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              Report sulla crisi economica mondiale, le cause e le prospettive

 

 

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In piena crisi finanziaria e industriale mondiale, anche il comune di Fabbrico vive una crisi dura da gestire con le vecchie regole del riformismo liberale. E' in questa dimensione nuova che occorre trovare un nuovo assetto socio economico che dichiari fallito il capitalismo e aprire una nuova strada verso l'egualitarismo.

 La crisi economica minaccia il sistema sociale emiliano romagnolo

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Serata Innse, presentazione del libro “la Innse che c’è” di Bruco Casati e Cristiani. Fabbrico 22 marzo 2010 sala Aldo Moro.

Relazione introduttiva di Vito Feninno, Prc di Fabbrico

Un saluto a tutti i presenti. Prima di passare la parola agli ospiti, seduti a questo tavolo, vorrei Fabbrico, la crisi economica, storia della INNSEintrodurre il tema della serata offrendo al dibattito alcune considerazioni o riflessioni.

L’esperienza della Innse si inserisce a pieno titolo nella lotta di classe in continuità con le lotte del movimento operaio del secolo scorso, il secolo breve, il 1900.

E ci ricorda che il mondo è ancora diviso in classi: c’è una classe che domina (il capitale) e un’altra che è subalterna (i lavoratori).

E un’altra cosa ci dice la esperienza della INNSE: che la vittoria della classe subalterna è possibile solo se gli operai sono uniti, sindacalizzati e politicizzati, perché diversamente non tutte le lotte, purtroppo, conquisteranno un successo.

La lotta della Innse ci dice che vincere è possibile, ma è necessario stare uniti, presidiare la fabbrica, non abbandonare il proprio luogo di lavoro, alzare il grado di conflitto, conquistare visibilità.

Quindi occorre un sindacato che sia sempre più un elemento di primo fronte nel difendere le condizioni e il salario dei lavoratori e una politica che sappia trasmettere la coscienza di classe, cioè la consapevolezza che l’eliminazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo è possibile.

Vorrei ricordare i nomi degli operai della INNSE che con la loro lotta hanno vinto sulla speculazione immobiliare assicurando non solo alla loro fabbrica un futuro, ma che ha generato un movimento di lotta in molte altre aziende con lo slogan “FARE COME ALLA INNSE”.

L’operaio Fabio Bottaferla di 45 anni,  l’operaio Massimo Merlo di 54 anni delegato RSU,  l’operaio Luigi Esposito di 48 anni, l’operaio Vincenzo Acerenza.

A questi operai delle officine di Lambrate a Milano, va tutto il nostro riconoscimento e il nostro plauso perché dopo una lotta di 16 mesi, dal 31 maggio 2008 – giorno in cui ricevono la lettera di licenziamento: “perché l’officina chiude”- negli ultimi dieci giorni, dal 2 di agosto al 12 agosto 2009, giorno della firma del nuovo contratto con il nuovo proprietario Camozzi, salendo sul carro ponte, con un gesto eclatante, hanno conquistato l’attenzione dei mezzi di comunicazione e riportato nel dibattito politico la questione del lavoro, che fino a quel momento era volutamente tenuto fuori dalla politica del palazzo.

Delle fasi saliente di questa vittoriosa lotta ne parlerà compiutamente l’autore del libro Casati.

Gli ospiti sono BRUNO CASATI coautore insieme a SACRISTANI del libro “L’INNSE CHE C’E’” che presentiamo stasera e da cui partiamo per fare il punto sul mondo del lavoro e sulla vita quotidiana dei lavoratori, di cui parleranno i rappresentanti delle RSU delle aziende del distretto industriale di Correggio, e i candidati per le elezioni regionali dell’Emilia Romagna: l’operaio Pierpaolo Prandi e il consigliere provinciale di Prc Alberto Ferrigno.

Però prima di passare la parola agli ospiti, permettetemi di avanzare un ultima riflessione. E di mettere al corrente i presenti di quanto grave è la crisi economica qui a Reggio Emilia.  

La crisi è alle spalle? Chi paga la crisi?

Quando non c’è lavoro ci sentiamo dire che è colpa del mercato, che il mercato è fermo. E che per far ripartire il mercato bisogna ridurre la produzione e lasciare a casa gli operai, o tutelarli con gli ammortizzatori sociali tipo cigo cigs indennità di disoccupazione, contratti di solidarietà. Tutti strumenti di protezione pagati dall’operaio alle casse dell’INPS con i contributi lasciati in busta paga. Che penalizzano l’operaio sul versante salariale e sul versante di un arretramento della presa di coscienza, in quanto viene allontano dalla fabbrica, inibendo la sua capacità di lotta.

Ma che cosa è il mercato? Perché se nel settembre 2008 fallisce il colosso bancario americano Lehman Brothers (un debito di 613 miliardi di dollari: il più grande debito nella storia delle bancarotte mondiali) entra in crisi anche il modello socio economico emiliano-romagnolo? E la crisi da finanziaria diventa economica, sociale, occupazionale, democratica? Noi per spiegarci il perché a Reggio Emilia oggi abbiamo più 25 mila cassaintegrati e 5 mila licenziati interinali dobbiamo vedere che legame corre tra la crisi finanziaria americana e la crisi industriale del nostro paese e nello specifico di Reggio Emilia.  

Nel capitalismo non ci sono certezze, ecco perché è importante capire la natura di questa crisi. Il capitalismo è fatto di contraddizioni, la più evidente, che è sotto gli occhi di tutti, è che se anche c’è una fase di crescita, e c’è da lavorare, non è detto che lavori. Perché la logica che guida il capitalismo è fondata sulla Recessione umana, cioè aumento della massa dei poveri (più 37 milioni in più di disoccupati si avranno da questa crisi) e sulla Ripresa Statistica. Cioè ripresa degli utili aziendali senza occupazione.

E questo perché il capitalismo non ha una logica umana. Se avesse una logica umana davanti a più disoccupati il capitalismo dovrebbe far lavorare meno per lavorare tutti, ma nel capitalismo non c’è logica umana. Nel capitalismo non devi lavorare, ma devono lavorare di più gli occupati con gli straordinari. Il capitalismo nel suo sistema sociale sfrutta di volta in volta gli immigrati e i giovani che con la precarietà abbatte i costi di produzione, il costo del lavoro.

Chi ha deciso, quindi, che un giovane non deve lavorare o un operaio non deve lavorare? Dicono il mercato! Ma il mercato non è una divinità. Il mercato è un prodotto delle relazioni dell’uomo. E in un mondo diviso in classe, il mercato è dominato dai finanziatori e dai padroni dei mezzi di produzione, (le macchine utensili su cui lavorano gli operai); sono loro che dominano nelle relazioni umane e  decidono chi e quando deve lavorare, misurandosi sempre con il profitto. Perché da che mondo è mondo è il potere economico a menar le danze, scegliendosi di volta in volta la “sua” politica che può essere riformista o conservatrice, in relazione ai tempi che percorriamo.  

Difatti, essendo quello italiano un capitalismo arretrato, non maturo come il turbo liberismo americano, per rispondere alla crisi economica già iniziata negli anni 90 la “politica” italiana ha dovuto mettere mano a due importanti riforme: quella delle pensioni e quella del lavoro.

Sul versante pensioni, passando dal sistema retributivo a quello contributivo del 95 della riforma Dini, fino alla Riforma Maroni(legha)-Damiano(Pd) del secondo pilastro per la costruzione di una integrazione pensionistica attraverso i fondi pensione: passando, così, dallo “scalone” di Maroni agli “scalini” “riformisti” di Damiano. Tagliando la pensione dei lavoratori di un terzo: dall’80% del proprio salario o stipendio al 52%. E tutto questo per rispondere alla crisi economica degli anni 90/2000 e per rendere il “sistema paese” più competitivo. “Necessità” di cui si è fatto carico anche l’organizzazione sindacale della CGIL che ha convinto i lavoratori a “condividere” gli interessi generali. Come invitava a fare l’ex direttore del giornale “La repubblica” Eugenio Scalfari.

Il capitalismo statalista ha sempre più bisogno di politiche socialiste per difendere il profitto a danno del salario e dei diritti. Difatti il governo Berlusconi promuovere la Riforma Biagi del mercato del lavoro, introducendo nelle relazioni industriali la “flessibilità in entrata” tagliando i lacci dello statuto dei lavoratori che garantiva un impiego a tempo indeterminato trasformandolo a tempo determinato con la parole d’ordine “meglio un lavoro flessibile che rimanere disoccupati”. E oggi con Sacconi che aggirando l’articolo 18 introduce la contrattazione individuale regolamentata dall’arbitrato, rispondendo alle esigenze delle aziende anche con la “flessibilità in uscita”: cioè senza più il reintegro al lavoro, ma pattuire una compensazione al licenziamento del lavoratore. creando la precarizzazione della vita dei lavoratori.

L’attacco alle pensioni, che è salario del lavoratore accantonato per quando raggiungerà l’età pensionabile, è una politica confindustriale tesa a ridurre la spesa sociale e a liberare risorse economiche da trasferire al sistema industriale in termini di sostegno agli utili reinvestiti e all’abbattimento del costo del lavoro e del denaro. Trasferendo così i tagli della spesa sociale alla finanza cioè alle banche che dovrebbero sostenere le imprese con interessi più bassi.

Stiamo così assistendo alla finanziarizzazione della produzione, cioè: i mezzi di produzione non sono più di proprietà delle aziende ma della finanza e delle banche. Passaggio dal capitalismo all’imperialismo, cioè: passaggio dal capitale alla fusione tra capitale e finanza, con l’impoverimento del lavoro e l’esaltazione di leve finanziarie capaci di moltiplicare profitti speculativi.

(Io più semplicemente di Biagi, sostengo che le pensioni non debbono essere legate alla produzione o alla produttività ma al fisco).

Ma parliamo della crisi a Reggio Emilia. A Reggio Emilia è boom della Cig e dei contratti di solidarietà. Morra della CGIL di RE, su un giornale locale ha parlato di:

17 mila lavoratori in cassa integrazione ordinaria (un tracollo senza precedenti)

5 mila lavoratori in cassa integrazione straordinaria (che significa prossima mobilità, cioè licenziamenti)

3 mila lavoratori con contratto di solidarietà (con il 25% di sgravio dei contributi per le aziende sulle ore lavorate)

Un totale di 25 mila lavoratori che da quasi due anni pagano la crisi in assenza di risposte per il loro futuro fatto sempre più di precarietà e di restringimento dei diritti.

E a questi vanno aggiunti i lavoratori precari i dipendenti a progetto che il loro licenziamento è avvenuto fra settembre 2008 e i primi mesi del 2009. In provincia c’erano 6 mila lavoratori interinali, oggi ne sono rimasti mille.  

Quindi, a Reggio Emilia, un territorio ai vertici da decenni dell’industria e della ricchezza su scala europea, la crisi è gravissima se crediamo alle cifre (questo a dimostrazione che non esistono aree felice, in epoca di globalizzazione e imperialismo finanziario).

I dati ISTAT-UNIONCAMERE Emilia Romagna, dico che Reggio è in controtendenza rispetto alle altre provincie della Emilia Romagna, dati che ci mettono in fondo alla classifica regionale.

Nel settore meccanico a febbraio (un mese fa) abbiamo avuto 1 milione di ore di cassa integrazione ordinaria e 3 milioni di ore di cassa integrazione straordinaria, cioè un dato allarmante perché si riferisce a piani di ristrutturazione in gran parte cominciati nel 2009.

Rispetto a questi dati inquietanti molte famiglie hanno già fatto ricorso ai risparmi messi da parte per poter continuare ad andare avanti e sono calate di conseguenze anche le richieste i prestiti bancari.

Se a questo aggiungiamo pure l’esplosione della bolla edilizia con migliaia di appartamenti invenduti, cantieri chiusi o fermi un po’ ovunque e che molti lavoratori sono in mora perché non riescono più a pagare gli affitti o il mutuo sulla prima casa, non resta che prendere atto che i dati convergono a dipingere uno scenario di fatto di una recessione molto profonda che si mangia alla radice quel benessere che il modello emiliano in cinquant’anni era riuscito a costruire. Quindi per il 2010 c’è da aspettarsi un anno ancora duro, per i lavoratori.

Quindi c’è da ripensare ad un altro modello di sviluppo fondato sulla produzione dei beni in base ai bisogni e non in base al profitto e allo sfruttamento, se vogliamo vedere la luce in fondo al tunnel, di questa crisi strutturale, verticale, che genera anche in stato di crisi profitti e vantaggi solo per una classe, quella dominante.  

Questo è il punto.

E allora, Cosa bisogna fare per contrastare la precarietà e la perdita dei posti di lavoro?

Bisogna stare vicino ai lavoratori, frequentare i luoghi di lavoro, informare sulle contraddizioni del sistema economiche che minaccia i loro salari e i loro diritti. Creare dei coordinamenti di lotte per rompere l’isolamento promuovendo assemblee pubbliche per socializzare con i territori i paesi la condizione quotidiana dei lavoratori rispetto alla crisi economica e occupazionale, per creare una rete di solidarietà con la popolazione e non solo tra i lavoratori.

Combattere non solo gli effetti della crisi, ma anche le cause. Difendere i siti produttivi dalla delocalizzazione, lavorare sulla coscienza di classe dei lavoratori altrimenti ci sarà un arretramento della loro capacità di lotta che si rifletterà sulla condizione sociale ed economica della loro vita. E qui ritorna importante il ruolo del sindacato, di un sindacato che dovrebbe essere attivo e non di servizio, che difenda la classe che rappresenta e non gli interessi generali, perché quelli già vengono difesi dalla politica conservatrice e riformista, sia in Italia che nel mondo industrializzato.

Negli untimi 20 anni, il sindacato ha sempre contrattato con le aziende in condizioni di arretramento rispetto alle esigenze del capitale, cedendo sul salario, accettando contratti diversi, premi produzione, rompendo così la solidarietà e l’unità dei lavoratori.

Per uscire da questa crisi occorre lavorare sui lavoratori promuovendo un protagonismo operaio come testimonia la esperienza della INNSE di Lambrate. Una esperienza di lotta che ha saputo colpire l’immaginazione collettiva e che ha contribuito alla diffusione di un movimento di lotta esteso anche ad altre realtà industriali.

Per reggere alla radicalità dell’attacco del capitalismo occorre un fronte sindacale e politico altrettanto deciso e fermo su una piattaforma che rivendichi:

blocco dei licenziamenti, il no alla delocalizzazione, no al taglio dello stato sociale, togliere gli aiuti statali alle aziende che de localizzano la produzione, dare continuità all’esperienza vittoriosa della Innse.

Agli ospiti la parola.  Grazie dell’attenzione.

(Per rifondazione comunista, il coord. Vito Feninno)

Fabbrico 22 marzo 2010 

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