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              EDITORIALE

 

 

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In piena crisi finanziaria e industriale mondiale, che occorre trovare un nuovo assetto socio economico che dichiari fallito il capitalismo e aprire una nuova strada verso l'egualitarismo.

  LA CRISI GRECA PARLA A NOI

*     Editoriale di  Vito Feninno

 

La crisi della Grecia va individuata nella trasformazione del capitalismo, cioè nell’elevazione delle sue contraddizioni che ad ogni crisi riproduce le contraddizioni ad un livello superiore: il livello attuale è individuabile nel modello dell’IMPERIALISMO FINANZIARIO. Cioè dell’egemonia del capitale finanziario su quello industriale. Perché là dove il capitalismo è più maturo al capitale non rimane più spazio di investimento remunerativo e quindi la necessità di esportare capitale o attraverso il dominio delle multinazionali abbattendo la concorrenza o attraverso le sovvenzioni delle banche centrali o fondo monetario internazionale (FMI).

Difatti oggi sempre più sono le banche le proprietarie dei mezzi di produzione o sono i titoli sovrani o il FMI che intervengono per salvare i siti produttivi o le nazioni prossime al default economico, come l’ARGENTINA E LA GRECIA.

Il denaro tolto al sistema produttivo e quindi al lavoro e utilizzato dalla classe parassitaria (la borghesia rentier separata dal mondo industriale individuabile nei fenomeni speculativi, finanziari, di borsa, dei terreni, immobiliari) ha trasformato il capitalismo da industriale e produttivo in capitalismo liquido.

In questa fase il capitalismo per garantirsi redditi remunerativi ha necessità di trovare aree dove esportare e mettere a profitto questa liquidità monetaria.  

 La crisi della Grecia o dei paesi cosiddetti Piigs (portogallo, italia irlanda grecia e spagna) si inseriscono pienamente in questa contraddizione, perché de localizzando la produzione si sono impoverite sotto il profilo industriale (dove si forma la vera ricchezza di uno Stato) e hanno sempre più aiutato la crescita del Pil con politiche di sostegno di stampo Keynesiano (soldi pubblici)  e quindi aprendo la strada all’indebitamento degli Stati, cosa che non attrae più gli investimenti stranieri per il rischio di non poter pagare tali investimenti.

Pertanto la crisi della Grecia si inserisce all’interno del processo europeo minandone il suo processo unitario. Io pensavo che La Grecia si salvasse solo attraverso la battaglia della sovranità europea e quindi la Grecia sarebbe diventata la levatrice della costituzione europea come potenza imperialista.

Ma con la soluzione controversa trovata a Bruxelles  di aiutare la grecia con finanziamenti bilaterali per i 2/3 e con finanziamenti del FMI per 1/3 penso che questo processo di costituzione di potenza imperialista ne esce un po’ deformato.

Con gli aiuti comunitari e del FMI potremmo dire di trovarci di fronte alla 1° battaglia imperialista del dopo crisi, perché con questo aiuto esterno porterà il bilancio di Atene sotto il controllo di Enti finanziari e non più Statuali, democraticamente eletti.

A fronte di questi aiuti finanziari l’asse franco tedesco e FMI hanno chiesto al governo socialista greco di predisporre una serie di riforme tese a politiche di austerità come tagli agli stipendi del pubblico impiego, aumento dell’età pensionabile, tagli degli assegni sanitari. E questo per avviare la fase di risanamento dei conti pubblici e ridare fiducia agli investitori stranieri attraverso la vendita dei Bond o titoli di Stato.

Tutta la borghesia europea guarda con attenzione alla crisi Greca, perché un suo fallimento di risanamento potrebbe trascinare con se tutta l’unione europea.

Quindi, in nome della riduzione dei deficit, si prospetta un attacco in grande stile allo stato sociale che se “risultasse vincente il padronato europeo non tarderà a esportarla in tutta Europa”.

Come già da tempo aveva iniziato il capitalismo italiano negli ultimi anni, nome della riduzione del debito ormai superiore al 120% del PIL, ha modificato lo statuto dei lavoratori (legge 30, o legge Biagi), ha riformato il mercato del lavoro, ha riformato le pensioni e negli ultimi 15 mesi ha sottoscritto l’accordo separato sulla contrattazione sindacale e oggi propone il disegno di legge 1167 sull’arbitrato aggirando l’art. 18 dello statuto dei lavoratori.

A questo va aggiunto che le organizzazioni sindacali sono divise, la UIL e la CISL di fatti hanno già dato il loro consenso e con la CGIL costretta in un angolo incapace di reagire a difesa della Classe che rappresenta.

Inoltre il ministro Sacconi ha bocciato l’emendamento della commissione parlamentare del Lavoro che voleva prolungare la cig da 12 a 18 mesi, adducendo beffardamente che i “lavoratori sono già abbastanza protetti”.

Per aver mano libera anche tema di riforme istituzionali, il governo di centrodestra potenzia anche la sua offensiva sul versante dei diritti dei lavoratori, perché sa che se quel fronte è frammentato, non troverà nel paese forme di resistenze democratiche a contrastare tali restringimenti. Gli esempi di Rosarno, via Padova a Milano e la sentenza della Cassazione sui diritti dei figli dei clandestini ne sono un esempio.

Esiste una alternativa a tutto questo? La borghesia italiana oggi sopporta Berlusconi in mancanza di una alternativa affidabile a cui incaricare la tutela degli interessi padronali, in quando il PD è al momento instabile nel quadro delle sue alleanze.

E in questa cornice il governo di centrodestra e sempre più leghista trova partita facile nel deliberare politiche o provvedimenti autoritari e di restringimento degli spazi democratici.

La speranza è che a tutto ciò si possa sviluppare una risposta robusta da settori dei lavoratori e dei giovani facendo aumentare la mobilitazione per porre un freno a questa delirante deriva imperialista.

Il nostro problema come PRC non è conquistare un seggio da consigliere o da parlamentare che avrebbe un ruolo pressoché “ornamentale”, prediligendo le alleanze per tale fine. Ma non rincorrere il PD come abbiamo penosamente fatto in questa campagna elettorale ma elaborare una linea politica chiara di contrapposizione al sistema e contro le due coalizioni borghesi.

Facciamo come in Grecia, dove la popolazione, i lavoratori e gli studenti stanno manifestando contro le politiche neoliberiste del FMI. Perché il timore delle borghesie è che i lavoratori greci possano vincere e che vengano imitati anche in altri stati.

Noi dovremmo o meglio noi dobbiamo lavorare perché questo timore diventi vero facendo entrare la classe operaia sulla scena della politica.

(Per rifondazione comunista, Vito Feninno)

Fabbrico 20 maggio 2010 

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