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IL MONDO DI TERSITE
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Io sto con Tersite
 
Dalla parte di Tersite
di Ferdinando Adornato
 

Carissimo Bobbio,
Le scrivo questa lettera aperta mosso da un sentimento di sorpresa. Mi ha molto colpito, infatti, la definizione con la quale Lei, sulla Stampa del 16 febbraio, ha voluto liquidare l’atteggiamento critico verso il pensiero di Gobetti di «alcuni collaboratori della rivista liberal». «Non esito a definirle», ha detto, «come espressioni di un vero e proprio tersitismo culturale». Tersite. Figlio di Agrio, fratello di Eneo. Omero lo descrive come un uomo repellente e arrogante che si rende responsabile di lesa maestà, offendendo Agamennone. «Non venne a Troia di costui più brutto / ceffo; era guercio e zoppo, e di contratta / gran gobba al petto; aguzzo il capo, e sparso / di raro pelo». Insomma, un mostro. E, come si sa, per i greci, la deformità del corpo era espressione della deformità dell’anima. Dunque il «tersitismo» sarebbe l’atteggiamento vile e disgustoso di chi, vivendo nell’ombra, senza essere baciato dalla luce della nobiltà, si sfoga svillaneggiando gli eroi. liberal come Tersite. Gobetti come Agamennone.

Mi permetta, però, visto che ci sono, di rubarle qualche altro minuto intorno alla figura di Tersite. è così giusto che si continui ad assecondare Omero nella diffamazione del povero Tersite? A qualcuno tale dubbio è già venuto se è vero, ad esempio, che Libanio, retore greco del Quarto secolo, si è cimentato in un Encomio di Tersite. E se è vero che qualche critico accenna a Tersite come a figura che, in fondo, diceva «in modo spiacevole la verità».

Anche nel caso di Tersite. Lei ricorderà che mentre Agamennone, per saggiare il morale delle truppe, propone provocatoriamente di togliere le tende e di rimpatriare, il gobbo figlio di Agrio, altrettanto provocatoriamente, risponde di sì. Che è proprio il caso di andarsene e di lasciare il capo lì da solo a «smaltir la sua ricchezza». Lo accusa di avidità, di corruzione e, infine, di aver offeso Achille sottraendogli la bella Briseide. Ma arriva Ulisse che interrompe le contumelie di Tersite percuotendolo, con lo scettro, sulle «terga e le spalle» e riducendolo al pianto e al silenzio. Naturalmente in mezzo all’ilarità degli Achei che sempre accompagnava, nel mito, la ridicolizzazione, «eroica», della debolezza e della deformità.

«D’auro hai fame», «cerchi schiava giovinetta a cui mescolarti», «a sommo imperador non lice scandalo farsi dè minori»: queste alcune delle espressioni usate dal volgare Tersite. Ma nel canto precedente Achille ben altre parole aveva rivolto ad Agamennone per dimostrargli la sua ira funesta. «Anima invereconda, anima avara», «brutal ceffo». L’ira, come Lei sa, era stata innescata da Apollo che aveva disseminato un’epidemia mortale tra gli assedianti. Radice di quel male, secondo il veggente Calcante, era proprio Agamennone, che rifiutava di restituire la giovane Criseide, premio di guerra, a suo padre Crise, sacerdote di Apollo. Alla fine Agamennone la restituirà ma pretenderà prepotentemente in cambio, da Achille, appunto la schiava Briseide. E senta come il Pelide, pur trattenuto dal solerte intervento di Atena, conclude verso Agamennone: «Ebbro! cane agli sguardi e cervo al core! / Tu non osi giammai nelle battaglie dar dentro / colla turba; o negli agguati perigliarti / co’ primi fra gli Achei, ché ogni rischio t’è morte». Al confronto Tersite è un’educanda. Ma, appunto, Achille è un eroe. Tersite uno sciancato. Dicono su Agamennone, la stessa verità. Ma la verità di Achille è nella Storia, quella di Tersite nella strada. Achille è capo. Tersite è popolo. Onore al primo, disprezzo al secondo. Può la cultura democratica far propria questa mitologia?

 

 

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