SITO PER CUORI RIBELLI
QUESTO SITO E' DEDICATO A TERSITE
FONDATORE VITO FENINNO
Continua
il successo di Tersite: grazie ai gentili odissei.
LA POLITICA
CIAMPI SCIOGLIE LE CAMERE
Dopo la firma del decreto di scioglimento delle
Camere del presidente Ciampi, Eugenio Scalfari,
fondatore de "la Repubblica", fa un bilancio e
traccia un consuntivo sulla legislatura di centrodestra.
Tersite si riconosce pienamente nell'analisi sociale
economica e politica testé delineata e vuole omaggiare i
propri lettori odissei amplificandone la sua
lettura.
DUE VOLTE IN VENDITA
LA STESSA PATACCA di EUGENIO SCALFARI
Questa
legislatura, se si vuole compilarne un giudizio
consuntivo, è nata con un vizio di origine; è partita
fin dall'inizio col piede sbagliato puntando non
sulla coesione sociale ma sulla divisione del paese, una
sorta di lotta di classe alla rovescia che mettesse
una volta per tutte sotto schiaffo i lavoratori definiti
privilegiati perché garantiti da un posto di lavoro
fisso che in quanto tale bloccava la mobilità, la
produttività, la competitività, penalizzando i giovani,
i disoccupati, i pensionati futuri.
La strategia del governo e della sua maggioranza
vittoriosa alle elezioni del 2001 fu chiarissima fin
dall'inizio: bisognava azzerare la politica dei redditi
basata sulla concertazione e questo fu fatto. E poi
bisognava battere i sindacati confederali e dividerli,
accrescere la flessibilità già introdotta largamente dal
governo Prodi con la legge Treu, creare per quanto
possibile una rete di ammortizzatori sociali, proteggere
i redditi dei lavoratori autonomi e delle partite Iva
tollerandone l'ampia fascia di evasione fiscale. Infine
sferrare la battaglia - simbolica ma anche sostanziale -
contro l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori
accrescendo i limiti di licenziabilità senza giusta
causa con l'intento di favorire l'evoluzione delle
piccole aziende verso imprese di maggiori dimensioni. Il
tutto innaffiato da una robusta diminuzione delle
aliquote delle imposte sul reddito favorendo in misura
più che proporzionale le fasce superiori ai 20mila euro
di reddito annuo.
Perché dico che questo programma era condannato da un
peccato originale? Perché le condizioni dell'economia
mondiale lo rendevano di impossibile attuazione ed anche
perché molte delle premesse erano inesistenti.
Per esempio l'ipotesi di far crescere le dimensioni
delle piccole imprese: nel quinquennio esse non sono
aumentate ma anzi drasticamente diminuite. Per esempio
l'ipotesi di migliorare la competitività: dalla
posizione 26 siamo scivolati alla posizione 43 nella
classifica mondiale. Per esempio l'ipotesi di un aumento
della produttività, reso vano dalla stasi
dell'innovazione di prodotto. E poi la stagnazione della
domanda mondiale con le sue drammatiche ripercussioni
sui nostri mercati. Conseguenza: stasi del Pil, aumento
del deficit, aumento del fabbisogno, aumento del debito
pubblico, azzeramento dell'avanzo primario, crescita
della spesa e diminuzione delle entrate.
Per far fronte a queste falle i previsti ammortizzatori
sociali furono rinviati a miglior tempo e così pure la
restituzione ai lavoratori del "fiscal drag"; il credito
d'imposta che favoriva la creazione di nuovi posti di
lavoro fu abolito. Per fortuna, grazie all'euro, i tassi
di interesse sui prestiti e sui mutui si mantennero
bassi, ma la conversione dei prezzi dalla lira all'euro
dimezzò il potere d'acquisto dei ceti più deboli.
Berlusconi parla a vanvera del cambio lira-euro. Ci
sarebbe voluto, dice il premier, un cambio a 1500 lire
anziché a 1936. Cioè una follia, ammesso che fosse
possibile (e non lo era): con 1500 lire contro 1'euro le
esportazioni si sarebbero bloccate, la domanda di merci
e servizi italiani a cominciare dal turismo sarebbe
crollata.
Insomma una vera catastrofe, come lo fu la famosa "quota
novanta" voluta da Mussolini, che fece precipitare nel
disastro l'economia italiana di allora. Per sostenere in
qualche modo la finanza pubblica si ricorse ai condoni e
alla svendita dei beni patrimoniali. E a tutti gli
artifici della cosiddetta finanza creativa. Gli effetti
sono sotto gli occhi di tutti. Il governo conclude
l'opera sua consegnando al prossimo Parlamento una
finanza ipotecata e un'economia stagnante. È migliorato,
è vero, il livello dell'occupazione, dovuto per un terzo
alla regolarizzazione di mezzo milione di immigrati. È
aumentato però il lavoro precario. Sono peggiorate le
prospettive dei giovani. Il sommerso ha toccato la
percentuale record del 40 per cento e con esso
l'evasione fiscale. Infine il potere d'acquisto è
crollato mentre il governo ha buttato dalla finestra 12
miliardi di minori aliquote sull'Irpef, peraltro più che
compensate da un drastico aumento delle imposte
indirette e dei tributi locali. Questo è lo stato dei
fatti nella finanza e nell'economia.
* * *
Gli elettori che votarono per Berlusconi cinque anni fa
non volevano questo. Volevano e speravano in un paese in
cui la burocrazia fosse ridotta all'essenziale e
guadagnasse in efficienza (non fatto); una giustizia più
rapida (non fatto); una sicurezza personale più
garantita (non fatto); una lotta vittoriosa contro la
criminalità organizzata (non fatto); trasporti più
agevoli e veloci (non fatto); mercati più liberi e
concorrenziali (non fatto); scuola moderna e capace di
formare i giovani (non fatto); un po' più di agio
familiare e individuale (non fatto).
Questo volevano coloro che votarono per il centrodestra
nel 2001. Per ottenere queste necessarie riforme
chiusero gli occhi sul più clamoroso conflitto
d'interessi mai verificatosi in Italia, in Europa, nelle
democrazie del mondo intero. Sperarono che il titolare
di quel conflitto non ne profittasse, come aveva
solennemente promesso, e che non ne traesse beneficio a
danno della comunità.