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Non lasciamo soli i giornalisti liberi

   Riccardo De Gennaro*

Lo dico in maniera altisonante. Il neopresidente del Senato, il palermitano Renato Schifani – Renatino per gli amici, da quando lavorava nello studio La Loggia – non è un mafioso e nessuno è mai stato così ingenuo da sostenerlo. Schifani è un uomo politico nazionale e gli uomini politici nazionali non sono mai uomini di mafia: nei casi più gravi sono collusi e fanno favori alla mafia, nei casi meno gravi hanno “atteggiamenti da mafiosi”, ma non appartengono ad alcuna cosca.

È decisamente da escludere che il neopresidente del Senato appartenga a un clan o che aiuti la mafia nei suoi affari. Non lo si può accusare nemmeno di atteggiamenti lontanamente mafiosi. Se proprio vogliamo, l’ex socio di “Sicula brokers” ha semplicemente il vizio del “lei non sa chi sono io”, che si manifesta in particolare quando vuole fare entrare gratuitamente moglie e figli nei cinema di Palermo (Aurora, Tiffany, Imperia…) e non ha problemi a fare intervenire la squadra mobile per ottenere soddisfazione.

Detto questo, mi sarei aspettato una maggiore prudenza, da parte dei vincitori, nella scelta del presidente di Palazzo Madama, un uomo di più alto profilo intellettuale e con un passato caratterizzato da una minore faziosità. Punto e finito.

Ora che la polemica si stempera, l’aspetto più inquietante del caso Travaglio-Schifani emerge però in tutta la sua evidenza. Parlo del nuovo tentativo di imbavagliare l’informazione. Ha suscitato in me maggiore preoccupazione lo sdegno di Anna Finocchiaro rispetto alle reazioni della maggioranza di governo e delle strutture Rai.

Altro che editto bulgaro! L’immediata presa di posizione del Pd a difesa di Schifani per bocca della senatrice siciliana è un segnale inequivocabile: tra maggioranza e opposizione esiste un “patto” che va oltre la non belligeranza, gli spazi di libertà d’informazione potrebbero farsi esigui, il controllo sui giornalisti non allineati sarà sempre più minaccioso.

Il rischio è che il clima “consociativo” con cui si è aperta la nuova legislatura dia origine a un nuovo giro di vite sull’informazione, come e più di quello tentato nei mesi scorsi contro la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. E questa volta nel silenzio della categoria (nel caso di cui sopra, il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Lorenzo Del Boca, è intervenuto per dire che talvolta Travaglio ha “atteggiamenti pretestuosi, un po’ provocatori e unilaterali”).

La verità su politica e malaffare la si può forse scrivere ancora su qualche piccolo quotidiano locale o nel web, ma è vietato raccontarla in televisione. Il potere politico non teme la minoranza di italiani che legge e si mantiene aggiornata sui fatti del Paese, ma che la casalinga di Voghera o il pensionato di Canicattì abbiano talvolta modo di riflettere su qualcosa di non strettamente legato ai programmi di Maria De Filippi.

“Non lasciamo soli i giornalisti antimafia”, ha chiesto nei giorni scorsi Alberto Spampinato, fratello di Giovanni, il giornalista dell’Ora ucciso dalla mafia a Ragusa nel 1972.

Credo che la portata dell’esortazione vada ampliata: “Non lasciamo soli i giornalisti liberi”.

*(fonte http://www.ucuntu.org/Non-lasciamo-soli-i-giornalisti.html giovedì 15 maggio 2008)

(La repubblica di tersite, 26 maggio 2008)

 

link collegato:

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Renato Schifani, cose di casa nostra

L'ora d'aria di Schifani

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