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Al voto del 13 aprile 2008
 

 

 
EDITORIALE
di Tersite

AL VOTO CON LA QUESTIONE SALARIALE

   ELEZIONI POLITICHE 2008

LA SCHIAVITU' SALARIALE

dinanzi ad una semplificazione del quadro politico italiano imposto da veltroni, la sinistra doveva avere il coraggio di mettere in campo il PARTITO DEL LAVORO e non una colorata sinistra arcobaleno, senza senso.

Si vota. Il 13 aprile saremo chiamati a scegliere chi ci governerà per i prossimi 5 anni. La stampa e la televisione ci stanno presentando una campagna elettorale dove tutto è “cambiato”! Ma in realtà solo la composizione degli schieramenti risulta cambiata.

La nascita del PD e la sua corsa solitaria ha walter veltroni,candidato premier del PDterremotato la vecchia “casa delle libertà”, costringendo il “signore” di Arcore, più di accettare la sfida di andare al voto da solo, a “rifondare” un “nuovo” condominio  - il Pdl - dove sistemare i suoi vecchi amici di una volta: riproponendo al paese un film già visto: due distinte coalizioni: al nord apparentato con la lega, e al sud con quello che rimane dell’Udc, o con ciò che più gli assomiglia. Come nel 94: anno in cui fondò Forza Italia e il Polo delle libertà (con Bossi al nord) e il Polo del buon governo (con Fini e Casini al centro e al sud) vincendo le elezioni. Sul fronte opposto il leader dei democratici si è chiuso la porta dietro alla spalle e ha dato fuoco a tutti i possibili vascelli che potevano alimentare una speranza di vittoria.

Cosa c’è di nuovo sotto il cielo della politica? Qualcosa c’è, ma è sotto traccia. Fa parte delle cose che in nessuna campagna elettorale viene mai detto: la lotta per il mero potere. Il potere come fine e non come mezzo per rimuovere le drammatiche disuguaglianze che il capitalismo sta producendo in maniera dirompente proprio nella sua fase declinante: minore diritti di cittadinanza, più lavoro precario, meno salari: i salari non crescono dal 2000 e valgono il 30% in meno della media europea, con punte del 50% in meno se si considera il salario dei giovani che non supera i 1000 euro al mese; perdita del potere d’acquisto dei salari perché non legati all’inflazione; aumento esorbitante dei  prezzi delle merci, cosa che vanifica qualsiasi nuova conquista sul fronte salariale. Perchè il capitalismo che malvolentieri rinuncia ad una quota del plusvalore creato dai lavoratori cede agli aumenti salariali solo dopo scioperi sindacali e a due anni dalla scadenza contrattuale, ma poi se li riprende attraverso l'aumento dei prezzi delle merci.

C’è nel panorama politico italiano una forza politica capace di aggredire in maniera sistemica questi problemi e portarli a soluzione? Può l’immaginifico partito del “popolo della libertà”, costituito strutturalmente da ceti politici contraddittoriamente messi assieme solo per accaparrarsi il potere, dare risposte di giustizia sociale? Penso proprio di no. Il Pdl rappresenta allo stato dei fatti un polo politico contrassegnato da interessi corporativi, clientelari e parassitari. Cioè non rispondente agli interessi della borghesia industriale che produce la torta – il PIL – ed è condannato a far del male al paese perché deve obbligatoriamente alimentare il carrozzone della politica del sottogoverno per garantirsi il consenso necessario a rimanere in vita.

La spiegazione di tutto questo sta nel fatto che le componenti del Pdl sono “Forza Italia” che rappresenta la borghesia legata alla rendita - lo stesso Berlusconi vive di concessioni pubbliche – e la piccola e media borghesia mercantile che è un attività economica di valore sottostante, e non primaria, che vive grazie alla capacità di spesa delle famiglie, che non a caso negli ultimi 7 anni, dalla nascita dell’euro, ha visto incrementare i propri capitali; Alleanza Nazionale di stampo statalista-conservatrice legata alle forze armate e al pubblico impiego e ai piccoli proprietari fondiari; la Lega di stampo federalista che difende gli interessi economici territoriali e perciò tesa alla moltiplicazione delle “caste” periferiche; e infine l’Udc di stampo clericale-familistico-clientelare come testimonia la vicenda siciliana, che forse correrà da solo per non morire berlusconiana. Possono mai queste forze destrorse, così fantasticamente assemblate, prodigarsi per il bene comune?

Sulla sponda opposta, il partito democratico per dimostrare e accreditarsi pienamente come una forza riformista ha picconato la vecchia coalizione unionista e scommesso sulla corsa solitaria, nel tentativo di stringersi a sinistra e allargarsi a destra. A destra nel senso di attrarre gli altri pochi veri illusori riformisti che vagano nelle molte sigle di centro. Insomma l’Obama-Veltroni guarda al centro e alla CONFINDUSTRIA più che al mondo del lavoro, avendo rotto con la sinistra-arcobaleno.

Sinistra, che non essendo più comunista ma ancora tiepidamente riformista finirà per spappolarsi. Non ha senso definirsi dei quasi-o-poco-riformisti. Se davvero oggi il quadro politico è più chiaro, e cioè che c’è una destra il Pdl (FI+AN+ Mussolini), un centro il PD, definirsi dei quasi riformisti vuol dire essere degli irresponsabili, perché vuol dire aprire le porte di Montecitorio alle forze reazionarie.

 Occorreva chiudere "bottega" e confluire nel PD o avere altrettanto coraggio e rilanciare il partito comunista italiano o il partito del lavoro.  

Quindi gli schieramenti in campo, in questa tornata elettorale, grazie al velleitarismo veltroniano, sono chiari: una destra populista di ortodossia clericale post conciliare e più marcatamente ratzingeriana, che concorre per il potere come fine, allo scopo di autoalimentarsi; e un centro democratico veltroniamericano riformista di stampo anglosassone che guarda di più verso il mondo delle imprese che ai lavoratori.

Così, con la rottura a sinistra la condizione di sofferenza di larga parte della popolazione - circa dieci milioni di persone - e il disagio sociale sono stati lasciati fuori dalla porta della politica.

Se così stanno le cose, il 13 aprile è meglio andare al mare o in montagna(?) Nessuna di queste formazioni politiche ha sui propri stendardi i valori del lavoro e dell’uguaglianza. Ancora una volta la politica guarda solo il proprio ombelico misurandosi la circonferenza del proprio addome.

Chi ci spiegherà mai l’inconciliabilità del conflitto fra capitale e lavoro? Chi ci dirà mai che l’aumento dei salari determina automaticamente una riduzione del saggio del profitto delle imprese e che mai gli imprenditori italiani rinunceranno all’accumulo dei capitali prodotti dalla forza-lavoro? Chi ci spiegherà mai che capitale e lavoro sono antitetici e che non può aumentare l’uno senza che diminuisca l’altro?

Oggi, anno di grazia 2008, come possiamo constatare, non siamo ancora pronti per un conflitto politico capace di fare aprire gli occhi a coloro che vengono resi ciechi da una esistenza infame di schiavitù salariale.

Ma una cosa è certa, il partito democratico almeno qualche chicco di riso forse nella zuppiera lo farà cadere, mentre il minaccioso partito del “popolo della libertà” forse ci toglierà anche il diritto alla giustizia.

Personalmente mi asterrò dal voto. E’ una promessa molto difficile da mantenere, come quella di ridurre le tasse. Ma è’ “un arrivederci” non “un addio”.

la repubblica di tersite - 14- febbraio -2008

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