenticamente risorgimentale, disinteressato, idealista, equilibrato, flemmatico, conduce una vita particolarmente rigorosa tanto da meritarsi il soprannome di barone di ferro da parte dei suoi detrattori. Serio e riservato sia in pubblico che in privato, ama ritirarsi con la moglie nella tenuta di campagna di famiglia a Brolio (nell’attuale provincia di Siena). Non si abbandona alle passioni e non si lascia andare alla collera, specie in relazione a cose politiche.
Tra il 27 aprile 1859 (giorno della fuga dell’arciduca di Toscana Leopoldo II d’Absburgo-Lorena) e il 15 marzo 1860 (data del plebiscito che sancisce l’adesione della Toscana al progetto unitario del Piemonte dopo l’armistizio di Villafranca) il barone Ricasoli assume la carica di Governatore Generale della Toscana. Tra le mille incombenze che si trova ad affrontare, è investito a furor di popolo dal disappunto dei fiorentini verso i "restauri" quasi conclusi della basilica di Santa Maria Novella. Pur condividendo il pensiero del conte di Cavour suo amico personale (libera Chiesa in libero Stato), ritiene utile approfondire la vicenda, sia perché il patrimonio artistico delle chiese è frutto di secoli di storia e di innumerevoli generazioni di cittadini e non può essere alterato a cuor leggero, sia perché frequenta sin da bambino Santa Maria Novella e vi ha udito l’organo antichissimo durante le messe nella cappella di famiglia (la Cappella dei Ricasoli o "Cappella della Pura", su cui ci soffermeremo in seguito, è giusto di fronte all’organo).
Per capire bene cosa sia successo, occorre tornare indietro d’una decina d’anni, al 1849. A causa dei moti rivoluzionari che hanno scosso l’Italia, l’arciduca di Toscana, invece di affrontare in qualche modo gli eventi e magari negoziare una soluzione politica con i suoi avversari (come gli consiglia lo stesso Ricasoli), preferisce lasciare in gran fretta Firenze e chiedere ospitalità a Ferdinando II re di Napoli che lo accoglie nel suo Palazzo Reale fortificato di Gaeta.

Gaeta, marzo 1849 - chiesa della SS. Annunziata

Nella cittadina tirrenica l’arciduca si trova in buona compagnia; oltre al padrone di casa, Ferdinando II, è lì da pochi mesi - per i medesimi motivi - Pio IX. Il pontefice, durante il suo esilio, matura un’idea imperativa: restaurare la Chiesa. Con ciò egli intende non solo restaurare l’autorità religiosa (ed il suo potere temporale), ma anche provvedere al restauro materiale delle chiese storiche più illustri e spesso più ingiuriate dal tempo e dagli uomini. Così, al termine della solenne messa celebrata il 25 marzo 1849 (festa dell’Annunciazione) nella SS. Annunziata di Gaeta, chiede a Ferdinando II di restaurare le chiese di Gaeta, di Napoli, di Palermo, di Caserta e di tutte le città maggiori del Regno (cosa che il re fa puntualmente nei pochi anni di vita che gli restano); a sua volta, quando tornerà a Roma, farà altrettanto con le basiliche più antiche dell’urbe (che verranno infatti metodicamente restaurate una per una sotto la direzione dei massimi architetti dell’epoca: Guglielmo Calderini, Virginio Vespignani, Andrea Busiri-Vici ecc.). Anche Leopoldo II è presente ed ascolta e, sebbene le chiese toscane siano in condizioni migliori rispetto a quelle del Lazio e del Meridione, quando le truppe austriache di suo cugino l’imperatore Francesco Giuseppe gli consentono di tornare a Firenze, promuove il restauro di molte di esse anche senza che ve ne sia soverchia necessità.

Firenze, 1850 - chiese principali

Così le maggiori chiese di Firenze vengono sottoposte a grandi lavori, a partire da quelle incompiute (per esempio Santa Maria del Fiore priva di facciata, Santa Croce di facciata e campanile ecc.). Come succede in tutta Italia, poiché molte erano state costruite nel medioevo, si presenta il dilemma di cosa fare di tutto ciò che vi è stato aggiunto durante il rinascimento e il barocco. Ma gli architetti incaricati decidono (in buona fede, poiché seguono un metodo di giudizio proprio della cultura del tempo) di medievalizzare tutto a tutti i costi. Questo è quanto avviene anche a Firenze, sotto la direzione di un pugno di architetti (tra cui Gaetano Baccani prima e Enrico Romoli poi), anche se significa rimuovere o peggio demolire l’opera di artisti rinascimentali e barocchi del calibro sommo di Leon Battista Alberti, Baccio d’Agnolo, Giorgio Vasari, Bartolomeo Ammannati ecc. Appunto a tutti i costi, che sono di conseguenza altissimi! Per Santa Maria del Fiore, cattedrale di Firenze, c’è la sovvenzione diretta del granduca, per le altre i fondi sono più limitati e altrettanto limitata è l’opera di questi restauratori. Per Santa Maria Novella i fondi si riescono a trovare, grazie all’intraprendenza e alla capacità di raccogliere offerte di un discusso padre domenicano: fra’ Damiano Beni. Per capire cosa sta per accadere all’architettura della plurisecolare basilica occorre a questo punto tracciarne la storia.

Gli umili Frati, i potenti Signori

Storia di Santa Maria Novella dal 1220 al 1570

Nell’estate 1221 dodici frati domenicani, col priore padre Giovanni da Salerno, giunti da Bologna a Firenze due anni prima, ottengono di potersi insediare nella cappella di Santa Maria delle Vigne. Il successo della predicazione dei domenicani fa sì che in pochi anni la chiesetta risulti insufficiente e nel 1279 inizia la costruzione di una chiesa grandiosa, nuova, anzi in toscano novella. A dirigere i lavori intervengono alcuni architetti tutti appartenenti all’ordine domenicano: fra’ Sisto da Firenze e fra' Ristoro da Campi Bisenzio cui si aggiungono fra' Jacopo Passavanti e fra’ Jacopo Talenti. Aperta al culto già a metà del XIV sec., la chiesa risulta immensa, strutturata in tre navate, transetto e abside quadrata. Ecco le dimensioni: larghezza di "dieci volte dieci piedi" (circa 30 metri), lunghezza di "tre volte cento piedi" (circa 100 metri), altezza di "cento piedi meno tre volte dieci piedi" (circa 20 metri), transetto di "venti volte dieci piedi" (circa 60 metri).
Insomma, quando viene costruita, Santa Maria Novella è la più vasta chiesa del mondo: tutte quelle che l’hanno superata sono state costruite dopo (per restare a Firenze, la cattedrale di Santa Maria del Fiore e Santa Croce sono state progettate da Arnolfo di Cambio nei decenni successivi). Parallelamente viene eretto anche il convento, anch’esso vastissimo, articolato su molti chiostri, in cui ha sede un centro di studi teologici tra i maggiori della cristianità. I lavori terminano nel 1360, sotto la direzione del Talenti autore anche del Cappellone degli Spagnoli (1350-55), del Refettorio (1353) e dell’altissimo campanile che sorge nell’area absidale (1330). Una grandiosa schola cantorum sorge sotto le due ultime campate della navata centrale ed è chiusa da un’iconostasi (chiamata “ponte”) su cui viene eretto un Crocifisso meraviglioso, dipinto da Giotto (probabilmente il più grande crocifisso su tavola del medioevo).
Nel frattempo concorrono ad abbellire la chiesa sia i fedeli con le proprie offerte, sia grandi mecenati con generose donazioni, sia la stessa Repubblica di Firenze con ingenti finanziamenti. Le famiglie più nobili si contendono l’uso delle cappelle, pagando i migliori artisti del tempo per decorarle. La famiglia Tornabuoni fa affrescare l’abside (che verrà chiamata quindi Cappella Tornabuoni) a Domenico Ghirlandaio, la famiglia Rucellai paga la costruzione della facciata marmorea che sarà disegnata da Leon Battista Alberti; la famiglia Ricasoli fa edificare la cappella più ampia, detta "Cappella della Pura". Poi vi sono anche alcuni rami familiari degli Strozzi, dei Bardi, dei Peruzzi (in contrapposizione coi loro parenti le cui cappelle sono in Santa Croce). Non a caso la chiesa è disseminata di emblemi araldici, tra cui i gigli che da sempre simboleggiano la città di Firenze.
La consacrazione avviene solo nel 1420 per mano di papa Eugenio IV e per l’occasione Filippo Brunelleschi scolpisce uno splendido crocifisso (sarà la sua unica opera come scultore); le cappelle si arricchiscono di affreschi ed anche le pareti delle navate (dove spicca la magnifica Trinità di Masaccio).
A partire dal 1523 viene costruito il nuovo grande organo, con cantoria marmorea e cassa lignea scolpite da Bartolomeo Baglioni detto Baccio d’Agnolo (che scolpisce il sottostante altare di Santa Caterina e disegna anche il coro ligneo e il leggio della schola cantorum) e con parte fonica realizzata da fra’ Bernardo d’Argenta (dal nome latino di Strasburgo, sua città d’origine).

Storia di Santa Maria Novella dal 1570 al 1858

La riforma liturgica introdotta dal Concilio di Trento viene applicata progressivamente in tutte le chiese cattoliche; ciò comporta anche profonde modifiche architettoniche che vengono gradualmente eseguite (tra le tante: l’abolizione delle schole cantorum e delle iconostasi dalle navate centrali con spostamento dei cori nei presbiteri; l’erezione di altari laterali monumentali con grandi pale d’altare e strutture marmoree; la costruzione di complessi altari maggiori in marmi preziosi ecc.). I lavori sono costosissimi e le spese sono in gran parte sostenute dalle autorità civili che vi destinano proventi di tasse appositamente introdotte. Le chiese storiche assumono in gran parte l’assetto tuttora visibile. In Toscana il duca Cosimo I de’ Medici affida la direzione dei lavori più importanti al suo architetto di fiducia, Giorgio Vasari, che interviene con decisione ma anche con buon gusto. A lui si deve la trasformazione degli interni di molte chiese tra cui Santa Croce (che assume l’aspetto tuttora visibile e ben conservato) e Santa Maria Novella.
Qui i lavori si protraggono dal 1555 al 1570 e comportano puntualmente la demolizione della schola cantorum, lo spostamento del coro preesistente dietro l’altare maggiore e l’erezione di una serie di altari laterali in stile rinascimentale (del tutto simili a quelli tuttora visibili in Santa Croce). Se in Santa Croce il Vasari disegna anche le cantorie simmetriche e la cassa dell’organo su una di esse, qui non lo ritiene necessario: anzi, mette per iscritto il suo giudizio incondizionato ed ammirato sull’opera di Baccio d’Agnolo. Nel 1577 Giovanni Dosio realizza la cappella Gaddi: si tratta dell’ultimo lavoro di particolare rilievo; la basilica assume un aspetto che non muta per i successivi 250 anni.
Infatti solo nel 1840 si inizia a pensare a restauri, che vengono affidati a Gaetano Baccani e riguardano all’inizio alcune aree limitate (per esempio la rinascimentale Cappella Ricasoli, del 1474, che viene restaurata in un parco stile neobrunelleschiano senza eccessive alterazioni). Solo dopo il 1850, con i fondi raccolti da fra’ Damiano Beni e con il placet del granduca Leopoldo II, Baccani riesce ad intervenire in maniera più radicale. Perciò vengono demolite inesorabilmente tutte le opere vasariane, compreso l’altare maggiore e gli altari laterali. Ciò significa ridurre la chiesa a poco più che muratura, ma sembra proprio quello l’obiettivo (oltretutto si sta operando allo stesso modo in Santa Maria del Fiore il cui interno verrà condotto all’aspetto tuttora visibile), finché non si arriva all’organo. A questo punto i frati decidono di fermare i lavori. Per capire il perché, occorre raccontare la storia dello strumento.

L’organo di Fra’ Bernardo d’Argenta

Dal gotico al primo Rinascimento

La sensibilità verso la musica sacra dei padri domenicani e le buone caratteristiche acustiche della basilica fanno sì che qui si realizzino gli organi tra i più antichi d’Italia. Così come la chiesa è stata costruita da frati-architetti, anche gli organi saranno per secoli costruiti e manutenuti da frati-organari. Infatti fra’ Simone de’ Saltarelli ne costruisce due, con funzioni di guidavoce, che vengono collocati sulle fiancate laterali della schola cantorum. Non si sa in quali anni li abbia costruiti ma - poiché egli muore nel 1342 - si presume che risalgano al primo quarto del secolo XIV. I due strumenti vengono riparati nel 1429 da fra’ Enrico finché non vengono ritirati nel 1457 da fra’ Giovanni Tedesco che realizza al loro posto un organo grande sul muro sotto la penultima arcata di sinistra della navata (in pratica il posto che tuttora spetta all’organo) e un organo positivo portatile.

L’organo rinascimentale

Attorno al 1523 (mi associo a coloro che ritengono improbabile la data 1493) Bartolomeo Baglioni detto Baccio d’Agnolo (Firenze 1462-1543) costruisce una nuova splendida cantoria marmorea ed un’imponente cassa d’organo in luogo dei precedenti manufatti. Su entrambi i nuovi spiccano questi stemmi: il giglio (stemma della città), la croce rossa (stemma della repubblica di Firenze), l’aquila che uccide il drago con gli artigli (stemma del partito guelfo all’epoca al potere) che testimoniano inequivocabilmente la committenza pubblica (a commissionare e a pagare è stata la cittadinanza). Inoltre dappertutto compare la sigla OPA che "come i Toscani sanno bene" vuol dire "Opera Primaziale Aedificante" (si tratta dell’Ente preposto a costruzione e manutenzione delle maggiori chiese, detto anche Fabbriceria). La parte fonica dell’organo viene costruita da fra’ Bernardo d’Argenta (dove Argenta sarebbe una contrazione del nome latino di Strasburgo, paese d’origine del frate-organaro), che riutilizza parte delle canne preesistenti ed introduce un registro ad ancia ("Sordine").
Si tratta di uno strumento di 12’, con manuale unico esteso dal Fa1 fino (probabilmente) al Do5. A parte il registro ad ancia, gli altri registri non dovrebbero essere troppo differenti da quelli di strumenti di 12’ della stessa epoca (tra cui quelli tuttora esistenti della Badia Fiorentina e quello della cantoria destra della SS. Annunziata), quindi un ripieno fino alla XXIX, uno o due Flauti. Da notare che gran parte delle canne di fra’ Bernardo e qualcuna di quelle più antiche esistono tuttora all’interno dello strumento attuale.
Non esistono illustrazioni d’epoca che ci mostrano i due manufatti, perciò ho fatto ricorso ad un mio disegno inserito in un fotomontaggio (partendo dalla cantoria e dalla cassa e assumendo che le tre lesene corinzie della cassa siano originali), per il quale ho ipotizzato che la mostra sia stata alquanto simile a quella dell’organo tuttora esistente della Cattedrale di Arezzo.
Lo stesso frate costruisce allo un organo positivo per il coro ed assicura le manutenzioni fino al 1553 (nel frattempo costruisce l’organo del Santuario dell’Impruneta, uno per la chiesa brunelleschiana di Santo Spirito e realizza un organo monumentale per Santa Maria del Fiore dove ripara anche quello vecchio; nessuno di questi strumenti è sopravvissuto fino ad oggi).

Le alterazioni ottocentesche

Per tre secoli sia l’organo grande che il positivo del coro restano praticamente immutati ad eccezione di alcune integrazioni e piccoli ampliamenti, tra cui quelli operati attorno al 1770 da Luigi Tronci che costruisce anche un prezioso positivo "processionale" (1772, ne parleremo in seguito). I frati intendono anche ampliare l’organico della Cappella Musicale ma, non essendo possibile allargare la cantoria marmorea originale, decidono di farne una nuova in legno tutt’intorno, senza però rimuovere quella antica (una soluzione simile è tuttora visibile sull’organo della non lontana Badia Fiorentina).
Nel 1821 "grazie al lascito di un non meglio noto benefattore nelle mani di fra’ Tomaso Valori" viene incaricato Giosuè Agati da Pistoia, col figlio Nicomede, di ampliare l’estensione della tastiera dell’organo grande e portare a 17 il numero dei registri. Gli Agati proseguono nelle manutenzioni fino al 1839, quando il priore dell’epoca decide di far smontare e rinnovare lo strumento da Michelangelo Paoli di Campi Bisenzio. Così rinnovato, l’organo viene inaugurato per la novena di Natale 1839; ognuna delle nove sere si esibisce un organista fiorentino, di volta in volta diverso, con gran successo di pubblico.
Il Paoli viene incaricato di eseguire interventi manutentivi approfonditi (che comportano lo smontaggio ed il successivo rimontaggio) a cadenza quinquennale: lo fa nel 1845, nel 1850 (quando iniziano i grandi lavori di restauro della chiesa diretti da Gaetano Baccani) e nel 1855. Come per le volte precedenti, Paoli smonta l’organo e trasporta le parti interne nel suo laboratorio ma l’architetto Baccani sospende il rimontaggio poiché vuole ricostruire cantoria e cassa d’organo in uno stile che egli definisce più appropriato all’aspetto "gotico" che ha assunto la basilica (un arco con lavoro in pietrame, che sarebbe costato, con la conseguente modifica dell’organo, più di 2000 scudi dell’epoca). Dopo molti mesi di esitazioni, i frati rifiutano e - con una liquidazione di ben 1600 lire del tempo - danno il benservito al Baccani ed incaricano l’architetto Enrico Romoli di terminare i lavori. Quest’ultimo disegna l’altare maggiore e gli altari laterali tuttora visibili ed è in pratica il padre dell’assetto attuale della basilica. Nel frattempo gli eredi di Michelangelo Paoli (morto nel 1856): i figli Felice, Lorenzo, Emilio e Raffaello ed il nipote Pietro, chiedono ai frati un compenso maggiore rispetto a quello concordato, i frati rifiutano e nel giugno 1858 danno loro il benservito.

La storia recente

Nello stesso mese, Romoli riesce anche a convincere i frati a ricostruire cantoria e cassa d’organo in stile "gotico" (visto che ormai tutti gli altri ornamenti della chiesa sono stati già trasformati in tal senso e che al momento le parti smontate dell’organo sono nel laboratorio dei Paoli che, essendo stati liquidati, non è detto che le restituiranno) e presenta un disegno non troppo diverso da quello del Baccani e resta in attesa delle decisioni dei frati.
A questo punto non si sa bene cosa sia successo, ma non si esclude un colpo di mano alquanto proditorio. Fra’ Damiano Beni vende cassa e cantoria di Baccio d’Agnolo all’antiquario Giovanni Freppa; perciò si provvede alla loro rimozione e, col ricavato si costruiscono cassa, cantoria e sottostante altare di Santa Caterina in base al disegno del Romoli nelle forme tuttora visibili. Tutto ciò non passa sotto silenzio e non mancano critiche di artisti e di nobili né manca un certo malcontento popolare. Ma il granduca approva l’operato del frate e lo tiene indenne da ogni attacco. Non si fa in tempo a finire (al momento la nuova cassa resta priva di organo) che i moti rivoluzionari che porteranno all’Unità d’Italia fanno fuggire il granduca (stavolta definitivamente) e viene istituito un Governo Provvisorio a capo del quale, come abbiamo detto, viene posto il Barone Ricasoli.
Quest’ultimo, per proprio carattere, non è né impulsivo né vendicativo ma intende vederci chiaro sui "restauri" della basilica e dunque istituisce una Commissione d’Inchiesta (in quest’epoca si tratta di una cosa seria, anzi serissima). La relazione della commissione però è scoraggiante: per garantire un futuro alla basilica conviene completare i lavori secondo i disegni Baccani/Romoli dato che è impossibile ritornare allo status quo: il danno è ormai fatto ed è irreversibile.
Il barone, già contrariato per tutto ciò, ha buoni motivi per infuriarsi nel leggere la sorte dell’organo dato che la relazione riporta che forse si possono recuperare le canne (sono in possesso dei Paoli che, se verranno pagati, sono pronti a restituirle) ma è impossibile ritornare in possesso della cassa e della cantoria, visto che (come vedremo poi) sono state acquistate da personaggi ultrapotenti. Oltretutto si vocifera che fra’ Damiano Beni si sia arricchito con parte dei proventi della vendita di opere d’arte rimosse dalla basilica, con mazzette dalle ditte restauratrici e facendo la cresta sugli appalti. Vere o false che siano queste voci, il barone non riesce ad andare a fondo alla vicenda perché nei primi mesi del 1861 - appena proclamato il Regno d’Italia - Cavour muore all’improvviso ed egli stesso viene chiamato a Torino per prenderne il posto.
Nel 1866 entrano in vigore le leggi di esproprio dei beni ecclesiastici e il convento diventa di proprietà dello Stato; fra’ Damiano Beni si "spreta" e, una volta ritornato allo stato laicale, acquista i locali del convento (a seguito della vendita da parte dello Stato) con l’antica Farmacia. I soldi necessari? "Beni personali" si dice in giro non senza sarcasmo (ma ormai la provenienza di quel denaro non sembra più interessare nessuno).

L’organo attuale

Il Comune di Firenze decide infine di intervenire direttamente per ripristinare l’organo: innanzitutto fa realizzare tre nuovi mantici all’artigiano Cesare Danti (1868) poi riprende i rapporti con i Paoli e raggiunge un accordo con Lorenzo per ripristinare le parti cinquecentesche ancora in sua mano, aggiungere un secondo manuale e portare i registri al numero di 40 (quasi tutti spezzati). Il lavoro viene ultimato nel 1870. Dopo un cinquantennio d’onorato servizio, attorno al 1920 la ditta di Daniele Paoli, ultimo discendente, riforma lo strumento portandolo nell’assetto tuttora visibile, dotandolo di trasmissioni integralmente pneumatiche tubolari, aggiungendo una consolle (di probabile costruzione Laukhuff) a due manuali e chiudendo alcuni registri azionati dal secondo manuale in una cassa espressiva interna, collocata in alto nella cella organaria. Da questo momento in poi lo strumento subisce un lungo, inesorabile abbandono. L’ultimo a suonarlo sarà don Luigi Sessa nell’Anno Mariano 1954. Nel 1963 viene acquistato un ingombrante organo elettronico, a sua volta rimpiazzato da un altro nel 1994, dono generoso di una organista fiorentina.
Cassa, cantoria e sottostante altare di Santa Caterina sono frutto del disegno di Enrico Romoli (1858), come del resto l’altare maggiore e gli altari laterali.
L’attuale disposizione fonica è solo in parte leggibile sulle deteriorate placchette della consolle installata da Daniele Paoli, e dovrebbe essere più o meno la seguente:


Grande Organo

Principale 16
Principale 8
Flauto 8
Ottava 4
Duodecima
Flauto in XV
Decimaquinta
Ripieno Grave 4 file
Ripieno Acuto 2 file
Voce Umana 8
Tromba 8
Espressivo

Principalino 8
Bordone 8
Flauto 4
Flauto in XII
Oboe 8
Tremolo
Pedale

Contrabbasso 16
Basso Forte 8
Quinta 5-1/3

Le condizioni della consolle installata attorno al 1920 mostrano impietosamente lo stato di abbandono ormai cinquantennale dello strumento.
Manuali di 61 note [Do-Do]; pedaliera di 30 note [Do-Fa].
Trasmissione pneumatica tubolare fino ai somieri; consolle fissa indipendente appoggiata al corpo d’organo.
Cassa costituita da cornice lapidea ogivale intorno alla mostra, su disegno di Enrico Romoli (1858-60).
Mostra composta 29 canne in stagno del Principale 16’ disposte in campo unico con disegno "a cuspide con ali laterali" [8-13-8]; bocche "a mitria" allineate orizzontalmente; canna centrale Fa 12’.
Da notare che il somiere maggiore, quello del Grand’Organo, è un antichissimo somiere "a vento": si pensa che sia proprio quello di Bernardo d’Argenta, cui è stata applicata la trasmissione tubolare con un ingegnoso innesto.

Il mercante, il Principe, la Regina, l’Imperatore

Che fine hanno fatto cassa e cantoria di Baccio d’Agnolo?

Dall’Unità d’Italia in poi le fonti italiane non fanno cenno alla sorte dei due pregevoli manufatti rinascimentali, quasi fosse un fatto da tenere segreto, un po’ per una sorta di damnatio memoriae verso il "restauro" della basilica un po’ per cercare di non sottoporre al giudizio dei posteri il fatto che nessuno lo abbia fermato. Oltretutto si sarebbe iniziato a parlare criticamente dell’interno di Santa Maria Novella (così come di Santa Maria del Fiore e di altri non meno famosi monumenti) e quindi ammettere pubblicamente che si tratta di invenzioni ottocentesche e non di ripristino dell’aspetto antico. Solo dal 1994 gli studi pubblicati e divulgati in internet da Emilio Panella hanno reso nota la sorte della cantoria.
Però le fonti europee (ormai rese facilmente accessibili con internet) non avevano alcun motivo di tacere e sin dal 1866 riportano esattamente la sorte di entrambi i manufatti. Siccome esistono tuttora e possono essere visitati da tutti, e dunque sono ormai un segreto sì ma di Pulcinella, è bene parlarne con la necessaria franchezza.
Come abbiamo detto, l’antiquario Giovanni Freppa ha acquistato entrambi i manufatti informandone i mercanti d’arte d’Italia e d’Europa. Sembra che sia stato contattato da due emissari, prima uno francese e poi uno inglese. Il primo opziona la cassa dell’organo riservandosi di ritirarla al termine del periodo di guerra (per noi Italiani sono gli anni della Seconda Guerra d’Indipendenza - in cui la Francia interviene direttamente - e delle successive guerre che porteranno all’Unità d’Italia nel 1861). Il secondo è interessato a entrambi (cercando di portare in Inghilterra l’intero organo), oltretutto il suo paese non partecipa alla guerra e non intende aspettare. Anzi, visto che per la cassa è arrivato tardi, pare che per riuscire ad averla abbia scoperto le proprie carte facendo intendere di agire per conto nientemeno che del principe Alberto, consorte della regina Vittoria, sovrana di Gran Bretagna ed imperatrice delle Indie. Il principe è un appassionato d’arte ma è anche organista: nel 1831 ha suonato l’organo della Badia Fiorentina e dunque non gli dispiacerebbe avere nel palazzo di Kensington un organo simile a quello. Freppa non si scompone (gli affari sono affari e poi non è la prima volta che ricchi europei acquistano beni artistici rimossi da chiese italiane) e richiama l’emissario francese per cercare di riavere la cassa (che non è ancora partita per la Francia) ma scopre che questi agisce per conto dell’imperatore Napoleone III.
Dopo alcune trattative, pare che Alberto faccia sapere "di accontentarsi della cantoria" (non è il caso di creare incidenti diplomatici con la massima potenza continentale, tantomeno per un organo che gli Italiani stanno sfrattando da una delle chiese più belle del mondo...). L’opera d’arte arriva a Livorno e imbarcata per Londra dove giunge al termine dello stesso anno 1859.
La cantoria di Baccio d’Agnolo dal 1859 è entrata a far parte di un monumento nazionale inglese: il Victoria and Albert Museum di Londra, dov’è uno dei pezzi più apprezzati della collezione di sculture.
Napoleone III continua ad intervenire nelle questioni italiane e nel 1861, una volta che la situazione politica si è stabilizzata, fa sapere di volere quella cassa d’organo. Ricasoli, nel frattempo subentrato allo scomparso Cavour, pare che abbia cercato in qualche modo di mantenerla a Firenze (in via più personale che diplomatica) nella segreta speranza di rimetterla in chiesa. Ma ormai è una questione di principio e nel 1863 l’imperatore la spunta. Così fa portare la cassa a Parigi, precisamente nel borgo di Rueil-Malmaison nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo a poche centinaia di metri dal castello napoleonico della Malmaison. Cassa vuota non serve a nulla, e dunque incarica il miglior organaro disponibile, Aristide Cavaillé-Coll, di mettervi un organo adeguato e di adeguarne la mostra allo stile della chiesa (che infatti viene completata con due arcate e decorazioni in stile rinascimentale italiano disegnate dall’architetto Alphonse Simil). L’organaro esegue e nel 1866 completa lo strumento, dotato di due manuali e di 12 registri. Per curioso destino storico, ha suonato ai funerali del conte di Bari Pasquale di Borbone -figlio di Ferdinando II delle due Sicilie- qui sepolto nel 1904.
La cassa di Baccio d’Agnolo è dal 1863 nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Rueil-Malmaison; dal 1866 ospita un organo Cavaillé-Coll ed una targa a caratteri dorati, sotto la cantoria, ricorda la donazione imperiale e la provenienza della cassa.
Da allora la cassa - col nuovo strumento degno di lei - orna la chiesa di Rueil ed è anch’essa considerata monumento nazionale. Di seguito la Disposizione Fonica dello strumento in essa alloggiato da Cavaillé-Coll:


Grand Orgue

Bourdon 16
Montre 8
Bourdon 8
Flute Harmonique 8
Salicional 8
Prestant 4
Récit Expressif

Gambe 8
Voix Celeste 8
Flute Octaviante 4
Doublette 2
Trompette 8
Basson-Hautbois 8
Pédale

Soubasse 16
Basse 8
Trompette 8

Il positivo del coro e l’organo della Cappella Ricasoli

La basilica ha sempre avuto non meno di due organi; a partire dal XVI sec., il secondo strumento è sempre stato un positivo per il coro. Costruito anch’esso da fra’ Bernardo, è stato più volte rimaneggiato fino al 1899 (ultimo intervento eseguito da Lorenzo Paoli). Non è sopravvissuto fino ai giorni nostri e si può ritenere che sia stato saccheggiato nel 1944.
Nel 1772 Luigi Tronci ha costruito un positivo mobile "processionale", sollevabile tramite maniglioni cui venivano innestate lunghe stanghe di legno (due parallele al senso di marcia per la cassa dell’organo e due trasversali per il basamento dei mantici), tuttora praticamente intatto (ha solo ricevuto alcuni interventi di revisione nel corso dei secoli, gli ultimi dei quali nel 1931 e nel 1945). Dopo alterne vicende, è stato collocato sulla cantoria della Cappella Ricasoli (detta anche "Cappella della Pura" in quanto vi è conservata l’icona detta "Madonna della Purità" o "Madonna Pura") dove tuttora si trova. Lo strumento è conservato integro e funzionante (purché si venga aiutati da una persona di buona volontà che azioni le cordicelle dei mantici) anche se necessiterebbe di un restauro. Eccone le caratteristiche foniche:
Registri azionati da pomellini ad estrazione posti in fila unica verticale a destra della tastiera, senza nomi:

Principale
Ottava
Decimaquinta
Decimanona-Vigesimaseconda
Flauto in XII
Tiratutti


Manuale unico di 45 note [Do1-Do5] con prima ottava "corta" [costantemente unita alle corrispondenti note della seconda ottava] tasti diatonici con frontalino "a chiocciola" ricoperti in bosso e tasti cromatici ricoperti in ebano; pedaliera di 9 note [Do-Do], ottava "corta" costantemente unita alla tastiera tramite nastri di stoffa.
Trasmissione meccanica "sospesa"; consolle "a finestra".
Cassa rettangolare in legno senza decorazioni.
Mostra "a cuspide con ali laterali" composta da 25 canne in stagno di Principale, con bocche "a scudo" con andamento contrario; canna centrale Do 2’.
Per ragioni di spazio e di peso i registri sono limitati a 37 note (partono tutti dal secondo do) perciò la prima ottava "corta" aziona meccanicamente le corrispondenti note della seconda. La pedaliera è facilmente amovibile essendo connessa alle note della prima ottava "corta" tramite nastri di stoffa. Non ha mai cessato di funzionare ed io stesso ho potuto suonarlo per pochi secondi non appena i mantici (collegati a cordicelle invece che a stanghe) sono stati azionati dall’amico Angelo Frison. La meccanica docilissima e il tocco estremamente leggero nonché il suono purissimo che ne è fuoriuscito sono stati un’esperienza indimenticabile. Comunque meriterebbe un degno trattamento ed un restauro storico per riportarlo ai suoi originali splendori (restauro peraltro di modesta entità economica dato che l’organo è integro, presenta danni limitati ed è suonabile).
Tra le curiosità da notare: il crivello in cuoio, la portella posteriore che fa accedere alle canne di legno retrostanti il somiere, le due file di ripieno alimentate da unica stecca, la firma ad intaglio dell’organaro, giusto al di sopra della tastiera: ALOYSIUS TRONCI ETRUSCUS FACIEBAT A.D. MLCCDXXII.

Conclusioni

Dopo il "restauro" di metà ottocento, la basilica è rimasta sostanzialmente immutata e non ha subito ingiurie del tempo e degli uomini; anche la terribile alluvione del 1966 non ha causato troppi danni (specie considerando quel che è accaduto in altre chiese, a partire da Santa Croce). Tra il 1990 e il 2000 vi sono state estese campagne di restauro artistico che hanno riguardato gli affreschi delle cappelle principali e singoli capolavori quali il crocifisso di Giotto (che, conservato in sacrestia da secoli, è stato sospeso alle volte della navata centrale in modo da trovarsi nell’esatta posizione in cui era quando era al di sopra dell’iconostasi demolita dal Vasari). Una nuova campagna di restauri è iniziata nel 1999 con i fondi del Giubileo e sta proseguendo, dal 2006, con il restauro della facciata di Leon Battista Alberti.
Purtroppo però le uniche opere d’arte ad essere state escluse sono sempre gli organi. Eppure l’organo maggiore è in buona parte composto da canne molto antiche, riutilizzate e ricollocate nel corso dei secoli. Oltre a un consistente nucleo cinquecentesco (forse la più completa parte fonica superstite di Bernardo d’Argenta) sembrano esservi canne di Flauti ancor più antiche e alcune altre di metà ottocento. Anche il somiere maggiore è quello rinascimentale. Naturalmente occorrerebbe un’indagine approfondita ed un inventario complessivo che non potrà che essere attuato quando e se verrà fatto un restauro. Negli ultimi anni non sono mancate iniziative dei Priori che si sono succeduti, che hanno interpellato alcuni organari (Riccardo Lorenzini, 1999; Nicola Ferroni, 2004) senza seguito. Oltretutto occorrerebbe prima uno studio preliminare per decidere quale sia la migliore soluzione per quest’organo in relazione al preziosissimo materiale fonico che conserva: ricostituire l’organo del ‘900, dell’ ‘800 o cercare di ricostruire un organo rinascimentale? O altro ancora, visto che ormai la mostra non può che restare quella disegnata da Romoli nel 1858?
Peraltro da alcuni anni per visitare questa chiesa (come molte altre) occorre pagare un biglietto d’ingresso; senza entrare nel merito di un’iniziativa di tal genere, ho personalmente ascoltato quanti pagherebbero volentieri mezz’Euro in più qualora tale cifra su ogni biglietto fosse destinata al restauro degli organi.
In attesa di rispondere a queste domande, e trovare i fondi necessari, si potrebbe quantomeno restaurare l’organo della Cappella Ricasoli, visto che è funzionante e basterebbe una spesa modesta (circa 20.000 Euro). Poi, sfruttando le doti acustiche della cappella, si potrebbe iniziare a tenervi serate di musica sacra a tema, magari col concorso di strumentisti e cantanti e nel frattempo sensibilizzare l’opinione pubblica per restaurare l’organo maggiore.
Né sembra fuori luogo fare appello alla storica e comprovata sensibilità della nobilissima famiglia Ricasoli per riattare lo strumento conservato nella cappella che porta da secoli il loro nome, specie in considerazione ed in memoria di quanto il barone Bettino ha cercato di fare in difesa di questa basilica.

Ringraziamenti

Ringrazio per le notizie fornite e per i preziosi consigli la sig.ra Antonella Pirozzi-Fronzuto e Padre Ermanno Rossi, che ha reso anche possibile il sopralluogo effettuato nel 2004 con il dr. Nicola Ferroni e il sig. Angelo Feltrin; la sig.ra Silvia Beccari, titolare della Casa Musicale Strozzi, che mi ha informato di alcuni preventivi di spesa per il restauro; il L.ten. M.llo Generoso Puzio per le fotografie e le notizie fornitemi -per tramite di mio fratello, Com.te Espedito Fronzuto- sull’organo e la chiesa di Rueil-Malmaison; il Maestro Philippe Decourt, organista titolare della Parrocchia di Rueil-Malmaison, che ha fornito la disposizione fonica dello strumento; la dr.ssa Giorgia Mancini, del Dipartimento di Scultura del Victoria and Albert Museum di Londra, per la documentazione storica sulla cantoria di Baccio d’Agnolo.
Sulla storia recente degli organi di Santa Maria Novella non posso che ricordare con commozione quanto riferitomi da mons. Luigi Sessa e da padre Thierry Haenni nel 1983 e che ho riportato - spero fedelmente - in questo scritto.
Un particolare ringraziamento desidero esprimerlo al Maestro Federico Borsari che ha tratteggiato in un recente articolo la vita e l’impegno artistico di Mons. Luigi Sessa.



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