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insegnanti ed educatori della scuola media di via Maffucci, del Distretto Scolastico 80, del quartiere Bovisa di Milano

 

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FORMAZIONE SCOLASTICA E FORMAZIONE AZIENDALE

Il presente documento è il resoconto di un incontro avvenuto a fine maggio 2000 nella scuola media di via Maffucci di Milano tra un gruppo di insegnanti della stessa scuola, della scuola elementare di via Bodio, della scuola media di via Moscati, , dell’EDA (Educazione degli Adulti) del Centro Territoriale Permanente di via Maffucci, di un rappresentante dell’Associazione "Luca Rossi" che opera in campo educativo nel quartiere Bovisa, e il responsabile della Formazione Manager di una azienda multinazionale.

L’incontro, attuato con la modalità di una conversazione tra adulti, si è svolto per discutere delle problematiche relative al rapporto tra la formazione scolastica e la formazione aziendale analizzando quali possono essere le discrasie, le dissonanze ma anche i punti di convergenza.

La riunione viene introdotta da una breve presentazione dei partecipanti e indicando anche la finalità dell'incontro.

Felice:

"La mia non vuole essere una introduzione ma solo una provocazione, un pretesto (qualcosa appunto che viene prima del testo, tutto da scrivere):

nella scuola, da alcuni anni, sono state introdotte una serie di questioni, attraverso circolari e discorsi mediati di seconda o terza mano, che ci parlano di manager, di figure professionali con compiti e funzioni differenziate, di efficienza, di innovazione, …., di paradigmi aziendalistici.

Queste problematiche vengono ad inserirsi in un corpo docente che da sempre svolge stessi compiti e stesse funzioni con la medesima retribuzione.

Il discorso riguarda anche la qualità del servizio scolastico ed il rapporto col territorio inteso spesso ambiguamente: da un lato come scuola che si apre al territorio, dall'altro come l'esterno, il privato, che fagocita la scuola.

Il Progetto Qualità, lanciato dal Ministro della Pubblica Istruzione Lombardi nei primi anni novanta, è uno dei primi atti finalizzati ad introdurre una logica aziendale nel mondo scolastico (non a caso attivato con la Confindustria). In tal senso si muovono anche alcuni documenti importanti, ( ad esempio il Libro Verde della Pubblica Istruzione - edizioni Franco Angeli - sponsorizzato dal Ministero ), e la recente normativa finalizzata all'educazione degli adulti.

Il problema non è di essere d’accordo o meno con queste proposte di stampo aziendalistico, ma quello di discuterne evitando di accettarle passivamente o, peggio, di considerarle mito non discutibile.

La discussione su queste tematiche non può basarsi su preconcetti o, peggio, essere attivata da esperti, ma agite attraverso una conversazione che solleciti domande e suggerisca risposte.

 

Ferruccio:

Ho delle perplessità per ciò che riguarda la relazione che si vorrebbe creare tra scuola ed azienda: quest'ultima punta su risultati economici e la sua idea di qualità non riguarda tanto il prodotto quanto l'immagine che rimanda al "cliente".

Nella scuola la situazione è del tutto diversa in quanto ci sono principi e valori che in ogni caso devono essere tutelati al di là delle richieste dell'utente.

Anche la certificazione di qualità ( ad esempio quella delle ISO 9000 ) non è una garanzia per il consumatore perché vengono certificate solo le procedure che sottendono alla realizzazione del prodotto e non la buona qualità dello stesso.

Un ulteriore rischio della relazione tra scuola ed azienda riguarda il tema della differenziazione tra insegnanti bravi e meno bravi: con quali parametri si potranno definire?

Valutare gli insegnanti sui risultati ottenuti è estremamente difficile perché diverse sono le discipline insegnate, differenti sono le classi per ciò che riguarda gli alunni e la storia della classe stessa.

Un ulteriore assurdo è il fatto che nella scuola gli insegnanti fanno lo stesso lavoro e quindi il differenziarli, invece di creare una situazione di emulazione, porta ad un conflitto interno e non ad una crescita reciproca basata sullo scambio di conoscenza e capacità possedute dai singoli.

L'Amministrazione scolastica vuole in definitiva creare delle gerarchie, come nelle aziende, e non punta sul fatto che tutti gli insegnanti raggiungano una "qualità alta" nel loro operare quotidiano.

In tal modo si punta a realizzare carriere individualizzate senza creare dimensioni di crescita collettiva.

 

Giovanna P.:

La paura che sta dietro ai cambiamenti che si profilano è quella che si vada verso una gerarchizzazione e che si diffonda un arrivismo neppure giustificato dall'incentivo economico che si potrebbe avere.

Inoltre mi chiedo: l'organizzazione aziendale, così come è oggi, alla fine porta risultati positivi non tanto per quanto riguarda la vendita del prodotto ma per ciò che concerne i rapporti tra le persone?

 

Giovanna O.:

Si sta vivendo una situazione di grande disagio perché chi nella scuola agisce "senza l'orologio in mano" e considera il proprio lavoro come "missione" sente la necessità di essere valorizzato.

Mi chiedo come sia possibile trovare gli strumenti corretti che permettano di valutare chi fa di più e chi fa di meno, perché non si può negare che tale diversità nell'operare già oggi esiste. Il problema sarà comunque quello di evitare una competizione negativa che non consente collaborazione.

Già oggi io percepisco che l'atteggiamento collaborativo è cambiato, che si è sempre più restii a "mettere in comune", a condividere.

La qualità non deve essere demonizzata ma neppure trasformarsi in semplice burocrazia perché questo significherebbe dimenticare che si opera con "l'umano".

 

Irene:

La competizione è dappertutto, è in ogni aspetto della società e sarebbe un dramma se anche nella scuola, a cominciare dagli adulti per passare immediatamente ai ragazzi, diventasse una modalità consueta di agire.

Nella mia scuola le persone incaricate di svolgere le "funzioni obiettivo" hanno ottenuto un riconoscimento economico ma hanno continuato a fare ciò che già prima spontaneamente realizzavano.

 

Giovanna P.:

Al contrario io devo ammettere che le cosiddette "funzioni obiettivo" operanti nella mia scuola ( anche se scelte casualmente ) hanno vitalizzato l'azione scolastica e vivacizzato il confronto collegiale.

Diverso è il discorso del "concorsone" e dei "capetti" su cui io non sono d’accordo.

 

Gino:

Lo scontro che oggi è in atto riguarda il tipo di scuola che si vuole realizzare.

Da un lato l'Amministrazione Scolastica spinge verso una formazione che sia omogenea alla creazione di forza lavoro utile al sistema, mentre dall'altra molti insegnanti credono nel compito educativo della scuola intesa come ambito nel quale formare il cittadino.

Le trasformazioni che si pensa di introdurre nella scuola non miglioreranno sicuramente una frustrazione diffusa che nasce sia dalla consapevolezza di trasmettere contenuti e valori lontani da ciò che la società richiede sia dal basso livello economico degli stipendi.

Per quanto riguarda il tema delle figure professionali differenti credo che esso sia inaccettabile fin quando il livello retributivo per tutti da cui si parte resta così irrisorio.

 

Pasquale (responsabile della formazione manager di una multinazionale):

Una prima sana distinzione che non si può dimenticare riguarda la diversa natura tra azienda ed enti educativi: la prima è un'organizzazione orientata al profitto, vive solo se crea ed aumenta il profitto; al contrario gli enti educativi non sono "profit oriented" ma hanno necessità educative di crescita.

Individuata la diversità di fondo tra i due mondi è pur vero che la scuola in cui ora si lavora è diversa da quella di 10/30 anni fa ed è pur vero che essa vive in un contesto socio economico di cui si deve tenere conto perché se non ne veniamo influenzati noi, ideologicamente "attrezzati", ne vengono sicuramente influenzati i nostri alunni che a casa sono in relazione con la coppia genitoriale, vedono la TV, ecc,…

Quindi la domanda che mi devo porre come professionista della scuola è : esiste qualcosa che nell'altro mondo, quello aziendale, mi può essere di aiuto per migliorare ciò che già faccio? e, in particolare per quanto riguarda le elementari e le medie inferiori, che faccio bene?

Vi presento ora dei paradossi. Chi a questi livelli di istruzione di base dà importanza al lavoro in team, spinge verso valori che sono quelli dell'aiuto alla reciprocità, paradossalmente questi sta lavorando allo sviluppo di una competenza che è necessaria alle aziende. Io stesso mi trovo a lavorare su gap di competenze tra le quali vi è il "saper lavorare in squadra". Spesso arrivano in azienda persone che, avendo frequentato scuole superiori o facoltà universitarie nelle quali sono state abituate al lavoro individuale, sono bravissime a "tirare calci negli stinchi" agli altri ma sono privi di ciò che un'azienda richiede sul piano della valorizzazione di tutti i saperi, di tutte le competenze e le qualità necessarie.

Dai vostri interventi è emerso che vi trovate a ragionare su di un presunto disallineamento tra il modo in cui lavorate, il vostro approccio disciplinare e ciò che sembrerebbe abbia bisogno il mondo delle imprese e sia necessario al lavoro in cui i vostri allievi andranno ad inserirsi.

Tra azienda e scuola va subito chiarito che non è vero che tutto il negativo sia da una parte e tutto il positivo dall'altra perché l'esempio che vi ho appena fatto serve a valorizzare ciò che di buono c'è nel mondo della scuola e che deve essere sempre più potenziato.

Rispetto al mondo aziendale, nella scuola ci sono sicuramente aspetti positivi, ma sussistono "miti" che devono essere analizzati.

Partiamo dal tema della qualità.

Essa nasce nel mondo dell'industria manifatturiera ed è legata ad oggetti concreti. Solo da quindici anni a questa parte si è iniziato a parlare di qualità dei servizi e quindi delle persone che in essi agiscono.

Le aziende oggi si "certificano" per una serie di motivi. E' vero che si possono fare le stesse cose senza avere la certificazione e quindi ci si chiede: qual è il valore aggiunto che offre la certificazione?

Di fatto quest'ultima obbliga a dare visibilità a chi sta nell'azienda, a chi usufruisce del suo prodotto, al modo con cui si fanno e si documentano le stesse cose che si fanno. Obbliga nel senso che, pur imponendo procedure anche pesantemente burocratiche, spinge a rispondere ad un "ente terzo" che sta fuori dall'azienda e che impedisce di creare "autoreferenzialità".

L'autoreferenzialità è quella condizione per la quale, pensando alla scuola, è come se io dicessi: "caro allievo, tu sei nella migliore delle scuole ed io sono il migliore degli insegnanti."

Esiste quindi un "terzo" che è chiamato a certificare i risultati con una serie di indicatori e parametri precisi.

Tutte le procedure, ad esempio ISO 9002, sicuramente non sono in grado di valorizzare gli aspetti relazionali, forse perché, ad esempio, ISO 9002 nasce sui prodotti e quindi è una modalità per misurare l'efficacia, l'efficienza di qualcuno sulla base di uno standard piuttosto che sulla qualità dei materiali utilizzati.

Pare che le nuove norme di qualità "Vision 2000" siano tutte centrate sul processo di relazione e quindi dovrebbero essere disponibili dei parametri che aiutano la valutazione di questo aspetto. Ad esempio un parametro per la scuola potrebbe essere: "quali sono i comportamenti pedagogicamente corretti?"

Si lavora in questo modo sul processo e ciò implicherà un sistema di "suivi" che potrà monitorare per un periodo delimitato ad esempio qual è il successo che l'allievo della scuola media inferiore raggiunge nel biennio delle superiori oppure in un corso di formazione professionale.

Sicuramente il sistema di certificazione di qualità contiene aspetti burocratici molto evidenti perché obbliga a siglare con valori alfanumerici o altro, e questo è pesante soprattutto per chi per anni ha lavorato con una grossa autonomia, senza un controllore, come di fatto fa un insegnante che si considera il massimo responsabile del risultato che produce, ovviamente in un contesto deontologico molto forte.

Sapere che entra un terzo, accettare che ci siano delle procedure prefissate, crea indubbiamente dei disagi, ma determina anche delle grandi opportunità perché l'ente terzo verifica le procedure di qualità e può valorizzare il lavoro scolastico.

La procedura è già nota: voi vi certificate attraverso un ente terzo esterno che periodicamente verifica come procedete nel lavoro; vi è inoltre un ente interno formato da colleghi che ha un ulteriore compito di controllo.

Se tutto il sistema di controllo si limitasse a questo, tutto sarebbe relativamente semplice. Nell'industria dove io lavoro a questo si aggiunge un sistema di feed-back del cliente/utente che a sua volta ha una serie di indicatori di controllo per cui può dirmi: "il prodotto mi piace/non mi piace, sono/non sono soddisfatto".

Rispetto alla scuola un esempio potrebbe essere questo: ci può essere una procedura che stabilisce che un compito in classe si può fare in due ore.

Però il genitore di un ragazzo potrebbe affermare che il proprio figlio non ce la fa perché ha bisogno di più tempo.

In questo caso non c'è ISO che tenga perché proprio nella normativa ISO c'è scritto che chi è certificato deve avere periodicamente un sistema di ascolto attivato nei confronti dell'utente. Utente che nel mondo della scuola deve essere inteso in una accezione particolare in quanto il "cliente/allievo" non è un elemento di output esterno, come succede in azienda, ma interviene direttamente nel processo di erogazione del servizio.

Ci sono infatti delle condizioni di apprendimento, di motivazioni, da parte dell'adolescente o della famiglia che hanno un peso notevole sul risultato finale.

In conclusione, per poter essere utilizzata nella scuola, la normativa aziendale per la qualità va rivista ed adattata alla luce della complessità, ma non va demonizzata.

Un'ulteriore riflessione riguarda il piano organizzativo delle gerarchie, dei ruoli e delle funzioni che nelle imprese sono molto diversificati mentre sono parecchio appiattiti nel mondo della scuola, anche se a questo livello qualcosa si sta muovendo.

E' nella natura dei processi che si può cogliere la necessità della gerarchia.

La natura del processo produttivo chiede che i ruoli e le funzioni vengano diversificati perché nel processo che porta ad un prodotto intervengono competenze diverse.

E' quindi nel processo di formazione gerarchica che si trovano le ragioni delle relazioni tra colleghi.

La gerarchia è sostanziata dal fatto che chi sta in relazione simmetrica, cioè chi è pari a me, ha le medesime competenze; mentre chi sta in relazione asimmetrica, verso l'alto o verso il basso, possiede competenze diverse, oppure se ha le mie stesse competenze le possiede con uno spessore ed una densità inferiore.

Esistono dei sistemi di misurazione che permettono di "quantificare" le competenze.

Anche nel mondo scolastico da poco tempo è iniziata questa articolazione gerarchica. Penso che se andassimo a fare un'analisi puntuale del processo di erogazione del servizio educativo potremmo trovare il senso delle nuove funzioni introdotte ultimamente. Questo è rintracciabile nel contesto socio economico nel quale la scuola è inserita e che non può negare. Per questo la progettazione educativa si deve porre in relazione, in sintonia con quanto accade nel mondo esterno. Se ci sono delle funzioni, dei ruoli che si mettono in una condizione di ascolto col mondo esterno, che favoriscono l'integrazione con altri punti di vista, che stimolano, che mettono in relazione con altre esperienze, questo non può che essere positivo dal punto di vista educativo.

La domanda che molti di voi si sono posti è stata: "perché non continuare ad agire come abbiamo sempre fatto, senza differenziarci?"

Questo non è possibile perché è nella natura delle organizzazioni che ci siano delle differenziazioni, sta nella natura delle persone.

Potete fare tutti gli sforzi che volete a non lavorare sulla competitività, ma i vostri allievi, sia quando entrano che quando escono dalla classe, sono immersi in questa competitività.

Fuori dalla scuola esistono organizzazioni stratificate con ruoli e gerarchie precise. Anche ciascuno di noi, fuori da ogni ideologia, ha una componente competitiva, vuole un riconoscimento. Se nel mio lavoro investo energie, risorse, entusiasmo, voglio che mi siano riconosciute e se nell'organizzazione esiste qualcuno che mi aiuta a far riconoscere queste mie capacità, potenzialità oppure mi stimola a migliorare, non posso non accettarlo.

Qualità ed organizzazione sono due aspetti del mondo aziendale che da parte vostra meritano attenzione.

Parlo di organizzazione e non di impresa o scuola perché, al di là della natura o scopo, nel profondo ci sono dinamiche che restano le stesse. E penso di non scandalizzare nessuno se parlo di dinamiche di tipo affettivo/emotivo che si chiamano "gelosie", "invidie", "attacchi", "competizioni", …

E' ovvio che se mi viene proposto come modello l'impresa, mi deve essere proposto un contratto che non si traduca nelle misere cinquantamila lire in più al mese. Se questa è la realtà è giusto che mi indigni. Devo combattere una battaglia per chiedere degli sviluppi di carriera visibili ed adeguatamente retribuiti. Solo in un secondo momento sarò io che potrò decidere se accettarli o meno in base ai miei interessi, alle mie scelte, ai miei valori.

Combattere a priori rifiutando la differenziazione non mi sembra valido.

Bisogna anche fare i conti con gli aspetti generazionali: la prossima generazione di docenti avrà occhiali diversi per guardare perché avranno una storia completamente diversa dalla vostra.

Per riconoscere ad un collega un ruolo, delle competenze, vi sono dei sistemi di valutazione ( questi però non hanno un effetto magico ).

Quali sono questi sistemi?

Banalizzando posso dire che un'azienda per identificare un sistema di prestazioni e per dare una valutazione individua i cosiddetti "best performers" ( nella scuola si tratterebbe di individuare chi sono i migliori ) vale a dire chi è più bravo nella vendita, nel gestire un gruppo di persone, nel realizzare un progetto.

Il fatto che sia il più bravo me lo indicano i risultati che ottiene in specifici campi (vendita, marketing, …).

A queste persone vengono fatte delle interviste per capire quali competenze possiede escludendo quelle "tecnico - specifiche" e puntando su quelle "trasversali" (comunicazione, relazione, capacità di analisi, leadership, capacità di sintesi, …, che in azienda variano da 12 a 14).

Come si vede sono competenze legate alla persona e maturate nel percorso di studio e nel vissuto professionale; esse vengono valutate da società, da esperti di psicologia dell'organizzazione, da psicologi che le misurano attraverso interviste e test specifici o altri strumenti.

La valutazione è quindi effettuata da un "ente terzo" che l'azienda ha scelto dopo averne discusso anche con la parte sindacale perché i criteri, gli indicatori, devono essere chiari e possibilmente condivisi.

Se io ed un mio collega siamo nel medesimo ufficio e qui si libera una posizione gerarchicamente superiore, è possibile che per questo venga effettuata una valutazione. Chi tra noi due non ottiene l'avanzamento ha il diritto/dovere di chiedere di prendere visione dei risultati e, qualora non fosse d'accordo, di bloccare il processo per poter, assieme al consulente che ha effettuato la valutazione, e con il proprio dirigente dell'ufficio, farsi meglio motivare la scelta fatta.

Questo sistema di valutazione che ho tracciato a grandi linee è in vigore in quasi tutte le multinazionali e comunque ogni azienda al di sopra di 600 dipendenti ha la necessità di dotarsene altrimenti al suo interno ci sarebbe una guerra perenne.

Cosa accade poi a colui il quale è stato valutato negativamente, perché, ad esempio, non in grado di prestare ascolto, non dotato di leadership, debole nella gestione delle risorse umane, … ?

Generalmente il suo superiore gli propone un piano di miglioramento e lo manda in formazione; a sua volta la formazione può intervenire in diversi modi proponendo stage, documentazione, affiancamenti, …

Il sistema di valutazione quindi non è punitivo, ma prevede sia di premiare i migliori sia di recuperare chi è in "difficoltà". E' chiaro che questo spinge a fare sempre meglio il proprio lavoro. Però è altrettanto evidente che per quanto venga ridotta la competitività ci sarà sempre qualcuno che per cinquantamila lire in più sarà disposto ad "accoltellarmi".

 

Felice:

Diversamente che nel mondo aziendale, non esistono per la scuola ( e soprattutto non esiste una tradizione culturale ) enti terzi in grado di svolgere una funzione di controllo, valutazione e certificazione dei processi formativi e delle risorse umane.

Non sono neanche attive forme di controllo sindacale che possano garantire un confronto corretto e bilanciare il delicato equilibrio dei poteri all'interno delle singole istituzioni scolastiche ( si veda il discorso dei presidi manager ).

Esiste poi l'importante problema della relazione tra scuola e territorio: dobbiamo senz'altro affermare che alla scuola non servono sponsor economici ( anche se i soldi ovviamente servono per fare qualunque cosa! ); è necessario invece attivare rapporti, convenzioni, condivisione di progetti e quant'altro con enti ed associazioni che si occupano a qualunque titolo di educazione, che sono attivi in qualche misura su un piano educativo con la comunità del territorio nel quale è inserita la scuola.

Serve maggiore educazione non solo il denaro!

 

Seguono ora le risposte di Pasquale ad una serie di domande poste per iscritto da un'insegnante della scuola di via Maffucci che non poteva essere presente all'incontro:

"Quali sono i criteri di valutazione per i formatori aziendali?"

 

Pasquale:

E' prevista una valutazione anche per i corsi organizzati da chi ha compiti di formazione in azienda.

Alcuni criteri riguardano ad esempio la partecipazione più o meno numerosa al corso, il numero dei partecipanti che valuta positivamente il docente e la struttura del corso (ciò attraverso una valutazione per punteggio).

Al termine di ogni corso il formatore somministra un test di valutazione delle conoscenze e dall'esito di quest'ultimo può avere un ulteriore elemento in grado di validare o meno il proprio operato.

Nel corso dei tre mesi successivi alla fine del percorso di formazione, il capo di chi ha partecipato al corso osserva e valuta le prestazioni e può verificare se e quanto il formatore ha proposto viene messo in pratica.

Inoltre a chi frequenta corsi di formazione aziendale viene chiesto di valutare ad esempio la chiarezza dell'esposizione del docente, la qualità dei materiali didattici, quanto gli argomenti trattati sono "vicini" al tipo di lavoro svolto dal corsista, quanto la persona ritiene che possa essere messo in pratica.

Dietro questo sistema di formazione c'è uno studio sull'apprendimento degli adulti commissionato alcuni anni fa ad una società esperta in tali tematiche.

Noi sappiamo anche che questo sistema di valutazione è molto pericoloso perché nella relazione di insegnamento/apprendimento possono scattare meccanismi psicologici di punizione, di vendetta o altro tra discente e docente; inoltre di tutto questo il formatore è consapevole.

Rispetto alla mia esperienza professionale posso concludere affermando che è un buon insegnante chi sa ascoltare, chi ha una buona capacità di comunicazione, una leadership, una precisa competenza disciplinare e pedagogica sia riferita all'individuo che ai gruppi in apprendimento. E' un buon insegnante chi fa coincidere l'insuccesso dell'allievo con il suo insuccesso, così come l'insuccesso di un collaboratore è l'insuccesso del suo manager.

 

"Quanto conta in un'industria la partecipazione dei dipendenti?"

 

Pasquale:

Qui non c’è una risposta univoca, ogni industria ha una sua cultura: si trovano quindi industrie in cui c’è una cultura autoritaria, punitiva, direttiva, per cui una persona è semplicemente un numero ed ha percorsi di avanzamento solo se è "amico" o "parente"; ci sono invece industrie dove c’è un esercizio di negoziazione molto forte. In queste realtà ad esempio ogni anno viene effettuata una ricerca relativa alla soddisfazione degli impiegati ai quali viene chiesto di valutare il proprio capo e la strategia dell’azienda utilizzando un questionario anonimo i cui risultati sono resi pubblici. Dove emergono punti negativi è impegnata anche dal sindacato ad attuare delle azioni correttive.

I costi di queste procedure sono affidate ad un terzo e sono evidentemente elevatissimi perché molto complessi sono i protocolli.

Sempre per uscire dall’ideologia è giusto precisare che il tipo di procedure che ho presentato vengono adottate dalle industrie non per particolare sensibilità ma perché gli studi di psicologia del lavoro danno come evidente il fatto che se i dipendenti che lavorano in una azienda non vivono in un buon "clima" non creano profitto perché non producono bene.

Anche i sistemi di incentivazione sono legati a questo tipo di concetto per cui, ad esempio, non ci sono aumenti automatici di stipendio ma questi sono legati al lavoro, ai risultati del singolo e a dei parametri condivisi col sindacato.

 

Felice:

Nel mondo della scuola le Rappresentanze Sindacali Unitarie ( R.S.U. ), previste dalla legge ma finora mai istituite, semplicemente non esistono e quindi non esistono quelle forme di "controllo e contrattazione" che sono possibili nel mondo aziendale.

E’ previsto dal contratto in vigore l’istituto dell’esame tra le R.S.U. e il dirigente scolastico su varie materie per le quali lo stesso dirigente deve fornire informazione preventiva oppure successiva ( art. 4 del contratto ).

Come si può intuire senza le R.S.U. questa modalità non può essere praticata lasciando al dirigente scolastico libero arbitrio.

 

Pasquale:

Le condizioni del successo sono le metacompetenze.

Sicuramente bisogna imparare l’informatica, ma a ben pensarci questa richiede un apprendimento semplice del tipo stimolo – risposta. C’è bisogno però anche di competenze che derivano da un pensiero analitico, sistemico per riuscire ad operare correlazioni complesse e questo nasce da tutt’altro, dallo studio di Dante, dalla letteratura allegorica, metaforica, dalla storia, dalla filosofia, …

Quando quindi vi arrivano a scuola certi tipi di circolari è evidente che queste contengano il peggio della contaminazione aziendalistica: il consulente che va dal Ministero della Pubblica Istruzione, invitandolo ad assumere un punto di vista che è molto rigido e vecchio, concepisce la struttura scolastica come se fosse una azienda unica con una miriade di filiali ( i singoli istituti ). Se guardo la scuola in questo modo ragiono con un punto di vista piramidale, assumo una collocazione privilegiata perché dall’alto vedo prima e meglio, e quindi scrivo le circolari, le invio e chiedo che ogni "filiale" si adegui.

Ma la natura del processo educativo è un po’ più complesso e quindi la fase di ascolto e di analisi dovrebbe essere ben più forte.

Ragionando dal punto di vista della complessità organizzativa, riuscire a praticare l’ascolto diventa un compito non facile, per cui l’individuazione di figure particolari, di coordinamento, all’interno della struttura può contribuire a creare delle relazioni di reciproca attenzione.

Nella scuola gli insegnanti potrebbero essere definiti con un termine aziendale "line", la linea, coloro che sono a diretto contatto con l’utenza, ma c’è bisogno anche di altre figure di "staff" non impegnate direttamente nell’insegnamento.

 

Felice :

Rispetto al discorso della creazione di nuove figure professionali l’operazione ambigua che vedo è quella di ritagliare delle differenziazioni all’interno di un corpo, la scuola, che ha vissuto per più di un secolo una dimensione ugualitaria senza dichiarare esplicitamente e precisamente le funzioni e i compiti che sono altro dall’insegnamento.

Si dovrebbero invece definire tipologicamente e descrivere operativamente queste nuove funzioni in modo da rendere riconoscibile per queste nuove figure professionali uno status, una deontologia e perfino un’etica.

Ricordo quanta sofferenza c’è stata dal 1988 in poi, quando furono istituite per contratto nazionale nuove figure professionali come ad esempio gli Operatori Tecnologici, i quali pur provenendo prevalentemente dalla cattedra di Educazione Tecnica facevano di fatto altro dall’insegnamento diretto. In quella vicenda però vi era molto più riconoscimento di un nuovo statuto professionale e perfino più giustizia che non nell’operazione che si sta attuando con le cosiddette Funzioni Obiettivo previste dal nuovo contratto e così genericamente definite.

Ancora, anche per ciò che riguarda ad esempio le necessità psicologiche o psicopedagogiche nei riguardi dei ragazzi in difficoltà bisognerebbe definire le competenze professionali richieste agli insegnanti in grado di occuparsene e fare in modo che si possa accedere a queste nuove funzioni con una modalità chiara ( non so come, se per concorso, per titoli, o altro, purché però precisa e non ambigua ).

L’operazione che oggi concretamente si sta attuando è, da questo punto di vista, perversa perché non sono chiari sia gli esiti finali della differenziazione, sia le condizioni di partenza e gli itinerari attraverso cui si selezionano le persone e si differenziano i ruoli per queste nuove tipologie professionali.

Diceva Giovanna O. che si sta sviluppando un certo disagio e una scarsa collaborazione tra gli insegnanti e sottolineava invece come una necessità, un valore, il lavoro in "team". Peraltro anche tu Pasquale, citandolo per paradosso, dicevi che il lavoro di gruppo è una delle competenze più alte richieste dal mondo aziendale.

Ora, con la differenziazione che si sta tentando di attuare è come se si fosse introdotto del veleno nell’organismo scolastico facendolo in tal modo funzionare male.

Sarebbe bene discutere tra noi apertamente di tutto ciò, ritagliandoci lo spazio e il tempo necessari, facendolo apertamente e senza pudori di sorta, convinti anche che le passioni ( invidie, gelosie, voglia di occupare posti di prestigio, amori, … ) comunque ci sono, c’erano anche prima con l’egualitarismo e ci sarebbero anche senza particolari incentivi economici per l’accesso alle nuove funzioni.

Inoltre mi pare che tutto venga forzato dalle emergenze sempre più spinte che ci costringono a decidere senza riflettere a sufficienza e con equilibrio. Sarebbe bene invece riuscire a trovare il tempo per farlo.

Un proverbio di provenienza africana dice: "Quando non sai dove andare, fermati e guarda da dove vieni."

La riunione si conclude con l’auspicio che la discussione possa continuare anche in futuro ( ad esempio sulla leadership ).

Milano 5.7.2000

Trascrizione a cura di Felice Soldano e Daniela Rossi