Memoria storica della
Cappella di Santa Maria del Pozzo
La
cappella della Madonna del Pozzo di Rocchetta Sant’Antonio trae
origine da una serie di accaduti miracolosi verificatisi nei
primissimi decenni del XVIII secolo in località Serralonga. Di
tanto ci ha dato notizia il canonico lacedoniese don Pasquale Palmese
(1801‑1882) che si preoccupò di trascrivere i motivi della erezione
della cappella, motivi peraltro già registrati dal notaio lacedoniese
Giuseppe Franciosi nel suo «Forastiero», custodito nell’Archivio di
Stato di Avellino. Ed ecco la storia: «A 24 agosto 1709, giorni di
sabato, e vigilia di San Bartolomeo un tal Giuseppe Mastrostefano di
Rocchetta di Puglia essendo andato a faticare nella sua maggese, sita al luogo Serralonga
distante un miglio e mezzo da quel paese, ebbe a soffrire gran sete,
ed essendo egli vecchio, né trovandosi in detta contrada acqua per
ristorarsi, si pose a pregare Maria SS.ma, e trovandosi addosso un
poco d’incenso pochi dì prima datogli per divozione da un frate
questuante del Convento di Santa Maria del Pozzo di Capurso, in
provincia di Bari, tutto fervore il buon vecchio pregò la Santa
Vergine a non farlo languir di arsura; quindi date alcune zappate
nell’arido terreno, si avvide che la zappa usciva inumidita; indi
stracco e non più fidandosi, si addormentò per poco, e risvegliatosi
si trovò dentro il fossetto da lui poco pria cavato da circa sei in
sette caraffe d’acqua; tutto allegro e consolato per aver veduto
l’acqua, si ginocchiò e dopo aver ringraziata Maria Santissima,
andiede poco lungi a provvedersi di un fusto e cannella, e piegato col
capo in quel fossetto, si rifucillò, e continuò a faticare per tutto
quel giorno. Lo stesso fece nei dì seguenti tenendo coperto il
fossetto dell’acqua con pietre. Scorsi alquanti giorni, andata ivi
Olimpia Di Tuccio sua moglie, il vecchio Giuseppe la chiamò ivi a
bere, meravigliandosene questa perchè né il luogo, né la stagione
potevano menar acqua ivi, per cui fu stimato ciò un miracolo. Difatti
Pompea Garruto trovandosi cionca e con doglia alle ginocchia, il
vecchio Mastrostefano le portò quell’acqua, e bagnatene la parte
offesa, in un subito si risanò, e camminò liberamente come se non
avesse mai sofferto male. Similmente accadde ad Anna Maria Pasciuti di
detta terra che trovavasi con fiera resipola al collo, a segno che vi
erano fatte molte piaghe incurabili, mentre appena sanava una piaga,
un’altra ne usciva, ed era ridotta a fistola; avuta dal vecchio
l’acqua, invocata Maria, e bagnatone il collo, restò sana. Ciò
praticavasi dal buon Giuseppe, ch’era semplice e dabbene. Indi nel
mese di novembre, si portò egli a confessare presso don Carlo Piccolo,
suo padre spirituale, e svelato a costui il secreto dell’acqua, venne
dal confessore imposto di portarsi all’Arciprete don Orazio Inglese.
Per lo che il fatto giunse a notizia di don Giuseppe Di Mattia,
Vicario Foraneo di Rocchetta, il quale giacendo a letto con terzana,
anch’egli si raccomandò alla Madonna, e fatta prendere um’ambollina di
vetro, interessò il suddetto don Carlo Piccolo e don Giuseppe Dell’Abbate,
ambi sacerdoti, affinché avessero ciò verificato, e portatogli un po’
di quell’acqua. Guidati dal Mastrostofano che vi stava al travaglio,
trovarono effettivamente vero quanto era stato riferito, e stupefatti
al riflesso che in quel luogo non vi era stata mai acqua, né fontane
vicine che avessero potuto comunicarla; ma bensì il luogo montuoso e
secco, s’inginocchiarono e recitarono litanie e lodi alla Beatissima
Vergine. Osservarono l’acqua limpidissima e ne bevvero per divozione,
ne empirono poi l’ambollina, e portata questa al Vicario Foraneo Di
Mattia, egli con grande fiducia alla Vergine ne bevve, ed
immediatamente la febbre terzana lo lasciò perfettamente libero. Di
più il prefato sacerdote Piccolo tenendo un bue che da più tempo era
zoppo e non poteva faticare, appena bagnatolo con la detta acqua, il
bue tosto risanò, e faticò nello stesso giorno. Di questi ed altri
prodigi, divulgatasi la fama, si viddero in quel luogo accorrere
storpi, e malsani de’ paesi limitrofi, e ricevendone guarigione,
ciascuno lasciava vicino al fosso dell’acqua i segni delle stampelle,
e di altre sorte di sostegni e di appoggio. Infervorava per tanti
prodigi di Maria Santissima tutta la popolazione di Rocchetta, a capo
di cui quel Rev.do clero, Sindaco, Eletti supplicarono
Monsignor La
Morea la facoltà poter innalzare la Chiesa nel luogo ove
uscì l’acqua prodigiosa col titolo di Santa Maria del Pozzo.
Annuendovi egli volentieri, tosto fu profondato il terreno,
fabbricatovi il pozzo e la Cappella con la volta. E nel precipizio
della fabbrica, non essendo stata ben fondamentata, poco dopo cadde
la Cappella, per cui il Sindaco e popolo si avvisarono fabbricar di
nuovo la Cappella nel vertice della collina, ove oggi esiste. Il pozzo
rimase ad onorata memoria, continuando sempre a sorgervi acqua
limpidissima in modo che mai si dissecca. Si celebra tale festività
nell’ultimo sabato d’agosto con concorso di popoli...».
Dopo l’erezione la
cappella, al pari delle altre chiese esistenti sia dentro che fuori
l’abitato di Rocchetta, fu puntualmente visitata dai vescovi di
Lacedonia, come si ricava dagli Atti di Santa Visita pervenutici.
Nella sua Relazione
ad limina il vescovo Claudio Albini scriveva che la cappella,
mantenuta dalla devozione dei fedeli e con elemosine, era crollata in
seguito al terremoto del 1731 ed era stata riedificata grazie alle
offerte della cittadinanza di Rocchetta e alle multe inflitte al
clero.
La linea di
attenzione perseguita dal La Morea e dall’Albini fu continuata dal
vescovo Tommaso Aceto che, durante la Visita del 1745, trovò la
cappella in ottimo stato e decentemente dotata di suppellettili sacre,
grazie anche alla diligenza del rev.do don Giovanni Ruberto, dal quale
erano state raccolte le elemosine per la costruzione e l’abbellimento
della cappella.
Allo stesso fu
inoltre affidato l’incarico di raccogliere fondi per la ultimazione
delle cellette attaccate alla chiesa che dovevano servire da alloggi
per gli eremiti custodi del santuario. Era infatti ancora in uso nel
Settecento la consuetudine di affidare questi centri rurali della
pietà religiosa ad eremiti che provvedessero alla pulizia della chiesa
e alla questua anche in altri paesi. Nonostante infatti il santuario
fosse stato eretto da poco tempo, aveva già raggiunto intorno agli
anni Quaranta una notevole risonanza nei centri abitati viciniori dai
quali accorreva sempre «in omnibus diebus sabati» una folta schiera di
fedeli per ascoltare la santa messa.
Nella Relazione del
1750 il vescovo Nicola D’Amato riportava che la cappella godeva di una
rendita annua di sei ducati, dovuti, crediamo, a uno o più legati con
pesi di messe. Si trattava, in verità, di una rendita assai esigua
specie se confrontata con l’attivazione di benefici ben più
consistenti nel centro abitato.
La spiegazione va
trovata nel fatto che le famiglie borghesi preferivano, è noto,
intestare a preti delle loro famiglie detti benefici che costituivano,
pertanto, una specie di sinecura, trascurando sotto questo aspetto
quei centri di culto «pubblici» che riuscivano a mantenersi solo con
l’obolo della massa dei fedeli.
Nonostante la
scarsità delle rendite la chiesa comunque era tenuta pulita e
sufficientemente provvista di suppellettili sacre, come ci attesta lo
stesso D’Amato nella Visita del 28 giugno 1762 Nell’ispezione del
pozzo il vescovo dovette però ancora una volta constatare che i muri
delimitanti l’area dello stesso erano pericolanti e minacciavano di
crollare. Ordinò pertanto che fossero riattati entro due mesi, cosa
che non fu eseguita se nella seguente Visita dell’ottobre 1764 lo
stesso D’Amato fu costretto a riordinare l’ingiunzione personalmente
al Procuratore della cappella don Andrea Piccolo, minacciando
l’interdizione nel caso non si fosse provveduto. Ma anche questo
avvertimento cadde nel vuoto: la ragione possiamo individuarla non
tanto in una caduta della devozione verso il santuario, ma quanto e
più nelle difficoltà in cui si dibatteva la società rocchettana in
seguito al carestoso nefasto quinquennio 1760‑64 che aveva falcidiato
i poveri del nostro centro e ridotto di molto le capacità contributive
di tutte le fasce sociali, borghesia compresa.
Anche se a tutto il
maggio 1766 erano state completate le tre cellette per gli eremiti, le
condizioni in cui versava il santuario andavano pertanto vieppiù
peggiorando. Ne è una riprova l’attenzione posta dal D’Amato nella
Visita del 28 maggio 1771 che ci consente di puntualizzare aspetti e
problemi legati alla vita della cappella. La fabbrica, infatti, aveva
bisogno di numerose e indilazionabili riparazioni e le stesse cellette
degli eremiti, da poco costruite, versavano in precarie condizioni. Né
la vita di quegli eremiti‑custodi era sempre limpida e fra di loro
scoppiavano continuamente liti che ledevano il decoro del santuario.
Più volte negli anni precedenti si era verificato un fatto
increscioso: dalla chiesa venivano sistematicamente sottratte le
suppellettili sacre necessarie per le funzioni cultuali, né erano
state restituite con evidente danno della cappella che, ricordiamo,
non godeva di molte rendite. Per questo motivo il D’Amato si era visto
costretto a emanare un decreto proprio contro l’asportazione di
oggetti sacri, minacciando di comminare la scomunica nei confronti dei
refrattari. Tutto ciò, lo ribadiamo, era diretto specie contro gli
eremiti i quali nella circostanza sembravano ricalcare le orme di quei
diaconi selvaggi riottosi e indisciplinati che erano
proliferati un po’ dappertutto in maniera abnorme nella prima metà del
XVII secolo. Per sanare questo stato di cose il D’Amato si vide
costretto a dimissionare il vecchio Procuratore della cappella don
Tommaso Tufano “qui neglexit decreta Sanctae Visitationis in pluribus
annis edita adimplere” e a nominare il nuovo nella persona del
sacerdote don Michele Magaldo senior, uno degli elementi più
preparati dell’intero corpo ricettizio rocchettano. Grazie alle cure e
allo zelo del Magaldo la cappella fu completamente restaurata,
essendosi completate anche le opere di fabbrica ordinate nelle Visite
del 1773, 1774 e 1776.
Il 30 giugno il
D’Amato visitava ancora una volta la cappella, finalmente restituita
al culto in condizioni soddisfacenti. «Visitavit altare marmorcum de
novo perpulchre excitatum» - si legge negli atti di santa Visita -
attenta sedulitate, pietate et fervore R.D. Michaelis Magaldo...quod
quidem altare Ill.mus Visitator...Deo dicavit assistentibus multis
presbiteris et clericis intervenientibus in sacra et solemni functione
non paucis fidelibus...».
Erano state
completamente rinnovate le suppellettili sacre e acquistati due nuovi
confessionali. Nella stessa circostanza il vescovo ridusse da quattro
a due il numero degli eremiti «ad finem exonerandi eandem ecclesiam ab
expensis, quos erogare non valet...».
Nella sua ultima
Visita del 10 giugno 1789 il D’Amato (che morirà nell’agosto dello
stesso anno) trovò la chiesa in ottime condizioni e frequentata da
moltissimi fedeli specie nella buona stagione.
Il 19 maggio 1802
la cappella fu visitata dal nuovo vescovo Francesco Maria Romanzi che,
viste le generali soddisfacenti condizioni del tempio, si limitò
soltanto a raccomandare agli eremiti di non lasciare incustodito il
santuario e di non servirsi della «mula della Madonna» se non per
urgenti necessità legate alle esigenze del servizio della cappella.
Danneggiata poi
seriamente dai terremoti del 1856 e del 1930, la chiesa e il culto
sono giunti fino ai giorni nostri, mantenendo inalterata la devozione
verso la Madonna del Pozzo in tutta la cittadinanza. A lei vengono
annualmente tributati particolari intensi festeggiamenti.
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Fino a circa
venticinque anni fa, esattamente nove giorni prima dell’ultimo sabato
di agosto, il parroco e larga parte dei fedeli del nostro centro si
recavano di sera nella cappella campestre dove si svolgevano, durante
la notte, riti celebrativi e propiziatori. Nelle primissime ore
dell’alba la statua veniva portata a spalla dai fedeli e giungeva alle
prime case del paese dalla parte di nord‑ovest a punta di giorno,
dove era ad attenderla la statua di San Rocco, fatta uscire per
l’occasione dalla Matrice.
In seguito si sono
poi apportate inspiegabili variazioni al tradizionale secolare rito di
arrivo della Madonna nel centro abitato che oggi è portata in paese in
una sera imprecisata di agosto dalla parte di sud‑ovest, accompagnata
da canti e luminarie. La festa patronale è stata poi spostata
dall’ultimo sabato di agosto a una data dello stesso mese per
permettere ai numerosissimi emigrati di assistere alle funzioni
cultuali. La sera del sabato prescelto si tiene una solenne
processione in onore della Madonna accompagnata da centinaia di
tedofori. L’indomani, dopo il Panegirico celebrato nella Cattedrale,
la statua esce di nuovo in processione insieme a quella di San Rocco,
co‑patrono di Rocchetta insieme a Sant’Antonio. Il lunedì mattina,
alle prime luci dell’alba, la statua di Santa Maria del Pozzo viene
riaccompagnata nella cappella campestre, dove rimarrà fino all’anno
successivo. È questo sicuramente il momento più toccante del culto che
la cittadinanza di Rocchetta intende tributare alla sua protettrice.
Molti emigranti, ad esempio, partono per le rispettive sedi di lavoro
soltanto dopo aver partecipato al saluto generale alla Madonna.
L’ultimo sisma non
ha risparmiato la cappella che è stata abbattuta per poterne costruire
una nuova La statua, frattanto, è stata custodita a Rocchetta ed è
temporaneamente venuta meno la tradizione «dell’arrivo della
Madonna».
Ci auguriamo
soltanto che la tradizione venga ripristinata seguendo correttamente
gli antichi usi, senza stravolgimenti arbitrari spesso
adombrati sotto un malinteso concetto di religiosità popolare.
*Giovanni
Gelsomino Libertazzi
* l'autore è stato ricercatore e storico del
Mezzogiorno d'Italia |