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La Madonna del Pozzo
Dall' Archivio
della Diocesi
di Cerignola.
La madonna del pozzo

                  la Madonna del Pozzo

 
 

Quando il popolo anela, e i notabili (Andrea Piccolo) di Rocchetta "rubavano" i soldi e l'offertorio delle messe, fregandosene del culto. Neanche quando il vescovo diede loro incarico di aggiustare la chiesetta se ne diedero ragione: letteralmente se ne fregarono. IL vescovo dovette minacciarli per costringerli a tirare fuori i ducati per riparare la chiesa. Ma ancora una volta se ne fregarono. "le famiglie borghesi preferivano, è noto, intestare a preti delle loro famiglie detti benefici".

 (il pozzo Sacro,così come appare oggi)
IL POZZO DELLA MADONNA E' ROTTO E PERICOLANTE DAL 28 GIUGNO 1762, IL VESCOVO DAMATO ORDINO' DI RIPARARLO ENTRO DUE MESI, MA CIO'  NON FU FATTO. SONO 243 ANNI. DOPO DUE SECOLI E MEZZO  IL POPOLO ANCORA ANELA E I POTENTI ANCORA "RUBANO" L'OFFERTORIO DELLE MESSE, LASCIANDO IL POZZO "SFASCIATO".

 

(Sotto,il canto propiziatorio)
 "....due sono le stelle, tre sono le colonne, chi ama sta madonna, contento sarà".  E la borghesia fondiaria, e non solo, ringrazia......

(questa "copertina" rimarrà fino a quando il Sacro Pozzo non sarà riparato. Va da se, non chiedendo soldi al popolo, allorché ha già "devotamente" dato).       

 tersite 

 
 

Memoria storica della Cappella di Santa Maria del Pozzo

 La cappella della Madonna del Pozzo di Rocchetta Sant’An­tonio trae origine da una serie di accaduti miracolosi verifica­tisi nei primissimi decenni del XVIII secolo in località Serra­longa. Di tanto ci ha dato notizia il canonico lacedoniese don Pasquale Palmese (1801‑1882) che si preoccupò di trascrivere i motivi della erezione della cappella, motivi peraltro già registrati dal notaio lacedoniese Giuseppe Franciosi nel suo «Forastiero», custodito nell’Archivio di Stato di Avellino. Ed ec­co la storia: «A 24 agosto 1709, giorni di sabato, e vigilia di San Bartolomeo un tal Giuseppe Mastrostefano di Rocchetta di Puglia essendo andato a faticare nella sua maggese, sita al luogo Serralonga distante un miglio e mezzo da quel paese, eb­be a soffrire gran sete, ed essendo egli vecchio, né trovandosi in detta contrada acqua per ristorarsi, si pose a pregare Maria SS.ma, e trovandosi addosso un poco d’incenso pochi dì prima datogli per divozione da un frate questuante del Convento di Santa Maria del Pozzo di Capurso, in provincia di Bari, tutto fer­vore il buon vecchio pregò la Santa Vergine a non farlo languir di arsura; quindi date alcune zappate nell’arido terreno, si avvi­de che la zappa usciva inumidita; indi stracco e non più fidan­dosi, si addormentò per poco, e risvegliatosi si trovò dentro il fossetto da lui poco pria cavato da circa sei in sette caraffe d’acqua; tutto allegro e consolato per aver veduto l’acqua, si ginocchiò e dopo aver ringraziata Maria Santissima, andiede poco lungi a provvedersi di un fusto e cannella, e piegato col capo in quel fossetto, si rifucillò, e continuò a faticare per tut­to quel giorno. Lo stesso fece nei dì seguenti tenendo coperto il fossetto dell’acqua con pietre. Scorsi alquanti giorni, andata ivi Olimpia Di Tuccio sua moglie, il vecchio Giuseppe la chiamò ivi a bere, meravigliandosene questa perchè né il luogo, né la stagione potevano menar acqua ivi, per cui fu stimato ciò un miracolo. Difatti Pompea Garruto trovandosi cionca e con doglia alle ginocchia, il vecchio Mastrostefano le portò quell’acqua, e bagnatene la parte offesa, in un subito si risanò, e camminò liberamente come se non avesse mai sofferto male. Similmente accadde ad Anna Maria Pasciuti di detta terra che trovavasi con fiera resipola al collo, a segno che vi erano fatte molte piaghe incurabili, mentre appena sanava una piaga, un’altra ne usciva, ed era ridotta a fistola; avuta dal vecchio l’acqua, invocata Maria, e bagnatone il collo, restò sana. Ciò praticavasi dal buon Giuseppe, ch’era semplice e dabbene. Indi nel mese di novembre, si portò egli a confessare presso don Carlo Piccolo, suo padre spirituale, e svelato a costui il secreto dell’acqua, venne dal confessore imposto di portarsi all’Arciprete don Orazio Inglese. Per lo che il fatto giunse a notizia di don Giuseppe Di Mattia, Vicario Foraneo di Rocchetta, il quale giacendo a letto con terzana, anch’egli si raccomandò alla Madonna, e fatta prendere um’ambollina di vetro, interessò il  suddetto don Carlo Piccolo e don Giuseppe Dell’Abbate, ambi sacerdoti, affinché avessero ciò verificato, e portatogli un po’ di quell’acqua. Guidati dal Mastrostofano che vi stava al travaglio, trovarono effettivamente vero quanto era stato riferito, e stupefatti al riflesso che in quel luogo non vi era stata mai acqua, né fontane vicine che avessero potuto comunicarla; ma bensì il luogo montuoso e secco, s’inginocchiarono e re­citarono litanie e lodi alla Beatissima Vergine. Osservarono l’acqua limpidissima e ne bevvero per divozione, ne empirono poi l’ambollina, e portata questa al Vicario Foraneo Di Mattia, egli con grande fiducia alla Vergine ne bevve, ed immediatamente la febbre terzana lo lasciò perfettamente libero. Di più il prefato sacerdote Piccolo tenendo un bue che da più tempo era zoppo e non poteva faticare, appena bagnatolo con la detta acqua, il bue tosto risanò, e faticò nello stesso giorno. Di questi ed altri prodigi, divulgatasi la fama, si viddero in quel luogo accorrere storpi, e malsani de’ paesi limitrofi, e ricevendone guarigione, ciascuno lasciava vicino al fosso dell’acqua i segni delle stampelle, e di altre sorte di sostegni e di appoggio. Infervorava per tanti prodigi di Maria Santissi­ma tutta la popolazione di Rocchetta, a capo di cui quel Rev.do clero, Sindaco, Eletti supplicarono Monsignor La Morea la facoltà poter innalzare la Chiesa nel luogo ove uscì l’ac­qua prodigiosa col titolo di Santa Maria del Pozzo. Annuendovi egli volentieri, tosto fu profondato il terreno, fabbricatovi il pozzo e la Cappella con la volta. E nel precipizio della fabbri­ca, non essendo stata ben fondamentata, poco dopo cadde la Cappella, per cui il Sindaco e popolo si avvisarono fabbricar di nuovo la Cappella nel vertice della collina, ove oggi esiste. Il pozzo rimase ad onorata memoria, continuando sempre a sorgervi acqua limpidissima in modo che mai si dissecca. Si celebra tale festività nell’ultimo sabato d’agosto con concorso di popoli...».

Dopo l’erezione la cappella, al pari delle altre chiese esistenti sia dentro che fuori l’abitato di Rocchetta, fu puntualmente visitata dai vescovi di Lacedonia, come si ricava dagli Atti di Santa Visita pervenutici.

Nella sua Relazione ad limina il vescovo Claudio Albini scriveva che la cappella, mantenuta dalla devozione dei fedeli e con elemosine, era crollata in seguito al terremoto del 1731 ed era stata riedificata grazie alle offerte della cittadinanza di Rocchetta e alle multe inflitte al clero.

La linea di attenzione perseguita dal La Morea e dall’Albini fu continuata dal vescovo Tommaso Aceto che, durante la Visita del 1745, trovò la cappella in ottimo stato e decentemente dotata di suppellettili sacre, grazie anche alla diligenza del rev.do don Giovanni Ruberto, dal quale erano state raccol­te le elemosine per la costruzione e l’abbellimento della cappella.

Allo stesso fu inoltre affidato l’incarico di raccogliere fondi per la ultimazione delle cellette attaccate alla chiesa che dovevano servire da alloggi per gli eremiti custodi del santuario. Era infatti ancora in uso nel Settecento la consuetudine di affidare questi centri rurali della pietà religiosa ad eremiti che provvedessero alla pulizia della chiesa e alla questua anche in altri paesi. Nonostante infatti il santuario fosse stato eretto da poco tempo, aveva già raggiunto intorno agli anni Quaranta una notevole risonanza nei centri abitati viciniori dai quali accorreva sempre «in omnibus diebus sabati» una folta schiera di fedeli per ascoltare la santa messa.

Nella Relazione del 1750 il vescovo Nicola D’Amato riportava che la cappella godeva di una rendita annua di sei ducati, dovuti, crediamo, a uno o più legati con pesi di messe. Si trattava, in verità, di una rendita assai esigua specie se confrontata con l’attivazione di benefici ben più consistenti nel centro abitato. La spiegazione va trovata nel fatto che le famiglie borghesi preferivano, è noto, intestare a preti delle loro famiglie detti benefici che costituivano, pertanto, una specie di sinecura, trascurando sotto questo aspetto quei centri di culto «pubblici» che riuscivano a mantenersi solo con l’obolo della massa dei fedeli.

Nonostante la scarsità delle rendite la chiesa comunque era tenuta pulita e sufficientemente provvista di suppellettili sacre, come ci attesta lo stesso D’Amato nella Visita del 28 giugno 1762 Nell’ispezione del pozzo il vescovo dovette però ancora una volta constatare che i muri delimitanti l’area dello stesso erano pericolanti e minacciavano di crollare. Ordinò pertanto che fossero riattati entro due mesi, cosa che non fu eseguita se nella seguente Visita dell’ottobre 1764 lo stesso D’Amato fu costretto a riordinare l’ingiunzione personalmente al Procuratore della cappella don Andrea Piccolo, minacciando l’interdizione nel caso non si fosse provveduto. Ma anche questo avvertimento cadde nel vuoto: la ragione possiamo individuarla non tanto in una caduta della devozione verso il santuario, ma quanto e più nelle difficoltà in cui si dibatteva la società rocchettana in seguito al carestoso nefasto quin­quennio 1760‑64 che aveva falcidiato i poveri del nostro centro e ridotto di molto le capacità contributive di tutte le fasce sociali, borghesia compresa.

Anche se a tutto il maggio 1766 erano state completate le tre cellette per gli eremiti, le condizioni in cui versava il santuario andavano pertanto vieppiù peggiorando. Ne è una riprova l’attenzione posta dal D’Amato nella Visita del 28 maggio 1771 che ci consente di puntualizzare aspetti e problemi legati alla vita della cappella. La fabbrica, infatti, aveva bisogno di numerose e indilazionabili riparazioni e le stesse cellette degli eremiti, da poco costruite, versavano in precarie condizioni. Né la vita di quegli eremiti‑custodi era sempre limpida e fra di loro scoppiavano continuamente liti che ledevano il decoro del santuario. Più volte negli anni precedenti si era verificato un fatto increscioso: dalla chiesa venivano sistematicamente sottratte le suppellettili sacre necessarie per le funzioni cultuali, né erano state restituite con evidente danno della cappella che, ricordiamo, non godeva di molte rendite. Per questo motivo il D’Amato si era visto costretto a emanare un decreto proprio contro l’asportazione di oggetti sacri, minacciando di comminare la scomunica nei confronti dei refrattari. Tutto ciò, lo ribadiamo, era diretto specie contro gli eremiti i quali nella circostanza sembravano ricalcare le orme di quei diaconi selvaggi riottosi e indisciplinati che erano proliferati un po’ dappertutto in maniera abnorme nella prima metà del XVII secolo. Per sanare questo stato di cose il D’Amato si vide costretto a dimissionare il vecchio Procuratore della cappella don Tommaso Tufano “qui neglexit decreta Sanctae Visitationis in pluribus annis edita adimplere” e a nominare il nuovo nella persona del sacerdote don Michele Magaldo senior, uno degli elementi più preparati dell’intero corpo ricettizio rocchettano. Grazie alle cure e allo zelo del Magaldo la cappella fu completamente restaurata, essendosi completate anche le opere di fabbrica ordinate nelle Visite del 1773, 1774 e 1776.

Il 30 giugno il D’Amato visitava ancora una volta la cappella, finalmente restituita al culto in condizioni soddisfacenti. «Visitavit altare marmorcum de novo perpulchre excita­tum» - si legge negli atti di santa Visita - attenta sedulitate, pietate et fervore R.D. Michaelis Magaldo...quod quidem altare Ill.mus Visitator...Deo dicavit assistentibus multis presbiteris et clericis intervenientibus in sacra et solemni functione non paucis fidelibus...».

Erano state completamente rinnovate le suppellettili sacre e acquistati due nuovi confessionali. Nella stessa circo­stanza il vescovo ridusse da quattro a due il numero degli eremiti «ad finem exonerandi eandem ecclesiam ab expensis, quos erogare non valet...».

Nella sua ultima Visita del 10 giugno 1789 il D’Amato (che morirà nell’agosto dello stesso anno) trovò la chiesa in ottime condizioni e frequentata da moltissimi fedeli specie nella buona stagione.

Il 19 maggio 1802 la cappella fu visitata dal nuovo vescovo Francesco Maria Romanzi che, viste le generali soddisfacenti condizioni del tempio, si limitò soltanto a raccomandare agli eremiti di non lasciare incustodito il santuario e di non servirsi della «mula della Madonna» se non per urgenti necessità legate alle esigenze del servizio della cappella.

Danneggiata poi seriamente dai terremoti del 1856 e del 1930, la chiesa e il culto sono giunti fino ai giorni nostri, mantenendo inalterata la devozione verso la Madonna del Pozzo in tutta la cittadinanza. A lei vengono annualmente tributati particolari intensi festeggiamenti.

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Fino a circa venticinque anni fa, esattamente nove giorni prima dell’ultimo sabato di agosto, il parroco e larga parte dei fedeli del nostro centro si recavano di sera nella cappella campestre dove si svolgevano, durante la notte, riti celebrativi e propiziatori. Nelle primissime ore dell’alba la statua veniva portata a spalla dai fedeli e giungeva alle prime case del paese dalla parte di nord‑ovest a punta di giorno, dove era ad attenderla la statua di San Rocco, fatta uscire per l’occasione dalla Matrice.

In seguito si sono poi apportate inspiegabili variazioni al tradizionale secolare rito di arrivo della Madonna nel centro abitato che oggi è portata in paese in una sera imprecisata di agosto dalla parte di sud‑ovest, accompagnata da canti e luminarie. La festa patronale è stata poi spostata dall’ultimo sabato di agosto a una data dello stesso mese per permettere ai numerosissimi emigrati di assistere alle funzioni cultuali. La sera del sabato prescelto si tiene una solenne processione in onore della Madonna accompagnata da centinaia di tedofori. L’indomani, dopo il Panegirico celebrato nella Cattedrale, la statua esce di nuovo in processione insieme a quella di San Rocco, co‑patrono di Rocchetta insieme a Sant’Antonio. Il lunedì mattina, alle prime luci dell’alba, la statua di Santa Maria del Pozzo viene riaccompagnata nella cappella campestre, dove ri­marrà fino all’anno successivo. È questo sicuramente il momento più toccante del culto che la cittadinanza di Rocchetta intende tributare alla sua protettrice. Molti emigranti, ad esempio, partono per le rispettive sedi di lavoro soltanto dopo aver partecipato al saluto generale alla Madonna.

L’ultimo sisma non ha risparmiato la cappella che è stata abbattuta per poterne costruire una nuova La statua, frattanto, è stata custodita a Rocchetta ed è temporaneamente venuta meno la tradizione «dell’arrivo della Madonna».     

Ci auguriamo soltanto che la tradizione venga ripristinata seguendo correttamente gli antichi usi, senza stravolgimenti arbitrari spesso adombrati sotto un malinteso concetto di religiosità popolare.

 *Giovanni Gelsomino Libertazzi

* l'autore è stato ricercatore e storico del Mezzogiorno d'Italia

 
 

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