La scelta del 9 e 10 aprile 2006
A dispetto di quel che da tempo attestano, unanimi, i
sondaggi,
il risultato
delle elezioni che si terranno il 9 e 10 aprile appare
ancora quantomai incerto. È questo un
buon motivo perché il direttore del
Corriere della Sera spieghi ai lettori in modo chiaro e
senza giri di parole perché il nostro giornale auspica un
esito favorevole ad una delle due parti in competizione: il
centrosinistra. Un auspicio, sia detto in modo altrettanto
chiaro, che non impegna l’intero corpo di editorialisti e
commentatori di questo quotidiano e che farà nel prossimo
mese da cornice ad un modo di dare e approfondire le notizie
politiche quanto più possibile obiettivo e imparziale, nel
solco di una tradizione che compie proprio in questi giorni
centotrent’anni di vita.
La nostra decisione di dichiarare pubblicamente una
propensione di voto
(cosa che abbiamo peraltro già fatto e da tempo in occasione
delle elezioni politiche) è riconducibile a più di una
motivazione. Innanzitutto il giudizio sull’esito deludente,
anche se per colpe non tutte imputabili all’esecutivo, del
quinquennio berlusconiano: il governo ha dato l’impressione
di essersi dedicato più alla soluzione delle proprie
controversie interne e di aver badato più alle sorti
personali del presidente del Consiglio che non a quelle del
Paese. In secondo luogo riterremmo nefasto, per ragioni che
abbiamo già espresso più volte, che dalle urne uscisse un
risultato di pareggio con il corollario di grandi coalizioni
o di soluzioni consimili; e pensiamo altresì che
l’alternanza a Palazzo Chigi - già sperimentata nel 1996 e
nel 2001 - faccia bene al nostro sistema politico. Per
terzo, siamo convinti che la coalizione costruita da Romano
Prodi abbia i titoli atti a governare al meglio per i
prossimi cinque anni anche per il modo con il quale in
questa campagna elettorale Prodi stesso ha affrontato le
numerose contraddizioni interne al proprio schieramento.
Merito, questo, oltreché di Romano Prodi,
di altre quattro o cinque personalità del centrosinistra. Il
leader della Margherita Francesco Rutelli, che ha saputo
trasformare una formazione di ex dc e gruppi vari di
provenienza laica e centrista in un moderno partito
liberaldemocratico nel quale la presenza cattolica è
tutelata in un contesto di scelte coraggiose nel campo della
politica economica e internazionale. Piero Fassino, l’uomo
che più si è speso per traghettare, mantenendo unito e forte
il suo partito, la tradizione postcomunista nel campo
dominato dai valori di cui sopra. I radicalsocialisti Marco
Pannella e Enrico Boselli che con il loro mix di laicismo
temperato e istanze liberali rappresentano la novità più
rilevante di questa campagna elettorale. Fausto Bertinotti,
il quale per tempo ha fatto approdare i suoi alle sponde
della nonviolenza e ha impegnato la propria parte politica
in una nitida scelta al tempo della battaglia sulle scalate
bancarie (ed editoriali) del 2005.
Noi speriamo altresì che centrosinistra e centrodestra
continuino ad esistere anche dopo il 10 aprile. E ci sembra
che una crescita nel centrodestra dei partiti guidati da
Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini possa aiutare quel
campo e l’intero sistema ad evolversi in vista di un futuro
nel quale gli elettori abbiano l’opportunità di deporre la
scheda senza vivere il loro gesto come imposto da nessun’altra
motivazione che non sia quella di scegliere chi è più
adatto, in quel dato momento storico, a governare. Che è poi
la cosa più propria di una democrazia davvero normale
(fonte, il corriere della
sera)