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Musica romantica per Organo e Violino




Romantica - Violon et Orgue
Organista: Domenico Severin - Violino: César Velev
Organo Eglise St. Etienne di Cernay - Francia
Syrius - SYR141441 - DDD - 2011

Abbiamo recentemente trattato in queste pagine una bella incisione di musica italiana "romantica" per organo e violino, interpretata da Andrea Toschi e Roberto Noferini, dove avevamo sottolineato quanto l'Italia sia stata in quel periodo, posto a cavallo tra il XIX ed il XX Secolo, una delle realtà più importanti e significative in un panorama europeo ricchissimo di autori e di opere che, seppur poco considerati, hanno rappresentato uno dei momenti più alti della nostra storia musicale.
Oggi trattiamo un altro bel disco che approfondisce e chiarisce i collegamenti tra l'Italia e la Germania, andando alla ricerca di quel "fil rouge" che ebbe origine proprio in Germania e che si dipanò nella nostra penisola, influenzando l'opera e la creatività dei nostri musicisti, nell'ambito di quello che comunemente noi definiamo come "Periodo Ceciliano". In questo disco troviamo un "continuum" musicale che parte dal grande Rheinberger, definito come il padre della moderna sonata organistica, per arrivare al nostro Oreste Ravanello (di cui parliamo nella pagina dedicata ai Personaggi). In questo percorso artistico possiamo apprezzare e comprendere come il linguaggio tipicamente post-romantico mitteleuropeo di quell'epoca sia solidamente alla base di un movimento musicale vasto ed articolato che se da una parte vede nella rivalutazione della classicità uno dei cardini della sua evoluzione, dall'altra testimonia inequivocabilmente la sua diretta discendenza da un Romanticismo sinfonico che ha trasformato radicalmente gli scenari musicali (organistici e non) europei.
E' da dire qui, così come per l'altro disco citato, che le opere originali composte specificatamente per organo e violino sono abbastanza rare; in effetti la maggior parte di queste composizioni sono state concepite per violino e pianoforte, ma quasi sempre gli autori hanno lasciato ampia discrezionalità agli interpreti di sostituire (ed in diversi casi l'hanno espressamente indicato in partitura) il pianoforte con l'organo. Allo stesso modo è da sottolineare come in questo repertorio siano assai comuni le trascrizioni, molto spesso realizzate dagli stessi autori. Questo ci permette di comprendere molto bene che il fine ultimo di queste opere è il concerto e non certamente l'utilizzo liturgico, cosa che permette agli autori di privilegiare l'aspetto più "emozionale" della composizione. Ed in questa incisione è molto ben sottolineato questo aspetto, che comprende strutture melodiche di grande impatto emotivo ed elaborazioni armoniche di squisita raffinatezza, atmosfere profondamente liriche e tratti virtuosistici di scintillante brillantezza, linee tematiche di amplissimo respiro e brani dal carattere descrittivo quasi "dipinti" su trame di architetture musicali magistralmente sostenute dalle foniche squisitamente delicate dell'organo "riformato".
Tre brani di Rheinberger aprono il disco. L' Ouverture, in due parti, arieggia dapprima le Ouvertures francesi per poi inerpicarsi in un fugato che riesce ad unire magistralmente solidità formale e spunti lirici. L' Abendlied è una splendida pagina meditativa in cui organo e violino duettano delicatamente e quasi sottovoce. La Giga, costruita sulla forma dell'omonima danza barocca, è un brano di notevole vigore in cui l'organo sostiene con delicatezza le volute brillanti e quasi virtuosistiche del violino. La trascrizione dell' Adagietto dalla quinta Sinfonia di Mahler è, a nostro modesto parere, una chicca di rara e squisita bellezza in cui le sonorità dell'organo, qui sapientemente utilizzate dall'organista, ci regalano atmosfere di sinfonica suggestione mentre le struggenti note del violino cantano una dolcissima canzone d'amore. Seguono gli altri tre brani della Suite Op. 150 di Rheinberger, la Pastorale è un delicato quadro agreste e bucolico, l' Elegia si sviluppa in un'atmosfera di grande espressività mentre il Tema con Variazioni rappresenta una splendida testimonianza di quanto apprezzata e praticata fosse in quel periodo questa forma musicale, in cui, variazione dopo variazione, il violino sfoggia tutte le sue caratteristiche espressive e virtuosistiche. La breve Romanza di Max Reger ci presenta l'aspetto più profondamente romantico e descrittivo del cosidetto "Bach del Novecento", che nella sua produzione strumentale dismette i panni dell'estremo contrappuntista per vestire quelli del grande romantico. L'Adagio per Violino ed Organo di Marco Enrico Bossi ci fa capire fin dalla prima battuta l'aria che tira dalle nostre parti, dove al romanticismo mitteleuropeo si unisce il lirismo tipicamente e squisitamente italiano che, a nostro modesto parere, conferisce a questo brano una particolare carica espressiva. Il Sanctus di Karg-Elert, specificatamente scritto per violino ed organo, è carico delle atmosfere e delle raffinatezze armoniche che caratterizzano le opere di questo autore, presentandoci un brano che, a dispetto del titolo liturgico, splendidamente si incastona con le altre perle del più genuino post-romanticismo. I due brani di Rheinberger dell'Op. 166, Canzone ed Allemanda completano la figura musicale di questo musicista; in questi brani troviamo una più solida aderenza alle forme stilistiche ed un linguaggio più equilibrato rispetto ai sei brani della Suite, pur senza mai venire meno ad un'ispirazione di grande contenuto ma di assai minore impatto emotivo. La Sonata per Violino e Organo di Ravanello, basata sul tema del corale luterano "Du Friedenfürst, Herr Jesu Christ", conclude il disco immergendoci nella misurata "cecilianità" di questo musicista, che concepisce questa sonata come una specie di affresco musicale in cui organo e violino trascorrono da cupe atmosfere a luminose aperture mentre le strofe del corale fanno da trait-d'union e da sfondo ad uno svolgimento tematico ed armonico elegante e raffinato in cui i due strumenti ora si contrappongono, ora si integrano, ora si compendiano creando un'opera veramente interessante che testimonia quanto la figura di questo nostro musicista sia stata importante. Questa sonata, concepita per un utilizzo concertistico (cosa testimoniata dalle annotazioni presenti sul manoscritto utilizzato dall'interprete), è senz'altro, a nostro modesto parere, la degna conclusione del percorso musicale che Domenico Severin e César Velev ci propongono in questa incisione.
Di Domenico Severin abbiamo già spesso intessuto le lodi recensendo sue precedenti performances. A tutto quanto già detto non possiamo che aggiungere l'apprezzamento per la sua capacità di interpretare repertori assai distanti tra di loro riuscendo sempre e comunque a coglierne lo spirito profondo, restituendoci una visione filologicamente perfetta in ogni occasione sia sotto il punto di vista dell'interpretazione che della scelta degli strumenti più adatti.
César Velev, nativo della Bulgaria, è uno dei migliori violinisti che attualmente calcano le scene internazionali. Approcciatosi alla musica ed al violino all'età di sei anni, a ventuno è già diplomato al Conservatorio Nazionale Superiore di Musica di Sofia, avendo come insegnanti Badev, Scheydermann ed Oistrach. Dopo una militanza nell'Orchestra Sinfonica di Radio Sofia e nell'Orchestra da Camera Nazionale di Bulgaria, si trasferisce in Francia, dove è violinista presso l'Orchestra Nazionale di Lille e primo violino nell'Orchestra Sinfonica dello Champagne, nell'Orchestra Nazionale dell' Île-de-France e nell'Orchestra Nazionale Filarmonica di Radio-France. Specializzato nel repertorio cameristico, ha approfondito in particolar modo le performances per violino e pianoforte ed altri strumenti. In questo disco egli dimostra una delicatezza ed una passione particolare nell'affrontare queste musiche così ben rispondenti alla sua sensibilità, sfoderando una splendida tecnica ricca di colori, respiri, atmosfere e palpabili emozioni, lasciando il giusto spazio ad un lirismo misurato ma di ampio orizzonte e calibrando alla perfezione un'animo virtuosistico che sempre si ritrova al servizio della partitura e non supera mai la pericolosa soglia dell'autoreferenzialità.
L'organo di Cernay, realizzato da Rinckenbach nel 1928, è uno splendido strumento che rispecchia in toto l'estetica organaria del Primo Novecento, con una decisa abbondanza di solidi e corposi registri di 8 piedi distribuiti sulle sue tre tastiere e con la presenza di diverse sonorità di grande effetto (soprattutto sul Recitativo) che Domenico Severin qui utilizza con invidiabile maestrìa e con consumata esperienza. Uno strumento assolutamente "perfetto" per questo repertorio.
Le registrazioni sono state effettuate nello scorso mese di Settembre 2010; la presa di suono è ottima e sottolinea splendidamente la voce solista del violino senza peraltro mai penalizzare l'organo, che non è qui un banale "accompagnatore", ma un vero e proprio co-protagonista. Il lavoro di montaggio e post-produzione è molto accurato ed il risultato è, a nostro modesto parere, assolutamente pregevole.
In conclusione, un disco veramente bello, da ascoltare diverse volte sia con l'attenzione del melomane "avvertito", sia con lo spirito libero ed aperto alle emozioni musicali che queste musiche ci propongono e che qui troveremo in abbondanza.



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