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insegnanti ed educatori della scuola media di via Maffucci, del Distretto Scolastico 80, del quartiere Bovisa di Milano

 

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EDUCAZIONE E COMPUTER

Resoconto della conversazione del 9 aprile 2001 con Duilio C. docente di Storia e Filosofia ed "utilizzatore critico" delle nuove tecnologie e con Stefano M. docente di Storia e Filosofia ed esperto di nuove tecnologie didattiche.

Sono presenti all’incontro: Marisa G., Giovanna O., Giovanna G., Anna D.C., Felice S., Rita R., Maria S., Gino C., Cristina C., Paola F., Stefano M.,  Duilio C.

L’incontro si apre con una introduzione – stimolo alla conversazione:

Felice:

Mi sono permesso di distribuire ai colleghi due contributi interessanti ai fini della nostra conversazione che sono contenuti nel libro "Net Learning - Imparare insieme attraverso la rete" di Davide Biolghini e Marisa Cengarle, ed. Etas, Milano 2000. Il primo è una riflessione di Duilio "Da un utilizzatore critico dei nuovi media" e l'altro, "Quale rapporto tra Nuove Tecnologie e Didattica", è di Davide Biolghini il quale oggi non può essere con noi a causa di altri impegni.

Un problema stimolo ci viene da Giovanna P., insegnante della scuola elementare di zona: "Usando il computer noi educhiamo i nostri bambini a "ragionare per finestre". Il computer si pone cioè come una sorta di finestra sul mondo. Ma se si sta alla finestra non si è nel mondo, si è in qualche modo fuori dal mondo. Forse bisognerebbe educare di più a stare nel mondo e ridurre lo stare a guardare finestre?

La prof. Gabriella G., insegnante di matematica nella nostra scuola, pone la seguente domanda: "Qual è il curricolo di base, quello indispensabile, che si può pensare di proporre nell'uso concreto del computer ?"

Io personalmente condivido molto il contributo di Duilio e mi riconosco anch'io come utilizzatore critico delle nuove tecnologie, in tal senso non sono un fanatico pur occupandomene da vecchia data. Per sollecitare la discussione ripropongo qui due posizioni che si sono sviluppate e misurate nel corso degli ultimi anni attorno alla questione dell'uso delle nuove tecnologie in didattica. Queste sono riassumibili con una dicotomia: "gli apocalittici" e "gli integrati" ( definizioni volutamente forzate per favorire una comprensione critica dei problemi).

Ai primi appartengono coloro i quali non condividono gli eccessi degli usi del computer, tra costoro cito Clifford Stoll, autore del testo "Confessioni di un eretico high-tech - Perché i computer nelle scuole non servono e altre considerazioni sulle nuove tecnologie", Garzanti, Milano 2001. Questo autore è astronomo, uno dei fondatori di Internet, usa il computer normalmente, però ci chiede e si chiede: "Perché utilizzare i computer? Servono queste macchine ai ragazzi e agli insegnanti? Possono esse sostituire gli insegnanti? Un buon software o un multimedia può sostituire un insegnante? Chiaramente Stoll risponde negativamente e criticamente a queste questioni.

Un altro autore critico, che rientra in un dibattito tutto italiano, è Lucio Russo, il quale col suo libro "Segmenti e bastoncini - Dove sta andando la scuola?", Feltrinelli, Milano 2000, ha intrapreso una feconda polemica sulla riforma scolastica e sulla scuola - azienda, smontandone le basi teoriche in particolare per ciò che riguarda l'uso delle nuove tecnologie.

Alla categoria degli entusiasti appartiene di diritto Roberto Maragliano, docente universitario di Didattica delle Nuove Tecnologie, coordinatore del "gruppo dei saggi" che ha formulato i "saperi fondamentali" della scuola del futuro e noto nel mondo della scuola per molteplici ragioni. Di questo autore cito solo un testo "Esseri multimediali - Immagini del bambino di fine millennio", La Nuova italia, Scandicci 1996, in cui si sottolinea la nascita di una nuova antropologia. Per Maragliano le nuove generazioni sono necessariamente multimediali, usano il sapere con immersività ( ci si immerge in Internet, nella TV, nei nuovi media ) a differenza del mondo adulto legato alla testualità gutemberghiana.

Mi preme inoltre qui indicare un problema chiave del mondo scolastico, come il nostro, sempre più attraversato da ragazzi provenienti da altri paesi e altre culture: come fare integrazione attraverso le nuove tecnologie. Questa tematica non è molto sviluppata e in letteratura c'è ben poco materiale disponibile per riflessioni al proposito. Eppure leggo che al Future Show di Bologna, che si è svolto qualche giorno fa, si è parlato di come il computer addirittura stia diventando in qualche favela brasiliana un mezzo per il riscatto sociale e culturale dei bambini destinati all'abbandono e alla miseria. Ecco mi chiedo e vi chiedo: come facciamo noi, nelle nostre scuole, a "riscattare" i deboli, quelli che non hanno strumenti, i "poveri" in senso lato, attraverso l'uso delle nuove tecnologie?

Per ultimo alcune domande di tipo "tecnico": serve una rete LAN ( Local Area Network ) a scuola? E se serve, come utilizzarla? E come si collocano in relazione a questo problema le cosiddette nuove figure professionali?

Cristina:

Vorrei fare due riflessioni. Innanzitutto trovo una discordanza tra le intenzioni e la realtà nel senso che nella realtà non si trovano referenti ufficiali responsabili delle tecnologie informatiche (ad esempio nella nostra scuola ci sono tanti PC di vario tipo e distribuiti in vari ambienti ma non c'è un responsabile ufficiale di laboratorio). Inoltre non esiste nessun responsabile amministrativo per le necessità di collegamento alla rete che consentano un efficace, facile e frequente accesso, da questo punto di vista siamo al neolitico dell'approccio tecnologico e la LAN è di là da venire. Volevo porre una domanda a proposito di un sito web della scuola che stiamo allestendo: quale potrebbe essere il suo vero utilizzo per evitare che sia solo una bella finestra di presentazione del chi siamo e cosa facciamo e possa essere, invece, uno strumento di scambio e collaborazione con altre realtà?

Per ciò che riguarda il problema dell'apprendimento dell'informatica da parte degli alunni io penso che le prossime generazioni arriveranno a scuola avendo già l'alfabeto informatico in tasca. Alcuni di noi insegnanti, all'interno delle attività di compresenza lettere/matematica, già attua percorsi di alfabetizzazione all'uso del computer a cominciare dalla prima media e i ragazzi di 11 anni già sanno operare in gran parte con queste macchine. Mi pongo però il problema di andare oltre il semplice apprendimento all'uso del computer e mi chiedo come far capire cosa c'è dietro, come aprire finestre sul problema della programmazione. Anni fa si faceva il LOGO, poi è stato abbandonato dagli insegnanti, ma la positività del LOGO era che faceva capire ai bambini cosa significava la progettazione. Si può ritornare al LOGO? C'è qualcosa simile di più nuovo?

Avviare alla programmazione ( il Pascal? ) già nelle prime classi di scuola media può stimolare una serie di operazioni cognitive presenti nella mente dei ragazzi.

Giovanna O.:

Vorrei porre il problema dell'effettivo utilizzo didattico dei CDROM. Noi insegnanti li usiamo ma non siamo preparati ad un loro utilizzo squisitamente didattico. Faccio un esempio: io ho provato a utilizzare un CDROM sulla storia dell'800 con esercizi a video anche per proporre qualcosa di diverso da quelli presenti nel solito libro. Mi sono resa conto che la cosa era abbastanza sciocca in quanto pretendevo di avere dai ragazzi risposte ad un percorso che era il mio, quello da me già preparato. I ragazzi fanno ciascuno il proprio percorso e a quel punto risulta molto difficile valutare l'apprendimento. Credo che il problema della valutazione per un percorso di apprendimento su CDROM sia fondamentale.

Stefano:

A proposito di libri aggiungerei uno solo a quelli già citati. Libro che non è né apocalittico né integrato ma solo intelligente ed interessante per i ragazzi della scuola dell'obbligo: Raffaele Simone, "La terza fase", ed. Laterza, Bari 2000. La terza fase appunto come mescolanza delle prime due, orale e scritta. In questo senso ad esempio la posta elettronica è un modo per mettere in contatto classi di luoghi, lingue e culture diverse utilizzando forme miste di comunicazione.

Senza arrivare alla programmazione in Pascal, l'uso del computer, se non lo si utilizza in modo superficiale come un elettrodomestico, contiene una sua disciplina cognitiva che può essere appresa ad esempio avvicinando i ragazzi, già nella scuola dell'obbligo, all'apprendimento di una sorta di nuova lingua universale che è il codice HTML. Questo linguaggio non è particolarmente complesso e torna utile per la pubblicazione di pagine web e del sito della scuola. Sito che è sì una vetrina di presentazione della scuola, ma può anche essere l'occasione per pubblicare i lavori degli studenti, singoli o di classe. Il linguaggio HTML rappresenta oggi una nuova frontiera dell'alfabetizzazione, come era la scrittura un tempo. Chi sa usare questo nuovo alfabeto riuscirà a scrivere nello spazio della rete, chi non lo conosce non lo potrà fare. Il codice HTML facilita una certa disciplina di equilibrio grafico, estetico ed anche linguistico quando associato ed integrato alle forme tradizionali di apprendimento del linguaggio.

Mi sembra molto interessante la questione dell'integrazione dei ragazzi stranieri attraverso la multimedialità perché questa può essere un elemento di forza proprio per coloro i quali non possiedono adeguatamente lo strumento linguistico e possono trarre vantaggio dalla semplificazione dei contenuti tipica dei CDROM, della rete, dei siti.

A proposito di favelas, in uno scambio che abbiamo avuto con scuole straniere, è venuta a trovarci una collega islandese, membro di una organizzazione internazionale no profit, fondata in Norvegia ma con nodi in tutto il mondo, e nata per favorire lo sviluppo nuove tecnologie nella scuola. Questa collega ha partecipato ad un progetto dell'associazione in Perù per recuperare bambini di strada di alcune comunità. Il recupero consisteva nel cercare di portarli in case/comunità per garantire loro un posto letto, cibo e attività tra cui l'uso del computer e della rete, di Internet. Attraverso l'alfabetizzazione informatica si è arrivati all'apprendimento della lettura e della scrittura vera e propria: il computer aveva facilitato e affrettato questo percorso.

Io insegno al liceo Severi lettere e filosofia anche se ormai mi occupo solo di computer e penso che esista concretamente il problema della persona addetta alle macchine. Questo si può ottenere chiedendo l'esonero o il semiesonero con il quale l'insegnante può fare compresenza in laboratorio e aiutare all'uso di PC e Internet.

Maria S.:

Io ho esperienza di una scuola sperimentale fuori Milano in cui l'informatica era molto più sviluppata e personalmente ho partecipato ad un corso di HTML tenuto da un collega che aveva il semiesonero. Una figura professionale dedicata a questi incarichi è senz'altro importante per l'alfabetizzazione informatica degli insegnanti. L'ITC Gadda di Paderno Dugnano a cui faccio riferimento ha un bel sito web aggiornato dal collega. Esistono anche problemi oggettivi di organizzazione oraria, ad esempio essendo io insegnante di francese mi sarebbe piaciuto usare il laboratorio di informatica ed essendo questo occupato non ho potuto svolgere quello che era nelle mie intenzioni.

Felice:

Col contratto nazionale del 1988 erano state previste le cosiddette nuove figure professionali: Operatori Tecnologici, Operatori Psicopedagogici, Insegnanti Bibliotecari. Queste figure rispondevano più ad un bisogno di copertura degli esuberi che ad effettive esigenze progettuali delle scuole. Ad ogni buon conto gli OT (Operatori Tecnologici) avevano saputo rispondere per tutta una fase ai bisogni di introduzione alle nuove tecnologie, salvo poi essere progressivamente eliminati man mano che gli esuberi si riducevano. Nella nostra scuola era presente una figura professionale di tal genere che ora non abbiamo più. Esiste in generale il problema dell'istituzionalizzazione, in ogni scuola, di un referente per la multimedialità, con esonero o semiesonero, che superi le soluzioni spesso approssimate delle compresenze.

Se vogliamo affrontare il problema specifico delle professionalità da impiegare in questo ambito il discorso diventa abbastanza complesso. Noi siamo tuttora una comunità di pari, tutti uguali anche se insegniamo magari discipline diverse. La riforma scolastica sta tentando di modificare invece questa comunità di pari attraverso l'incentivazione economica del personale che ha acquisito o acquisisce nuova professionalità, segnatamente ad esempio per le nuove tecnologie. Però la questione non è di poco conto perché i rapporti tra le persone sul piano delle relazioni, delle gestioni, delle divisioni di compiti, comportano la ridiscussione dell'intero organigramma della scuola. In questo contesto secondo me occorre rimettere a fuoco la centralità della comunità perché la singola persona che possiede delle competenze specifiche se è slegato dalla didattica, slegato da un sistema di relazioni di apprendimento cooperativo, di condivisione di risoluzione di problemi, non potrà essere in grado di rispondere adeguatamente a ciò di cui abbiamo bisogno. E questo vale soprattutto per le tecnologie informatiche. Se ci pensiamo, è proprio attraverso un approccio comunitario che risolviamo i problemi dei nostri computer o dei nostri programmi: ciò che so io lo passo all'amico e viceversa in un circolo virtuoso di mutua assistenza tecnologica.

Nella scuola l'assegnazione di compiti specifici crea competizione negativa anche perché legata ad esclusivi incentivi economici.

Stefano:

L'assunzione di responsabilità specifiche di un laboratorio o di una LAN è una necessità almeno iniziale e va vista in una dimensione transitoria, essa ha senso se viene concepita come competenza condivisa, esigenza della didattica come un libro, una lavagna o una videocassetta.

Felice:

Faccio una provocazione per coinvolgere maggiormente Cristina che si sta occupando della biblioteca e della sua informatizzazione. Io penso che per fare il bibliotecario serva, a regime, molto di più un buon conoscitore di libri piuttosto che un buon informatico. Un buon bibliotecario sicuramente deve saper fare ricerche in Internet ma resta, secondo me, ancora fermamente più legato a Gutemberg che al digitale. Nella scuola ritengo che sia più utile, prima ancora di incentivare l'informatizzazione ad esempio di archivi di esperienze didattiche, sollecitare quanto meno una condivisione cartacea delle esperienze. Un ipertesto o un prodotto multimediale hanno ragion d'essere quando nascono innanzitutto da una condivisione reale, fisica, delle esperienze che sperimentiamo. In questo senso mi sento un utilizzatore critico dell'informatica e credo che solide basi per una buona informatizzazione siano quelle che nascono su un tessuto di relazioni concretamente condivise e praticate. La virtualità digitale non riuscirà mai a pacificare la passionalità dell'insegnamento e dell'apprendimento che necessitano di continue pratiche condivise.

Duilio:

Insegno storia e filosofia in un liceo e le mie competenze sulle nuove tecnologie me le sono fatte in un ambito esterno alla scuola. Ambito che chiamo della "cittadinanza" e che usa le nuove tecnologie, in particolare Internet, come strumento per potenziare la democrazia: creazione di comunità virtuali, conference, voto elettronico, … , tematiche molto sviluppate negli USA e che ora cominciano a diffondersi anche in Europa ). Quando nel gruppo col quale lavoravo ci siamo posti il problema di come migliorare il funzionamento della democrazia e di come i cittadini possono comunicare e partecipare meglio, mi sono trovato ad affrontare il problema delle nuove tecnologie soprattutto in chiave riflessiva. Riflessiva perché, a fronte di posizioni come quella di Negroponte, un sacerdote delle nuove tecnologie che sostiene che il voto elettronico trasformerà tutto il mondo in una grande democrazia, ci sono riflessioni di tutt'altro genere che sottolineano gli effetti perversi di Internet.

Anche nel gruppo che ha promosso la Rete Civica di Milano erano emerse posizioni analoghe: c'erano i tecnici, di facoltà universitarie, del Politecnico, che sostenevano che la tecnologia in quanto tale è progressiva. L'altro gruppo di cui io facevo parte sosteneva invece che è il progetto che può essere progressivo e la tecnologia in quanto tale, proprio perché contiene in sé un progetto nascosto, latente e immanente, rischia di essere distruttiva. Per questo sostenevamo che il voto elettronico è la morte della democrazia.

Quando ho cercato di riportare questa mia esperienza riflessiva all'interno della scuola mi sono trovato di fronte ad una ingenua infatuazione verso le tecnologie in quanto tali. Da qui nasce il mio rapporto conflittuale verso le nuove tecnologie.

Ho partecipato ad un gruppo di referenti per l'aggiornamento dei programmi di storia dopo la loro riforma e fummo messi tutti in una scuola per un corso di formazione full time. Incredibilmente non abbiamo fatto nulla che riguardasse la storiografia, solo ed esclusivamente apprendimento di strumenti multimediali.

Il problema allora è di distinguere piani diversi: quello della macchina, quello della rete, quello dei supporti multimediali. Per l'esperienza che ho io la macchina è indifferente e deve funzionare come la migliore delle automobili, deve essere facile da usare e non mi devo "sporcare le mani" perché questo deve farlo lo specialista. Non devo essere ostacolato dalla macchina perché devo potermi occupare liberamente di altro, della comunicazione tra persone, tra banche dati, … Al proposito cito un'esperienza concreta di qualche anno fa, il progetto Comenius, in cui bisognava preparare dei lavori sull'emigrazione: una grande progettazione multimediale in cui nessuno ha raccolto dati concreti. Solo la mia classe si è fatta carico di un enorme lavoro di ricerca di materiale ma il gruppo di informatici che ha assemblato il CDROM finale ha stravolto il senso dei contenuti espressi senza nessuna sensibilità alla tematica, peraltro ambigua come il telelavoro, suggerita dalla Comunità Europea. Mi ha colpito la mancanza di riflessività da parte di colleghi infatuati solo di realizzare il CDROM, di costruire l'ipertesto da pubblicare sul sito web della Comunità Europea.

La scuola recepisce in maniera enfatizzata e semplificata i problemi che maturano all'interno della società e il rapporto con le nuove tecnologie ne è un aspetto fondamentale. Bisognerebbe porsi domande che rimandino alla fonte dei problemi senza accettarli acriticamente. Ad esempio, come dice Lucio Russo nel suo libro, se il problema è creare "consumatori sempre più competenti" allora noi docenti dovremmo forse insegnare come si usano i libretti di istruzione delle lavatrici e dei computer? E' questo che si vuole? Dobbiamo formare consumatori competenti perché questo aumenta il mercato? Infatti il presidente dell'associazione del commercio elettronico lamenta che in Italia il commercio elettronico non si sviluppa abbastanza e dice, testualmente sul Sole 24 Ore, "è colpa della scuola perché la scuola non abitua gli studenti a familiarizzare con lo strumento". Allora è questo il progetto educativo? Il commercio elettronico?

Io non ci sto a questo tipo di progetto e mi rifiuto anche di accettarlo passivamente.

Dico un'ultima cosa sui lavori della commissione di approfondimento sull'attualità fatta con i miei studenti: questi mi portano pacchi di documenti scaricati da Internet e io chiedo loro se hanno controllato le fonti. Con la mia domanda il gioco è presto finito perché comportava il controllare la fonte delle informazioni, tornare in biblioteca, fare dei confronti, porsi dei problemi critici. In tutto questo io insegnante sono inattuale agli occhi dei ragazzi perché il gioco consiste nel fare in modo che il senso critico non venga neppure posto. A dimostrazione di questa acriticità il Sole 24 Ore ha pubblicato circa un anno fa un inserto sui siti web di storia che noi abbiamo controllato scoprendo che metà di questi siti erano neofascisti. L'articolista non aveva posto nessuna avvertenza presentandoli semplicemente come siti su cui raccogliere informazioni e se in qualche caso era esplicita l'ideologia di riferimento del sito, in altri ci voleva una buona preparazione storica per individuare il grado di manipolazione occulta veicolata.

Gino:

Io lavoravo in questa scuola l'anno scorso, ora lavoro in un Istituto Professionale e faccio corsi di informatica per gli insegnanti. Penso che ci sia uno scarsa consapevolezza di questi strumenti da parte degli insegnanti perché non possediamo la capacità di controllo delle fonti: andare su Internet, verificare i siti e successivamente operare una "scrematura". In questo senso la mediazione didattica è indispensabile e non si pone l'alternativa tra insegnante e computer, così come non esiste l'alternativa tra libro e computer.

Nel mio istituto esistono tecnici specialisti che lavorano ad esempio con PCL ma stranamente ad occuparsi di problematiche critiche delle nuove tecnologie sono insegnanti di discipline umanistiche come me. Se ci facciamo caso è lo stesso anche qui adesso tra noi e questo la dice lunga.

Ho fatto vedere oggi agli insegnanti che seguono il mio corso un CDROM della CGIL, Work and Time, per evidenziare come si può utilizzare l'informatica dal punto di vista didattico.

Riguardo a ciò che diceva prima Felice, io ho l'esperienza di mio figlio di otto anni che smanetta col computer e penso che questo strumento aiuti ad operare per unità logiche sequenziali e che ad ogni azione che fai ne segua un'altra conseguente. Già questo mi sembra importante per un bambino di sette od otto anni e non so se è utile insegnare i linguaggi di programmazione anche perché lo stesso linguaggio HTML può essere aggirato lavorando semplicemente con Word salvando poi il file come pagina web. Mio figlio ha costruito la sua pagina web usando un corso web per bambini ricavato dal sito www.html.it.

Non so se la domanda di Felice sia retorica oppure no, ma, sulla base anche dell'esperienza del mio Istituto, io penso che una LAN in una scuola sia importante perché consente tramite router un accesso Internet da tutte le postazioni facilitando il lavoro di tutti.

Rispetto ai problemi legati alla tecnologia penso che bisogna vedere il computer come uno strumento e non un fine. La questione poi se il computer favorisce o non favorisce la democrazia è secondaria alla constatazione di chi detiene le informazioni: oggi più di ieri chi possiede le informazioni ha il potere.

Duilio:

Il voto elettronico provoca fenomeni molto particolari: atomizza e isola il votante, non gli dà più la comunità in cui discutere. In sostanza è adatto ad una democrazia plebiscitaria in cui dire sì o no senza nessun confronto. E' un regresso anche se appare come il futuro della democrazia a coloro che hanno una visione estremamente semplificata della stessa e non a caso viene definita come "la democrazia del tinello". La tecnologia in quanto tale se non ha un progetto specifico che la supporta produce effetti perversi. E' per questo che mi sembra importante riflettere sul rapporto che si ha a monte con le nuove tecnologie e sforzarsi di non riproporre nella scuola le stesse semplificazioni e lo stesso atteggiamento non riflessivo che si producono nella società.

Altro problema: Maragliano dice "nuova antropologia". Benissimo. Si parla dell'insegnante "facilitatore", cioè dell'insegnante che non fornisce più interpretazioni ad esempio di storia: a mio parere questo crea una deriva verso un "relativismo sociale" nel quale non esiste più una capacità di argomentare, non esistono più valori. Faccio un esempio che è una forzatura: tra il relativismo in campo storico e il negazionismo il passo è estremamente breve perché l'atteggiamento della persona comune che dice "le camere a gas e i campi di sterminio non sono mai esistiti" non è altro che l'effetto più radicale dell'assenza di griglie di interpretazione.

Gino:

La mediazione dell'insegnante è necessaria sia sulla rete che fuori nella didattica normale.

Cristina:

Riprendendo il discorso del "consumatore consapevole" innanzitutto direi che un uso libero di Internet è molto difficile nel senso che occorre possedere quelle competenze necessarie ad esempio per un uso libero di una biblioteca. I nostri ragazzi non sono in grado di fare questo perché non hanno gli strumenti per selezionare la fonte e fare interpretazioni, sono ancora dipendenti dai libri ed è nostro compito fornire materiale di ricerca diversificato. Questo vale sia per la storia che per altre discipline, vedi ad esempio il discorso sulle biotecnologie. E' importante formare persone tecnologicamente consapevoli e non mi interessa se poi diventano consumatori.

Gino:

Sbaglia chi dice che posso essere un buon insegnante fregandomene delle nuove tecnologie perché lo studente è in relazione col mondo esterno che è forte e lo influenza.

Cristina:

La mia classe ha aderito al Progetto Giornale di La Repubblica, giornale che ha un suo orientamento e molti ragazzi portano anche Il Corriere della Sera a sostegno delle loro tesi. Si discute in continuazione di problemi di attualità e di politica e il fatto di fare storia in un certo modo consente loro di capire nuovi concetti, anche di diritti politici e sindacali, e di cominciare ad orientarsi meglio.

Stefano:

In passato c'erano stati discorsi molto simili anche su altri media in rapporto alla scuola e didattica e il risultato è stato che i media hanno vinto. Nel senso che se non lo insegni tu qualcun altro lo fa e quindi è meglio se lo facciamo noi che qualche atteggiamento critico riusciamo a salvare.

Trovo molto complesso il problema dell'orientarsi. Stamattina sono arrivati da me in biblioteca tre ragazzi di prima liceo per una ricerca sulla biografia di Cesare; volevano fare una ricerca su Internet e io ho proposto loro che forse cercando tra i seimila libri e consultando da soli lo schedario avrebbero trovato molto. Ho posto sul tavolo tredici biografie di Cesare. Questo è solo un esempio, si potrebbe farne altri e io penso che un problema simile si creerebbe per uno studente portato in una qualunque libreria: si perderebbe.

Dissento sui possibili filtri software da mettere per l'uso di Internet da parte degli alunni perché è difficile, tanto che nemmeno il governo cinese è riuscito a farlo pur investendo miliardi.

Sono anche in disaccordo sul fatto che col computer non ci si debba sporcare, che la macchina debba essere trasparente, perché è bene che in questa fase non lo sia e perché penso che sia formativo il "corpo a corpo" con la macchina. E' una disciplina logica, una protesi della mente, non è un elettrodomestico che è invece una protesi del corpo. Il software in particolare o i linguaggi come l'HTML con i suoi Tag incarnano un sapere fisico e matematico molto interessanti sul piano formativo; sono un sapere trasversale da accompagnare con tutte le altre discipline. E anche la dimensione logica e ludica della rete, di Internet, è un aspetto che gli insegnanti devono conoscere, proprio come sono in grado di orientarsi in una libreria o una biblioteca.

Non essere ostili e neppure intimoriti verso le nuove tecnologie ci avvicina molto al mondo giovanile e ci può far svolgere meglio il nostro lavoro.

Duilio:

Aggiungo un riferimento bibliografico: "Incantati dalla rete" di Formenti, edito da Cortina. E' un libro molto bello perché in maniera flessibile presenta le svariate filosofie collegate alla crescita della rete. Nel libro, secondo alcuni, la macchina deve essere trasparente, mentre altri sottolineano addirittura che la macchina serve ad un mutamento antropologico per l'evoluzione della specie umana. Noi non siamo esterni a queste dinamiche e per me occorre trovare un punto di equilibrio, assumere un atteggiamento riflessivo verso le nuove tecnologie, anche perché ho sempre trovato nella mia esperienza colleghi assolutamente infatuati.

Gino:

Io invece ho trovato colleghi completamente disinteressati alla questione.

Cristina:

Ho partecipato a seminari sui nuovi programmi di storia, abbiamo fatto molta storiografia e prodotto un CDROM che è un contenitore molto comodo e utile per le fare ricerche. Bisogna essere attenti nel selezionare CDROM didattici perché molti CD usciti sul mercato non sono per niente buoni e sono utilizzabili solo fino ad un certo punto.

Duilio:

Questi strumenti devono sicuramente devono essere ripensati.

Stefano:

Bisognerebbe considerarli come una delle varie risorse che si possono utilizzare e porre attenzione al fatto che lo studente deve apprendere ed essere valutato.

Giovanna G.:

Volevo dire una cosa sul senso critico. E' vero che bisogna insegnare ai ragazzi che, su Internet, ciò che non è firmato deve far insospettire, ma anche il libro di testo, seppure firmato, non è che dia quello spirito critico di cui tanto si ha bisogno. Se penso a quello che mi hanno insegnato al liceo i libri e i miei insegnanti di storia mi vengono i brividi. Il senso critico me lo hanno dato tante cose insieme, sicuramente non il libro di storia o i pessimi insegnanti che ho avuto. Il tempo passato sui libri a leggere e a studiare sicuramente è più importante di quello passato a smanettare velocemente su una tastiera di computer passando da una cosa all'altra senza senso. Lo spazio della discussione è l'elemento che fornisce un senso critico e un atteggiamento democratico.

Felice:

A proposito di multimedialità e di "edutainement", cioè dell'imparare divertendosi, Clifford Stoll fa notare che studiare non è mai stato divertente e non lo potrà mai essere perché studiare è fatica, impegno, tempo dedicato, tutte condizioni per arrivare anche ad imparare. Questa è una riflessione importante sul fatto che le nuove generazioni vivendo anche sull'onda del divertimento, del gioco, del ludico, non sono portate a considerare quell'altra faccia della vita che è la fatica, il lavoro.

Giovanna G.:

La democrazia ha un costo: il tempo. Forse non siamo più disposti a pagare questo prezzo quando ci disponiamo al tutto e subito, alla velocità, al computer. Anche noi stessi non siamo più disponibili a dare tempo e ciò a danno della discussione e della democrazia.

Stefano:

Il tempo è fondamentale non solo nel rapporto con i libri, con Internet, con la cultura, con la tecnologia, nel campo della formazione e dell'insegnamento, ma anche negli affetti, nelle relazioni amorose, nel rapporto con la vita. L'attesa mi sembra che non  sia una dimensione dei ragazzi d'oggi.

Duilio:

La questione è controversa. Ad esempio Spaltro nel libro di Biolchini dice che la rete sollecita uno sviluppo del desiderio, mentre altri autori sostengono che la cultura visiva è una forma di oppressione del desiderio perché fornisce una soddisfazione surrogata. E' vero o non è vero che l'immagine è meno ricca del testo scritto? Gli apologeti alla Negroponte sostengono che è più ricca. Io mi interrogo anche su un altro problema: la cultura dell'immagine simbolica non permette lo sviluppo della comunicazione. La comunicazione ha bisogno del testo, della parola, del concetto. La società contemporanea si sta ghettizzando in tribù che non comunicano tra loro e la coltivazione di una cultura visiva non va nella direzione della comunicazione ma verso l'autorefenzialità. Da questo punto di vista io mi sento di essere sacerdote del testo e mi trovo in contrapposizione con chi mi dice che la tecnologia è progressiva in quanto tale.

Felice:

Non so se tu Duilio hai letto il libro di Mottana, "Miti d'oggi nell'educazione. E opportune contromisure", Franco Angeli ed. L'autore ha scritto un capitolo, "High Tech", in cui attacca e demistifica le illusioni della tecnologia, considerata sempre più un mito del mondo contemporaneo e nell'educazione.

Giovanna O.:

Io mi accorgo che si va perdendo nei ragazzi la capacità di argomentare e registro sempre più una povertà di contenuto. E' come se l'uso della tecnologia, delle immagini, della velocità, hanno influenzato negativamente le possibilità di argomentazione.

Duilio:

E' in particolare la cultura televisiva che influenza maggiormente la passività, diversamente dalla rete che in qualche modo risulta interattiva. L'interazione però si verifica solo ai livelli alti di consapevolezza d'uso, ad esempio per gli utenti di conference, mentre la grande massa di utilizzatori resterà in una condizione complessivamente subordinata.

Stefano:

Questo dipende anche dai meccanismi di esclusione sociale o dal fenomeno, anche per la rete, della grande quantità di spazzatura presente e dal comportamento di zapping. La spinta originaria, comunitaria, orizzontale, della rete è annullata dalla modalità televisiva di riprodursi e il voto elettronico non è una forma di democrazia elettronica ma fa il paio con il Grande Fratello, esempio massimo di verticismo decisionale.

Duilio:

Ancora una volta si ripresenta la dicotomia tra un modello di rete progettata su basi comunitarie e democratiche e un modello fondato esclusivamente sulla tecnologia.

Gino:

Questo è un discorso vecchio che affonda le radici negli anni settanta, in un testo famoso pubblicato da Feltrinelli, di Marcello Cini, "L'ape e l'architetto": la tecnologia è buona o cattiva a seconda dell'uso che se ne fa.

Anna D.C.:

Sono d’accordo con Giovanna G. sul problema del tempo. Un conto è essere un utente esperto, non ingenuo, del computer, un altro è trovarsi nella condizione dei nostri alunni che non hanno una profonda esperienza vissuta del mondo e della realtà che li circonda. Il problema è quindi andare alla fonte delle informazioni, qualunque esse siano, dei giornali o di Internet, in tutte le loro forme.

Un altro problema che mi pongo è il fatto che a sollecitare lo spirito critico non dobbiamo essere soltanto noi insegnanti, pena la sconfitta su questo terreno.

In ogni caso rispetto a qualche anno fa rilevo tra i ragazzi un maggior distacco dai poteri magici del computer, non più una macchina superintelligente ma qualcosa da utilizzare in modo meno passivo e più personale.

Cristina:

Trovo utili le sollecitazioni cognitive e le competenze che la realizzazione di un ipertesto può provocare nei ragazzi. Si realizzano mappe, si inseriscono testi e disegni, e il tutto, sollecitato dall'uso del computer, viene svolto in modo più piacevole.

Stefano:

La ricerca su Internet, col taglia e incolla o con la stampa di pagine web, fa accumulare enormi quantità di materiale che ci fa illudere di possedere delle informazioni, in realtà si è solo accumulato della carta o dei files. E' un po' come quando, anni fa, con l'avvento della tecnologia delle fotocopiatrici, si andava nelle biblioteche a far ricerca e si tornava a casa con grandi quantità di fotocopie che poi si lasciavano magari accatastate in un angolo credendo così si essersi appropriati della conoscenza.

Per superare questa modalità bisognerebbe far lavorare i ragazzi ad uno smontaggio e ad una riscrittura dei materiali raccolti, insistendo e sollecitando ad una partecipazione più attiva perché ciò facilita la realizzazione concreta.

Felice:

Tornando al rapporto tra educazione e computer e facendo un parallelo tra famiglia e scuola, mi è capitato di fare delle osservazioni analoghe sia come padre che come insegnante. Come padre, a cui capita di fare qualche ricerca su Internet, o impaginare testi o anche solo giocare talvolta col computer assieme ai miei figli, ho notato un ribaltamento della comune constatazione secondo la quale le relazioni si disgregano davanti alla televisione, oppure ci si isola con i video giochi o col computer. Ebbene, partecipando e coadiuvando con i miei figli, ho scoperto che si può ribaltare il rapporto di atomizzazione e di solitudine che un computer può provocare. Usando queste tecnologie come strumento di lavoro, di gioco, di relazione anche fisica ( le distanze prossemiche attorno ad una tastiera sono molto ravvicinate ) è possibile realizzare comunità di pratiche fondate su forme educative attive e partecipate.                        Le comunità di pratiche hanno il vantaggio intanto di togliere fascino e aureola a queste tecnologie apparentemente "magiche" e allo stesso tempo consentono, sia come insegnanti che come genitori, di far conquistare al momento educativo la dimensione fondamentale della relazione.

Sul piano educativo io penso che qualunque multimedia ( sia quello più datato, programmato, lineare, skinneriano che quello più moderno, costruttivista, interattivo, pieno di suoni e immagini tridimensionali ) lasciato in mano ad un ragazzo in una relazione solitaria con la macchina, non darà mai i risultati sperati. Come educatori perdiamo se lasciamo i ragazzi in una dimensione individualizzata ed esclusiva col computer. Occorre invece dosare questo rapporto, prevedere momenti di condivisione progettuale, costruzione di percorsi comuni, così come in classe si condivide un progetto, un discorso, si condivide il tempo.

Giovanna G.:

Bisogna collocare ogni strumento educativo nel posto che gli compete evitando confusioni funzionali: il libro di testo deve essere un libro di testo, il computer deve essere un computer, la pagina web deve essere una pagina web. I libri di testo che vogliono essere un po' tutte queste cose rischiano di non assolvere a nessuna di queste funzioni.

Duilio:

Bisogna muoversi nella logica di una integrazione degli strumenti educativi di cui disponiamo.

La riunione si chiude con la sollecitazione di Stefano a visitare e ad iscriversi al sito www.docenti.org , un'associazione di cui è membro, che fornisce informazioni didattiche e assistenza tecnica molto utili per gli insegnanti e la loro relazione con le nuove tecnologie informatiche.

Milano, 9 aprile 2001

Resoconto a cura di Felice Soldano