ELEZIONI POLITICHE
2008 LA SCHIAVITU' SALARIALE
dinanzi ad una semplificazione del
quadro politico italiano imposto da veltroni, la sinistra doveva avere
il coraggio di mettere in campo il PARTITO DEL LAVORO e non una colorata
sinistra arcobaleno, senza senso.
Si vota. Il 13 aprile
saremo chiamati a scegliere chi ci governerà per i
prossimi 5 anni. La stampa e la televisione ci stanno presentando una
campagna elettorale dove tutto è “cambiato”! Ma in realtà solo la
composizione degli schieramenti risulta cambiata.
La
nascita del PD e la sua corsa solitaria ha
terremotato
la vecchia “casa delle libertà”, costringendo il “signore” di Arcore,
più di accettare la sfida di andare al voto da solo, a “rifondare” un
“nuovo” condominio - il Pdl - dove sistemare i suoi vecchi amici di una
volta: riproponendo al paese un film già visto: due distinte coalizioni:
al nord apparentato con la lega, e al sud con quello che rimane
dell’Udc, o con ciò che più gli assomiglia. Come nel 94: anno in
cui fondò Forza Italia e il Polo delle libertà (con Bossi al nord) e il
Polo del buon governo (con Fini e Casini al centro e al sud) vincendo le
elezioni. Sul fronte opposto il leader dei democratici si è chiuso la
porta dietro alla spalle e ha dato fuoco a tutti i possibili vascelli
che potevano alimentare una speranza di vittoria.
Cosa
c’è di nuovo sotto il cielo della politica?
Qualcosa c’è, ma è sotto traccia. Fa parte delle cose che in nessuna
campagna elettorale viene mai detto: la lotta per il mero potere. Il
potere come fine e non come mezzo per rimuovere le drammatiche
disuguaglianze che il capitalismo sta producendo in maniera dirompente
proprio nella sua fase declinante: minore diritti di cittadinanza, più
lavoro precario, meno salari: i salari non crescono dal 2000 e valgono
il 30% in meno della media europea, con punte del 50% in meno se si
considera il salario dei giovani che non supera i 1000 euro al mese;
perdita del potere d’acquisto dei salari perché non legati
all’inflazione; aumento esorbitante dei prezzi delle merci, cosa che
vanifica qualsiasi nuova conquista sul fronte salariale. Perchè il
capitalismo che malvolentieri rinuncia ad una quota del plusvalore
creato dai lavoratori cede agli aumenti salariali solo dopo scioperi
sindacali e a due anni dalla scadenza contrattuale, ma poi se li
riprende attraverso l'aumento dei prezzi delle merci.
C’è
nel panorama politico italiano una forza
politica capace di aggredire in maniera sistemica questi problemi e
portarli a soluzione? Può l’immaginifico partito del “popolo della
libertà”, costituito strutturalmente da ceti politici
contraddittoriamente messi assieme solo per accaparrarsi il potere, dare
risposte di giustizia sociale? Penso proprio di no. Il Pdl
rappresenta allo stato dei fatti un polo politico contrassegnato da
interessi corporativi, clientelari e parassitari. Cioè non rispondente
agli interessi della borghesia industriale che produce la torta – il PIL
– ed è condannato a far del male al paese perché deve obbligatoriamente
alimentare il carrozzone della politica del sottogoverno per garantirsi
il consenso necessario a rimanere in vita.
La
spiegazione di tutto questo sta nel fatto che
le componenti del Pdl sono “Forza Italia” che rappresenta la
borghesia legata alla rendita - lo stesso Berlusconi vive di concessioni
pubbliche – e la piccola e media borghesia mercantile che è un attività
economica di valore sottostante, e non primaria, che vive grazie alla
capacità di spesa delle famiglie, che non a caso negli ultimi 7 anni,
dalla nascita dell’euro, ha visto incrementare i propri capitali;
Alleanza Nazionale di stampo statalista-conservatrice legata alle
forze armate e al pubblico impiego e ai piccoli proprietari fondiari;
la Lega di stampo federalista che difende gli interessi economici
territoriali e perciò tesa alla moltiplicazione delle “caste”
periferiche; e infine l’Udc di stampo
clericale-familistico-clientelare come testimonia la vicenda siciliana,
che forse correrà da solo per non morire berlusconiana. Possono mai
queste forze destrorse, così fantasticamente assemblate, prodigarsi per
il bene comune?
Sulla
sponda opposta, il partito democratico per
dimostrare e accreditarsi pienamente come una forza riformista ha
picconato la vecchia coalizione unionista e scommesso sulla corsa
solitaria, nel tentativo di stringersi a sinistra e allargarsi a destra.
A destra nel senso di attrarre gli altri pochi veri illusori riformisti
che vagano nelle molte sigle di centro. Insomma l’Obama-Veltroni guarda
al centro e alla CONFINDUSTRIA più che al mondo del lavoro, avendo rotto
con la sinistra-arcobaleno.
Sinistra, che non essendo più comunista ma
ancora tiepidamente riformista finirà per spappolarsi. Non ha senso
definirsi dei quasi-o-poco-riformisti. Se davvero oggi il quadro
politico è più chiaro, e cioè che c’è una destra il Pdl (FI+AN+
Mussolini), un centro il PD, definirsi dei quasi riformisti vuol dire
essere degli irresponsabili, perché vuol dire aprire le porte di
Montecitorio alle forze reazionarie.
Occorreva
chiudere "bottega" e confluire nel PD o avere altrettanto coraggio e
rilanciare il partito comunista italiano o il partito del lavoro.
Quindi
gli schieramenti in campo, in questa tornata
elettorale, grazie al velleitarismo veltroniano, sono chiari: una destra
populista di ortodossia clericale post conciliare e più marcatamente
ratzingeriana, che concorre per il
potere come fine, allo scopo di autoalimentarsi; e un centro democratico
veltroniamericano riformista di stampo anglosassone che guarda di più
verso il mondo delle imprese che ai lavoratori.
Così,
con la rottura a sinistra la condizione di
sofferenza di larga parte della popolazione - circa dieci milioni di
persone - e il disagio sociale sono stati lasciati fuori dalla porta
della politica.
Se
così stanno le cose, il 13 aprile è meglio
andare al mare o in montagna(?) Nessuna di queste formazioni politiche
ha sui propri stendardi i valori del lavoro e dell’uguaglianza. Ancora
una volta la politica guarda solo il proprio ombelico misurandosi la
circonferenza del proprio addome.
Chi ci
spiegherà mai l’inconciliabilità del conflitto fra capitale e lavoro?
Chi ci dirà mai che l’aumento dei salari determina automaticamente una
riduzione del saggio del profitto delle imprese e che mai gli
imprenditori italiani rinunceranno all’accumulo dei capitali prodotti
dalla forza-lavoro? Chi ci spiegherà mai che capitale e lavoro sono
antitetici e che non può aumentare l’uno senza che diminuisca l’altro?
Oggi,
anno di grazia 2008, come possiamo constatare,
non siamo ancora pronti per un conflitto politico capace di fare aprire
gli occhi a coloro che vengono resi ciechi da una esistenza infame di
schiavitù salariale.
Ma una
cosa è certa, il partito democratico almeno qualche chicco di riso forse
nella zuppiera lo farà cadere, mentre il minaccioso partito del “popolo
della libertà” forse ci toglierà anche il diritto alla giustizia.
Personalmente mi asterrò dal voto. E’ una
promessa molto difficile da mantenere, come quella di ridurre le tasse.
Ma è’ “un arrivederci” non “un addio”.
la repubblica di tersite - 14-
febbraio -2008 |