II - Il golpe e i media

3 - Ascesa e caduta del golpe mediatico

 Per approfondire l' analisi e cercare di ricostruire quello che è accaduto nel fallito golpe di aprile 2002 - il cosiddetto "golpe mediatico" - e verificare il ruolo del sistema dell' informazione commerciale, ci sembra essenziale questo lungo articolo di Luis Britto Garcia, che riportiamo qui integralmente anche perché è di appassionante lettura.

Britto Garcia è un marxista indipendente e il suo punto di vista è nettamente a favore del movimento popolare. La sua analisi è però riccamente documentata e in questo senso non contestabile. Il suo racconto toglie qualsiasi velo di ipocrisia a chi per principio volesse difendere la stampa privata venezuelana a priori, in nome - in questo caso assolutamente fuori luogo - della libertà di espressione.

 

ASCESA E CADUTA DEL GOLPE MEDIATICO

di Luis Britto Garcia*

Scrittore e docente di Storia del pensiero politico all' Università centrale del Venezuela

 

(*) Dedico questo lavoro agli uomini e ai proprietari di quei media che, rispettando le norme costituzionali e i principi etici della professione, mantengono un difficile equilibrio in situazioni tanto turbolente e rispettano il diritto dei cittadini a una informazione veritiera e imparziale. (...). Lo dedico anche a coloro che per mantenersi fedeli alla loro coscienza e al loro dovere sono stati esclusi o colpiti da veto, senza che in loro difesa si siano mossi, finora, gruppi o associazioni che dicono di difendere la libertà di espressione. La loro scelta li onora.

Noi venezuelani abbiamo vissuto tre esperienze storiche fondamentali. Quella del 19 aprile 1810, giorno dell'Indipendenza latinoamericana. Quella del 27 febbraio 1989, la prima ribellione di massa contro il Fondo monetario internazionale. Infine, nella settimana più lunga del decennio, quella che si è conclusa il 13 aprile 2002, abbiamo subito e battuto il primo golpe mediatico.

La serrata padronale

I fatti seguono un copione preciso, che vale la pena di analizzare. Esso non solo ripete per alcuni aspetti il golpe cileno, ma annuncia anche il tentativo insurrezionale del dicembre dello stesso anno ed è stato sicuramente orchestrato all'estero. La dirigenza di Petroleos de Venezuela (Pdvsa), impresa di proprietà esclusiva della Repubblica, respinge una direttiva emessa dal suo unico azionista, si rifiuta di rendergli conto, convoca uno sciopero non giustificato da nessuna rivendicazione dei lavoratori né appoggiato dai sindacati dei lavoratori del petrolio, sabota alcuni impianti. La Federazione industriali (Federcamaras) chiama a uno sciopero generale per martedì 9 aprile. La Confederacion de Trabajadores de Venezuela ( CTV, che non rappresenta più del 17% della forza lavoro, la cui dirigenza non è nominata per votazione diretta e nelle cui ultime elezioni sono sparite metà delle schede e un'altra parte sono risultate false) si unisce alla serrata padronale .

I mezzi di comunicazione divulgano i loro appelli in modo unanime e opprimente.

Martedì 9 e mercoledì 10 aprile cammino per Caracas. Verifico che trasporti, metro, banche, negozi, farmacie, scuole e industrie funzionano più o meno all'80%. Le tv private e parte della stampa trasformano la serrata padronale in uno sciopero virtuale. Trasmettono alle 9 del mattino immagini di strade deserte girate di notte, centri commerciali chiusi dai loro padroni e riducono il Venezuela a poche migliaia di manifestanti che appoggiano la dirigenza della Pdvsa ai cancelli della sede di Chuao. L'ambasciatore Usa Charles Shapiro e i rappresentanti della Venezuela American Chambers si trasformano in stelle della tv.

Cronaca di un'agonia annunciata

L' opposizione convoca attraverso stampa, radio e televisione una marcia fino al Parque del Este per l' 11 aprile. Il Daily Journal , periodico in lingua inglese di Caracas, dà il governo per morto quando esso però è ancora al lavoro. "State of agony stunts governement" , titola il numero di quel giorno. El Nacional apre la prima pagina della sua edizione straordinaria con questo titolo: "La battaglia finale sarà a Miraflores". E' profetica la stampa venezuelana. Prima che accada, sa che il governo sarà mortalmente ferito, che ci sarà una battaglia, che sarà intorno al Palazzo del governo e che sarà "finale".

Culmina così una campagna che da anni incita pubblicamente i militari alla ribellione e che dal febbraio 2002 celebra come eroi gli ufficiali dissidenti che, senza ricevere alcuna sanzione, si pronunciano contro il governo eletto, in occasioni pubbliche preparate con grande copertura mediatica.

La mattina dell'11 aprile il presidente dell'associazione degli imprenditori e dei sindacalisti, sulla scia del Daily Journal e de El Nacional, dirottano la nutrita moltitudine di classe media che si dirige dal Parque del Este a Chuao, verso un nuovo obbiettivo nel centro della città: verso il Palazzo di Miraflores. Il cambio di direzione è stato prefigurato nei servizi televisivi dei giorni precedenti, con la voce che convoca la folla al Parco dell' Este, ma con le immagini che presentano come meta il centro della città. I canali commerciali mandano in onda il generale dell'opposizione Guaicaipuro Lameda, ex presidente della Pdvsa, che grida "A Miraflores!" mentre indica coun un braccio la nuova meta. Per facilitare il cambio di direzione qualcuno fa circolare la voce che Hugo Chavez è caduto.

I primi morti fra i sostenitori del governo

Mentre la marcia dell'opposizione avanza, una gran quantità di simpatizzanti bolivariani circonda il palazzo. Chavez comincia a parlare in diretta a reti unificate, ma le tv private mandano in onda loro immagini, spezzano la diretta. Gli uomini della polizia municipale dei sindaci dell' opposizione Alfredo Pena e Capriles Radonsky si mischiano al corteo.

Nelle adiacenze del Palazzo di Miraflores risuonano degli spari. Cadono manifestanti colpiti con pallottole alla testa. Come titola El Nacional di venerdì 12: "I primi caduti sono stati fra i governativi" (p. D-4).

Vale la pena attenersi a questo resoconto di un giornale dell'opposizione, firmato da Roselena Ramirez Prado, la quale riferisce che molti dei bolivariani gridavano "Patria o morte". "E la morte ne ha colto alcuni. Senza che si capisse da dove venivano, i tiri hanno cominciato a stroncare vite rivoluzionarie. I primi quattro caduti si sono registrati tra la Avenida Baralt e il Palazzo federale legislativo. A quanto sembra, l'autore degli spari era un franco tiratore. Nessuno sa chi ha cominciato. Secondo alcuni testimoni i primi morti avevano dei baschi rossi; in serata per lo meno dieci feriti erano spettatori".

Nell'edizione del giorno seguente dello stesso giornale, Rafael Luna Noguera titola "Morte 15 persone e ferite 350 durante gli scontri di giovedì". E precisa che, secondo i dati forniti dal colonnello Rodolfo Briceno, capo del Corpo dei Bomberos del distretto metropolitano, "sette persone sono state ricoverate al reparto urgenze dell'Ospedale José Maria Vargas, due sono morte sul Campidoglio - i loro cadaveri furono portati direttamente all'Istituto di medicina forense di Bello Monte - e sei sono morte nei dintorni del Palazzo del governo, si pensa per mano della polizia e di militanti dell' opposizione".

Tutti i testimoni confermano questa ricostruzione: un numero considerevole di vittime cade "si pensa per mano della polizia e di militanti dell'opposizione" mentre cercava di bloccare col proprio corpo la via verso Miraflores. Un anno più tardi Wilmar Perez, difensore inerme del Palazzo e sopravvissuto a gravi ferite all'addome, dichiara: "mi sparò un agente della polizia metropolitana". José Marcelino Roa, che stava nel concentramento che difendeva Miraflores e ricevette un proiettile nella rotula, "assicura che quelli che gli hanno sparato erano agenti della polizia metropolitana che, inesplicabilmente, facevano strada ai manifestanti dell'opposizione" ( Ultimas Noticias , 11-4-2003, p. 7). Nell'Universal del giorno dopo vari feriti raccontano: "La polizia metropolitana puntava la pistola contro tutti" e "era uno della polizia metropolitana che mi scaraventò fuori dalla camionetta, mi gettò a terra e mi sparò" (p.4.4).

E' esattamente quello che il giorno 11 mostrano le immagini non ancora montate dei canali tv. Uomini con distintivi bolivariani soccorrono feriti con distintivi bolivariani. In Venezolana de Television, il deputato Juan Barreto denuncia che i caduti sono chavisti. Appena risuonano gli spari la marcia si trasforma in caos. Centinaia di manifestanti filogovernativi strisciano sul ponte di Llaguno, vicino Miraflores, cercando di eludere la sparatoria. Tre di loro rispondono con armi corte.

Poco prima le televisioni commerciali hanno interrotto le immagini della catena tv in diretta su cui parla il presidente eletto. Appare sulle tv commerciali un gruppo di militari che disconosce il governo. Un altro gruppo prende la Tv di stato e la lascia senza segnale. Un altro contingente occupa Miraflores, sequestra Chavez e dà la falsa notizia che il presidente si è dimesso. Nello stesso tempo viene annunciato ai venezuelani che Pedro Carmona Estanga, presidente dell'associazione degli imprenditori, sarà il nuovo presidente della Repubblica.

L' opposizione regna

Montesquieu ha detto che tutto sarà perduto quando una sola persona concentrerà in sé il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario. Pedro Carmona Estanga ha nelle mani anche il potere economico e quello mediatico. Gli manca solo di dichiararsi Dio. Un tale cumulo di poteri non si era realizzato neanche nelle mani di Luigi XIV e neanche George Orwell lo aveva mai previsto. Tale neoliberale, tali media. Nella prima ora del suo regno, Carmona il breve annulla la Costituzione approvata con voto popolare, smantella i poteri pubblici, destituisce tutti i funzionari eletti dal popolo, dissolve lo "spurio" Tribunale Supremo di Giustizia, arresta 150 cittadini, fra cui rappresentanti e governatori eletti (nei tre anni di Chavez non c'era stato un solo prigioniero politico). Quella stessa notte annulla le misure che avevano ridotto i tassi di interesse sui crediti indicizzati, e uomini armati sloggiano i contadini dalle terre assegnate dal governo e bruciano le loro abitazioni. Il giorno seguente, ignorando qualsiasi norma del Diritto internazionale, gruppi violenti e armati comandati dal sindaco di Baruta, Capriles Radonski, assediano l'ambasciata di Cuba, scavalcano i muri, distruggono automobili e finestre, tagliano acqua e luce e pretendono di entrare con la forza nella sede diplomatica.

I media appoggiano la dittatura

E' l'ultimo aborto postmoderno: l'imprenditore che cerca di governare senza la mediazione dei politici; il capitale che sostituisce i mediatori con i media. "Un passo avanti!" titola con ammirazione El Universal di sabato 13 aprile. Sulla dissoluzione dei poteri costituzionali sproloquia El Nacional di quel giorno che "ha fatto bene il nuovo presidente Pedro Carmona Estanga a rinunciare, con una firma, a queste ridicolaggini istituzionali, svalutate moralmente dallo scarso savoir faire con cui i loro rappresentanti esercitarono l'incarico" (p. A-10). Riconoscendo la complicità dell' informazione, nella stessa pagina il giornale celebra Ibsen Martinez: "In sinergia con il ruolo decisivo dei media di massa, la ribellione dei dirigenti petroliferi fu la cosa che riuscì a imprimere una impronta modernizzatrice al movimento con cui la società civile organizzata ha fatto cadere Hugo Chavez" ( El Nacional , 13-4-02, p. A-10).

Una importante frazione dei media, che attraverso campagne sistematiche avevano auspicato e invocato un colpo di Stato e che avevano censurato ogni posizione contraria durante il 12 aprile, si riunisce il 13 col despota Carmona per consacrare il concubinaggio fra potere mediatico e potere dittatoriale . Come testimonia 14 mesi dopo José Gregorio Vasquez, viceministro di Carmona:

"proprietari dei media dissero che erano disposti ad appoggiare il governo, sempre che venissero rispettati i principi di fondo della democrazia, sempre che si dimostrasse che quello non era un governo dittatoriale e che la libertà di espressione fosse rimasta intatta per informare il paese di quello che accadeva. Qualcuno degli editori disse che avrebbe voluto suggerire a Carmona dei nomi di persone da incaricare della gestione della politica delle comunicazioni, ma che non avrebbero voluto assumerla loro direttamente. Parlamoci chiaro: quello che era in gioco non era il governo di Carmona, ma era il Venezuela" (...).

(.) Per evitare la divulgazione estemporanea di espressioni uscite prima della restaurazione della democrazia, alcuni media hanno distrutto le edizioni in cui adulavano la effimera autocrazia. Per esempio la rivista Bohemia, del cui contenuto sono rimaste testimoni alcune copie fotostatiche.

Reporter sans frontières, nella sua analisi di una confessione del fugace viceministro che circola in Internet, cita questa testimonianza come un solido indizio del fatto che gli editori dei mezzi d'informazione si erano schierati compatti per la stabilizzazione del governo ad interim dopo la riunione convocata da José Gregorio Vasquez: "Il contenuto di questo documento non è stato mai smentito dagli interessati (...). La cosa paradossale è che, in questo modo, avallarono un governo che, in appena 48 ore, mise in campo una repressione molto più severa contro la stampa vicina a Chavez di quanto fosse quella intrapresa dal presidente contro la stampa privata".

Candore incomparabile mostrano quei media che si augurano che si "rispetti i principi di fondo della democrazia" e che "si dimostri che non si tratta di un governo dittatoriale" quello che era arrivato a sequestrare con la forza il presidente legittimo, cancellare arbitrariamente la Costituzione approvata dalla maggioranza popolare, destituire tutti i funzionari eletti e iniziare una politica di arresti di massa. Tuttavia ingenuità maggiore mostrano imprenditori così poco informati di quello che succede nel paese e che senza dubbio sono disposti a "suggerire nomi a Carmona di chi potrebbe essere incaricato della gestione della politica dell'informazione", nel migliore stile del bipartitismo, quando i proprietari dei media designavano gli incaricati di controllare la loro gestione e in particolare i dirigenti di Conatel. In dichiarazioni rese successivamente a Canal 8, il presidente Chavez rivela che i rapporti con i media si aggravarono quando non diede il suo assenso a una richiesta in tal senso che gli avevano formulato i principali editori.

Il popolo reimpone il regime Costituzionale

Allo spuntare del giorno 12 parlo con gente del popolo. Ricorre una frase: "E' come se ci fosse morto un familiare". Una anziana negra riassume il suo stato d' animo: "Persino Dio ci ha abbandonato". Alla tv che fa le interviste per strada la gente dice che sta andando al lavoro "come tutti i giorni", in secca smentita del presunto sciopero. Non hanno espressioni di giubilo e non mostrano assenso. Al contrario si raccolgono dichiarazioni che poi saranno censurate o diffuse solo in seguito, come quella di una donna che urla: "Io avevo votato per lui, devono rispettare il mio voto!"

Il popolo non si arrende. La notte una folla disarmata si riunisce intorno a Fuerte Tiuna, dove si dice che il presidente eletto sia prigioniero. Partono lacrimogeni e spari in aria ma la folla non si disperde. Sabato 13 folle inermi conquistano Miraflores, la città, le capitali di tutti gli Stati del paese.

La polizia del sindaco dell'opposizione, Alfredo Pena, spara, accumula in poche ore decine di morti. Sotto la pressione delle masse disarmate, gruppi di militari ristabiliscono la Costituzione bolivariana. Un popolo privato di dirigenti da parte di una camarilla militare rovescia la situazione in poche ore. Vengono liberati i ministri e le autorità locali detenute, che ristabiliscono il regime costituzionale. Le imprese di telefonia cellulare tagliano le reti alle 16, nel tentativo di impedire le comunicazioni. Enormi masse circondano le televisioni. Tengono in mano un libriccino, che mostrano alle telecamere: la Costituzione bolivariana. I media che l'avevano voluta abbandonare senza voto ora la trasmettono senza voce.

Il black out informativo

Le televisioni private fanno apparire una realtà che non esiste - gonfiano concentramenti dell'opposizione, convertono in sciopero generale una serrata padronale parziale, inventano le dimissioni di un presidente che non si è dimesso - così fanno sparire una realtà che esiste. L'esperienza senza precedenti del black out informativo - la stupefacente sparizione di tutto un paese dal proprio spazio mediatico - comincia con lo scattare del meccanismo operativo del colpo di Stato.

Le trasmissioni dei programmi privati interferiscono e oscurano il network statale l'11 aprile alle 15,45. Gruppi armati occupano Canale 8 e bloccano le trasmissioni. "Questa spazzatura la cacciamo via dall'etere", dichiara baldanzosamente sugli schermi commerciali il governatore dello stato di Miranda, Enrique Mendoza. Fra le emittenti private circola l'ordine categorico di censurare qualsiasi attività dei simpatizzanti del Presidente eletto. Andres Isarra, in quel momento ancora capo produzione di El Observador , il notiziario di RCTV , dichiara: "Me ne sono andato perché venne imposta una linea editoriale di censura di tutta l'informazione collegata al chavismo. Fu proibito di far comparire sullo schermo qualsiasi personaggio del chavismo".

Spiega Izarra che "è per questo che tagliarono le dichiarazioni del procuratore Isaias Rodriguez dal resoconto della conferenza stampa del venerdì sera. Credevano che stesse per annunciare le sue dimissioni, ma quando videro che cominciò a condannare il golpe, lo tagliarono". (Nunca la censura fue tan vulgar" , Marcos Salas, Tal Cual , 24-4-2002, p.15).

Isaias Rodriguez conferma che fu repentinamente cancellato dall' etere: "Era come se si fossero impadroniti della libertà di espressione, come se qualcosa di immateriale potesse chiuderla dietro le sbarre". Malgrado quello l'intervista tagliata fu trasmessa da BBC, CNN, Television espanola,Television Argentina, Telemundo e altre emittenti, e "questo fece scattare procedure contro il procuratore che preferì rifugiarsi nell'ambasciata del Messico (Marianela Palacios: "Rodriguez propone di inserire il silenzio informativo fra i delitti penali", El Nacional, A-4, 16-4). Izarra aggiunge che "non vennero coperte le proteste pacifiche dei chavisti a Fuerte Tiuna, e nemmeno le altre manifestazioni. La linea era trasmettere l'idea che tutto era tranquillo a Caracas".

Sulla base di questi ordini, non venne divulgata nemmeno la notizia diffusa da Maria Gabriela Chavez che suo padre non si era affatto dimesso, né la conferenza stampa dei paracadutisti che appoggiavano il presidente eletto. Conclude Izarra che la censura non era stata imposta "mai in una forma così esplicita e volgare come questa" ( Tal Cual , loc. cit.).

Andres Izarra viene licenziato immediatamente col veto a ricoprire qualsiasi altro incarico nelle tv commerciali. La corporazione dei comunicatori non lo difende. Comincia una purga ideologica che culminerà con l' allontanamento di circa 500 lavoratori dei media all' inizio del 2003.

La censura opera negli altri canali commerciali e in quasi tutta la stampa.

Il generale Baduell chiede che venga ristabilito il presidente eletto? I media non ne danno notizia. Messico, Francia e Argentina condannano il golpe e le televisioni diffondono solo la posizione di approvazione di Colombia e Stati Uniti. Ci sono manifestazioni a favore di Chavez in vari quartieri della città e Maria Jose Mairena informa che "i manifestanti chiedevano la presenza di radio e televisioni, ma giornalisti e cameraman non se la sentirono di andare perché alcune emittenti già erano accorse per documentare i saccheggi compiuti a Guarenas e Guatire, ma erano stati fatti segno con colpi di armi da fuoco". ( El Nacional , 13-4-02, p. D-14).

Che informazione danno i canali commerciali al popolo dopo aver imposto questa rigorosa censura della libertà di espressione e di informazione? Il 12 aprile mandano in onda gli arresti spettacolari di funzionari spinti con la forza fino agli automezzi che li conducono in carcere, come succede col ministro degli interni e giustizia Ramon Rodriguez Chacin. L'oppositore Antonio Ledesma appare in tv con una lista di quasi 200 persone che vanno immediatamente arrestate. Compaiono in tv anche Luis Miquilena e Alejandro Armas, elevati a personaggi rappresentativi del movimento bolivariano, per negoziare i loro voti in vista di una farsa parlamentare che avrebbe dovuto legittimare il dittatore Carmona.

Il black out informativo si va esaurendo nel momento in cui la tempesta popolare del 12 aprile dimostra che la dittatura è isolata. Durante quella notte e il giorno seguente i canali commerciali trasmettono solo film, cartoni animati, eventi sportivi registrati. Per avere qualche indizio di quello che succede nel paese, i pochi abbonati della tv via cavo debbono sintonizzarsi sulla CNN. Lo struzzo del potere mediatico infila il collo nei video importati. Accecandosi pensa di accecarci. Vorrebbe che non vedessimo: nessuno lo vuole.

Di questa settimana particolare tutti dobbiamo tenere memoria. Magari i media che ritengono di essere il messaggio impareranno che un golpe mediatico può imporre solo un dittatore virtuale (*)

(*) - Il "primo golpe mediatico del mondo" è stato al centro di un documentario - The Revolution will not be televised - che due cineasti irlandesi, Kim Bartley e Donnacha O' Briain, hanno girato il 12 aprile all' interno del palazzo presidenziale di Miraflores. I due filmmakers stavano girando unfilm su Chavez quando, per caso, furono sorpresi al' interno del palazzo dagli avvenimenti del 12 aprile

(cfr. www.chavezthefilm.com/index_ex.htm e l' intervista di Znet ai due autori in www.venezuelanalysis.com/print.php?artno=1050 ).

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Dossier FNSI a cura di Pino Rea | Impaginazione e grafica Filippo Cioni