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I Caimani

 

 
EDITORIALE
di Vito Feninno
 

 

 
 DOPO LA TRAGEDIA SI ACCENDONO LE FIACCOLE

Siamo stati facili profeti, ieri, quando abbiamo scritto che l’acqua dalla nostre parti “E' pioggia benedetta”. Difatti nel breve volgere di una sola mattinata ecco che per portare luce sui drammatici fatti che hanno sconvolto il subappennino dauno meridionale si indice subito una fiaccolata. Dopo i fatti, però! Perché di politiche ambientali, di “Agenda 21” in questi anni non abbiamo mai sentito parlare dai protagonisti che si accingono con lagnanze ad accendere i ceri. Nessuna fiaccolata è stata indetta per chiamare l'attenzione sugli storici problemi delle aree interne del subappennino. Buio pesto! Tenebre! Tutti presi in altre faccende affaccendati nel chiuso delle stanze dove si decidono le "spremiture" e i dividendi.  Nessuno ha mai acceso un cerino per illuminare l'indolente operato degli addetti ai lavori. Nessuno di quelli che furbescamente indiranno la commovente fiaccolata, è uscito da quelle "dorate" stanze e abbia detto: "io non ci sto".  Perché non possiamo nasconderci che, in questi lunghi anni, nessuna amministrazione può vantarsi di aver redatto una piattaforma programmatica capace di attingere dai fondi strutturali CEE quelle necessarie risorse per ripristinare il denudamento delle amene colline impoverite della macchia mediterranea. Nessun amministratore responsabile ha tentato di mettere un freno al declino fisiografico e agricolo del dissesto bradisismico ed idrogeologico.

C’ è stato un totale abbandono della gestione del territorio.  Nessuna manutenzione delle opere di sistemazione idraulica, di bonifica e di rimboschimento. Non è mai iniziata una saggia economia delle acque; sempre e solo più terra per le coltivazioni senza mai accompagnare questo lascivo comportamento con una gestione sana del deflusso delle acque.

Quindi non c’è da meravigliarsi, oggi, della capacità distruttiva delle piogge. Perché questa è la cifra del disastro della TERRA che MUORE, nel Mezzogiorno. Perché questa è la dimostrazione più evidente della negligenza che si è praticata intorno al tema delle acque dopo la scomparsa dei boschi: “Il sapiente rispetta i boschi, e lo sciocco affamato li taglia”.

Se facciamo la storia del bilancio idrologico del nostro comune sappiamo che il problema del deflusso delle acque c’è sempre stato. Già il nostro conterraneo Giustino Fortunato parlando della difformità delle due italie diceva: “ esistono due italie, l’Italia dei laghi, delle alpi, dei fiumi, delle acque sane, di strade, di canali… e l’Italia della sete, delle campagne impervie, delle acque che si disperdono pigramente inutilizzate, di trazzere ….” Di fronte a queste asserzioni oggettive si è consumato un vero e proprio tradimento dei nostri governanti e amministratori, tutti presi e compresi per le loro promozioni e privilegi personali a discapito di un intero paese e di un intero territorio.

Eppure di OPERE IDRAULICHE per la sistemazione montana già parlava nel 1879 Cosimo De Giorgi che rilevava che la Lucania – che prende dai boschi il suo nome – e i due limitrofi principati delle Puglie sono già da mezzo secolo che continuano a disboscare, eppure sono proprio le piante che servono per fissare il terreno superficiale colle loro radici e a proteggere, come un mantello, la roccia sottostante dalla violenta erosione delle acque piovane cadendo sui ripidi pendii. Bisogna tornare alle coltivazioni arboree sostituendo quelle erbacee, e porre un freno al vandalico disboscamento”. 

Se queste sono le cause secolari, non possiamo non far luce sul comportamento ignavo e miope dei nostri amministratori locali che non hanno esercitato nessuna discontinuità col passato, in questi ultimi anni della nostra storia contemporanea. Se non potevano e non possono essere quindi le sole “cunette” a svolgere il compito di deflusso delle acque, allora mi chiedo: c'è mai stata una redazione di preventivi piani regolatori di difesa del suolo? In tutti questi anni di stabilità politica e amministrativa, a livello locale, ci si è mai prodigati, battendo le faticose vie istituzionali, per fare uscire il paese, il territorio, fuori dall’isolamento geografico in cui è stato cacciato?  La Comunità dei Monti Dauni Meridionali tra l'assegnazione di un appalto e l'altro, ha mai trovato tempo di preparare un pensoso studio sulla condizione ambientale del proprio territorio atto a risanarlo?

La storia fisiografica e quella politica si intrecciano e disegnano un quadro preagonico di una terra moritura preda dell’incipiente sfacelo in un inarrestabile processo di degradazione integrale. Sono rattristato per quello che succede al mio caro “ermo colle” e per quello che gli succederà per l’ignavia della sua classe dirigente che riesce ancora una volta a speculare sui tragici fatti accendendo le fiaccole solo dopo che il disastro si è compiuto. Ancora una volta la classe dirigente arriva seconda, dietro ai fatti. Fatti che drammaticamente si incaricano sempre di fare la dolorosa storia delle nostre dolci colline del Carapelle peculiarmente definite, non a caso, territorio dell’osso.

Gli uomini muoiono perché non possono congiungere il principio con la fine, quantunque per natura non possono ripetere il ciclo fisiologico; ma la terra, se rispettata amorevolmente, può ancora rigenerarsi.

Mi auguro, in questo giorno di cordoglio, che i cittadini accolgano, il passaggio della fiaccolata di soli amministratori, attraverso le vie del paese, schierandosi ai bordi delle strade. E tra due ali di folla rendano pubblico il caloroso benvenuto con un affettuoso e sofferente applauso.

Interpretando al meglio il sentimento di dolore, per il morituro nostro benamato paese.

VITO FENINNO    

 del 27-marzo- 2006

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