di
Davide Varì
Il Papa teologo che vuole «"imporre" la fede per
legge» e «la religione assoluta dei
laici»;
«la politica del particulare» e quella dei sindaci sceriffi a
«caccia solo di consenso». Don Vinicio Albanesi è uno di quei
preti che non la manda a dire. E' chiaro e netto. Chiaro e netto
come può esserlo chi ha fatto della propria vita una
testimonianza, «la testimonianza dell'amore di Cristo per gli
ultimi di questo mondo».
Don Vinicio, il
governo Prodi è alla fine per una vicenda poco chiara che ha
travolto un piccolo partito politico. E' l'ulteriore, ciclica e
fisiologica crisi politica o l'ennesima dimostrazione della
crisi della politica?
Mi sembra chiaro da anni che l'oggetto della
politica è diventata la politica stessa. Non ci sono più
progetti di ampio respiro, progetti collettivi. Tutto è ridotto
al piccolo interesse personale, di bottega. Il programma di un
partito o di una coalizione, i loro valori sono diventati una
variabile dipendente dal consenso. Del resto i 30 e passa
partiti presenti in parlamento stanno a dimostrare esattamente
questo: la politica è una professione come un'altra, retta solo
da interessi di parte. E molte persone, di certo non le migliori
risorse del Paese, scelgono la politica come mestiere da cui
trarre vantaggio personale.
A proposito di ricerca del consenso, quando il
consenso diventa fine a se stesso crea "strane" situazioni. Su
tutti l'ultima vicenda dei sindaci sceriffi del centrosinistra e
la presunta emergenza criminalità. Che idea s'è fatto?
E' evidente che la politica dei sindaci
cosiddetti sceriffi è la massima espressione della politica a
caccia solo di consenso, di un'amministrazione che si concentra
e rassicura i centri del potere di alcune classi sociali. E'
evidente che gli amministratori devono occuparsi degli interessi
dei cittadini, ma degli interessi di tutti non di una piccola
parte.
Siamo in presenza
di una nuova "questione morale"?
In
un certo senso sì. Se io riduco la politica ad uno strumento di
mantenimento della mia sopravvivenza allora la deriva morale
diventa il rischio principale: prometto e non mantengo, non
rispetto la memoria e vado a caccia di accordi che mi assicurino
la sopravvivenza. Del resto basta guardare alla gestione della
cosa pubblica. Dalla Rai alle Asl, tutto è divenuto baratto. Per
non parlare della devastazione dei territori e dell'ambiente.
Spesso, quasi sempre, sono quei tre, quattro costruttori edili
che determinano le scelte di politica ambientale. Per dirne una:
io abito in una periferia dove in prevalenza ci sono case
ecocompatibili, integrate e rispettose del territorio. Eppure
nel resto d'Italia si continuano a costruire quartieri
dormitorio e piccoli appartamenti di 70 metriquadri.
Appartamenti, non case. Ecco, questo è uno degli effetti più
visibili dell'aberrazione della politica e del prevalere degli
interessi di parte. Se chi fa politica decidesse di fare
l'interesse di tutti, certi obbrobri non si vedrebbero. Devo
inoltre dire che, ed è cronaca di questi giorni, la corruzione
si è allargata a macchia d'olio: dalla periferia al centro, dal
piccolo politico al politico famoso.
Lei era molto critico sulla nascita del Piddì. Lo
descriveva come il risultato di una serie infinita di
equilibrismi: «Stato-mercato; laicità-religiosità;
scienza-morale; sviluppo-ecosistemi; nord-sud» con l'unico
obiettivo di governare. Il tutto con la scomparsa definitiva di
idealità. Ha cambiato idea o conferma il suo giudizio?
Io dico che l'inquinamento non risparmia nessuno:
destra e sinistra, innovatori e conservatori si sono mescolati
un magma indistinto. Sembra che l'asse dell'agire politico sia
orientato solo a governare, dimenticando il proporre: il
programma, ripeto, diventa una variabile dipendente del
consenso. Così la politica muore. Conosciamo l'obiezione di chi
dice che ogni politica tende al governo. Rispondiamo: a
condizione che ci sia una proposta su cui orientarsi, altrimenti
vale l'indicazione di salire sul carro del vincitore.
Passiamo alla questione laici- cattolici. Il Papa
ha deciso di non andare all'Università dopo che mezzo mondo
accademico si era schierato contro la sua visita. La visita di
un Papa che non perde occasione di intervenire nel dibattito
politico. Che idea si è fatto di quella vicenda?
Io vedo due grandi ostacoli il dialogo. Da un
lato le gerarchie ecclesiastiche, penso soprattutto alla
gestione della Cei, che pensano di evangelizzare, di portare la
buona novella, per legge, di promuovere il cristianesimo con il
sostegno della politica. Il cristianesimo è una proposta, mentre
nella mentalità del Papa ha una sua motivazione assoluta nella
ragione. Io dico che di Cristo ci si deve innamorare, e l'amore
non si può imporre. Temo però che con un Papa teologo questo
messaggio sia difficile da sostenere. D'altra parte voglio
sottolineare che lo stesso messaggio dei laici ha spesso la
stessa virulenza assolutista. Quasi che la laicità sia un valore
assoluto cui tutti devono aderire.
Che intende per
Papa teologo?
Il cristianesimo è anche e soprattutto carità e
misericordia. Ma nel pontificato odierno prevale la Verità e non
la Testimonianza. E tutto questo si riverbera nel dibattito:
nelle gerarchie c'è una richiesta di diritto quasi a dire che lo
stato deve essere cristiano e quindi incidere nelle scelte della
politica.
Lei ha anche invitato il Papa a lasciar perdere
l'Università per recarsi in qualche periferia: «Caro Padre - ha
scritto - non vada all'università della Sapienza, Vada altrove,
come fece Gesù, quando lo respinsero»...
Certo, l'ho umilmente invitato ad andare a trovare qualche
povero cristo, ammalato o sofferente. Non è un'umiliazione: è un
guardare ai piccoli, perché di "loro" è il regno dei cieli.
|