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Novantatré per cento di ammessi agli orali! Come resistere alla
tentazione? E così, tra i furbetti che
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nel
2001 scesero dal profondo Nord a fare gli esami da avvocato a Reggio
Calabria si infilò anche
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Mariastella Gelmini. Ignara delle polemiche che, nelle vesti di
ministro, avrebbe sollevato con i
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(giusti) sermoni sulla necessità di ripristinare il merito e la
denuncia delle condizioni in cui versano
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le
scuole meridionali. Scuole disastrose in tutte le classifiche
«scientifiche» internazionali a dispetto
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della generosità con cui a fine anno vengono quasi tutti promossi.
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La notizia, stupefacente proprio per lo strascico di polemiche sulla
preparazione,
la
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permissività, la necessità di corsi di aggiornamento, il bagaglio
culturale dei professori del
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Mezzogiorno, polemiche che hanno visto battagliare, sull'uno o
sull'altro fronte, gran parte delle
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intelligenze italiane, è stata data nella sua rubrica su laStampa.it
da Flavia Amabile. La reazione degli
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internauti che l'hanno intercettata è facile da immaginare. Una per
tutti, quella di Peppino
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Calabrese: «Un po' di dignità ministro: si dimetta!!» Direte:
possibile che sia tutto vero? La risposta
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è
nello stesso blog della giornalista. Dove la Gelmini ammette. E
spiega le sue ragioni.
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Un passo indietro. È il 2001. Mariastella, astro nascente di Forza
Italia, presidente
del
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consiglio comunale di Desenzano ma non ancora lanciata come
assessore al Territorio della
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provincia di Brescia, consigliere regionale lombarda, coordinatrice
azzurra per la Lombardia, è una
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giovane e ambiziosa laureata in giurisprudenza che deve affrontare
uno dei passaggi più delicati:
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l'esame di Stato.
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Per diventare avvocati, infatti, non basta la laurea.
Occorre iscriversi all'albo dei praticanti
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procuratori, passare due anni nello studio di un avvocato, «battere»
i tribunali per accumulare
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esperienza, raccogliere via via su un libretto i timbri dei
cancellieri che accertino l'effettiva frequenza
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alle udienze e infine superare appunto l'esame indetto anno per anno
nelle sedi regionali delle corti
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d'Appello con una prova scritta (tre temi: diritto penale, civile e
pratica di atti giudiziari) e una
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(successiva) prova orale. Un ostacolo vero. Sul quale si infrangono
le speranze, mediamente, della
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metà dei concorrenti. La media nazionale, però, vale e non vale.
Tradizionalmente ostico in larga
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parte delle sedi settentrionali, con picchi del 94% di respinti,
l'esame è infatti facile o addirittura
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facilissimo in alcune sedi meridionali.
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Un esempio? Catanzaro. Dove negli anni Novanta l'«esamificio»
diventa via via una
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industria.
I
circa 250 posti nei cinque alberghi cittadini vengono bloccati con
mesi d'anticipo,
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nascono bed&breakfast per accogliere i pellegrini giudiziari,
riaprono in pieno inverno i villaggi sulla
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costa che a volte propongono un pacchetto «all-included»: camera,
colazione, cena e minibus andata ritorno per la sede dell'esame.
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Ma
proprio alla vigilia del turno della Gelmini scoppia lo scandalo
dell'esame taroccato nella sede
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d'Appello catanzarese. Inchiesta della magistratura: come hanno
fatto 2.295 su 2.301 partecipanti, a fare esattamente lo stesso
identico compito perfino, in tantissimi casi, con lo stesso errore
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(«recisamente» al posto di «precisamente», con la «p» iniziale
cancellata) come se si fosse corretto
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al
volo chi stava dettando la soluzione? Polemiche roventi. Commissari
in trincea: «I candidati —
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giura il presidente della «corte» forense Francesco Granata —
avevano perso qualsiasi autocontrollo,
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erano come impazziti». «Come vuole che sia andata? — spiega
anonimamente una dei concorrenti
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imbroglioni —. Entra un commissario e fa: "Scrivete". E comincia a
dettare il tema. Bello e fatto.
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Piano piano. Per dar modo a tutti di non perdere il filo».
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Le polemiche si trascinano per mesi e mesi al punto che il governo
Berlusconi
non
vede
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alternative: occorre riformare il sistema con cui si fanno questi
esami. Un paio di anni e nel 2003
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verrà varata, per le sessioni successive, una nuova regola: gli
esami saranno giudicati estraendo a
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sorte le commissioni così che i compiti pugliesi possano essere
corretti in Liguria o quelli sardi in
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Friuli e così via. Riforma sacrosanta. Che già al primo anno
rovescerà tradizioni consolidate: gli
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aspiranti avvocati lombardi ad esempio, valutati da commissari
d'esame napoletani, vedranno la loro
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quota di idonei raddoppiare dal 30 al 69%.
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Per
contro, i messinesi esaminati a Brescia saranno falciati del 34% o i
reggini ad Ancona del 37%.
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Quanto a Catanzaro, dopo certi record arrivati al 94% di promossi,
ecco il crollo: un quinto degli
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ammessi precedenti.
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In quei mesi di tormenti a cavallo tra il 2000 e il 2001 la Gelmini
si trova dunque a
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scegliere,
spiegherà a Flavia Amabile: «La mia famiglia non poteva permettersi
di mantenermi
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troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo
iniziare a lavorare e quindi dovevo
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superare l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione».
Quindi? «La sensazione era che
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esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e
altri pochi fortunati che riuscivano
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ogni anno a superare l'esame. Per gli altri, nulla. C'era una logica
di casta, per fortuna poi modificata
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perché il sistema è stato completamente rivisto». E così, «insieme
con altri 30-40 amici molto
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demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare
l'esame a Reggio Calabria».
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I
risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti.
Nonostante lo scoppio dello
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scandalo, nel capoluogo calabrese c'era stato il primato italiano di
ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo
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che
nella Brescia della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il quadruplo
che ad Ancona. Idonei finali:
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87%
degli iscritti iniziali. Contro il 28% di Brescia, il 23,1% di
Milano, il 17% di Firenze. Totale: 806
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idonei. Cinque volte e mezzo quelli di Brescia: 144. Quanti Marche,
Umbria, Basilicata, Trentino,
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Abruzzo, Sardegna e Friuli Venezia Giulia messi insieme.
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Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro
dell'Istruzione:
«Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». Del
resto, aggiunge, lei ha «una lunga consuetudine con il
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Sud. Una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento».
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Certo, è a quasi cinquecento chilometri da Reggio. Ma sempre
Mezzogiorno è. E l'esame? Com'è stato l'esame? «Assolutamente
regolare». Non severissimo, diciamo, neppure in quella sessione.
Quasi 57% di ammessi agli orali. Il doppio che a Roma o a Milano.
Quasi il triplo che a Brescia. Dietro soltanto la solita Catanzaro,
Caltanissetta, Salerno. Così facevan tutti, dice Mariastella
Gelmini. Da oggi, dopo la scoperta che anche lei si è infilata tra i
furbetti che cercavano l'esame facile, le sarà però un po' più
difficile invocare il ripristino del merito, della severità,
dell'importanza educativa di una scuola che sappia farsi rispettare.
Tutte battaglie giuste.
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Giustissime. Ma anche chi condivide le scelte sul grembiule, sul
sette in condotta, sull'imposizione
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dell'educazione civica e perfino sulla necessità di mettere mano con
coraggio alla scuola a partire da
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quella meridionale, non può che chiedersi: non sarebbero battaglie
meno difficili se perfino chi le
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ingaggia non avesse cercato la scorciatoia facile?
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Gian Antonio Stella
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Fonte il corriere della sera 04 settembre 2008