ROMA - Quelli che non vanno in tivù, non riescono
a
parlare
con i politici, non hanno audience e
nessuno li ascolta. Quelli che
sanno come vanno le cose in questo paese perchè le vivono sulla loro
pelle ma non trovano mai il microfono per raccontarle. Quelli come i
precari, i disoccupati, gli studenti, gli immigrati che nella
società della comunicazione veloce e istantanea non trovano mai un
microfono. Stasera gli invisibilisono diventati visibili sul palco
tirato su in piazza San Giovanni dalla sinistra radicale per
raccontare l'Italia che non ha diritti e che non vuole più essere
precaria. .
Gli organizzatori, i tre giornali della sinistra radicale
(Liberazione, manifesto e Carta), Rifondazione e Pdci, hanno chiesto
a ministri e politici di non salire sul palco e di non andare alla
manifestazione, "per lasciare spazio ai problemi veri" e non
sprecare l'opportunità di questo corteo con i proclami dei soliti
noti.
Microfono agli invisibili, quindi. Una scaletta di nove interventi
decisa questa mattina, non preparata, non studiata, molto spontanea
che ha trovato spazio tra il cantastorie Ascanio Celestini e i
concerti delle band musicali. Giovanna Velardi ha 32 anni, è
palermitana ma vive a Roma dove si è laureata in Scienza della
Formazione e fa la coreografa. "Vorrei riuscire a spiegare -
racconta Giovanna - il valore del sistema cultura che invece nel
nostro paese la politica tiene ai margini facendo andare l'Italia
sempre più indietro rispetto agli altri paesi non solo europei.
Vorrei riuscire a spiegare che questa politica autoreferenziale,
chiusa nei palazzi, che non mette mai il naso fuori e non sa
guardarsi incontro, sta distruggendo questo paese perchè non riesce
ad avere coscienza e consapevolezza di quello che succede". Giovanna
ha un messaggio per il ministro Padoa-Schioppa, "la prova provata di
quanto poco i politici siano sintonizzati con quella che è la vita
vera". "Il ministro - spiega - non può permettersi di definire 'bamboccioni'
i giovani italiani, questa massa che ormai va dai venti ai 40 anni.
Non può farlo per rispetto a loro e alle loro famiglie". E uno per
il governo: "In questo paese deve cominciare ad andare avanti chi ha
il merito per farlo. Non chi raccatta tremila voti e si candida alle
prime elezioni".
Salgono sul palco la scrittrice italo-somala Igiaba Scego con
la leader indiana per l'ambiente e i diritti Medha Patkar,
Martina Costantini studentessa del liceo Villani di Roma,
Federico Sciarpelletti, precario della Vodafone, Massimo
Cappellini, a nome dei senza casa e degli sfrattati, Aurelio
Mancuso per conto di gay e lesbiche. "Siccome la politica non sa
perchè non ci conosce - spiegano - questo per noi è l'occasione di
raccontare le nostre storie e i nostri punti di vista con le nostre
parole". Carlo Gosamo, ad esempio, 34 anni, "single di ferro"
come si definisce, e "meno male visto che sono in cassa integrazione
dal 2006 e a dicembre non prenderò più nemmeno questi 500 euro".
Carlo è un dipendente della Legler di Macomer, provincia di Nuoro.
"Parlo a nome delle 1.200 persone che sono nelle mie condizioni.
Siamo tristi e scoraggiati perchè tutto questo accade nel
disinteresse generale e per incapacità manageriali". Quella della
Legler è una storia di "occasioni sprecate": "Facciamo il tessuto
dei jeans, produciamo per Levis', Diesel, aziende leader. E'
successo in ben due occasioni, nel 1999 e nel 2002, che i manager
della Legler non sono riusciti a soddisfare la alta richiesta di
prodotto, la domanda è stata rivolta altrove e noi abbiamo perso
sempre più quote di mercato". La situazione adesso è che neppure
Renato Soru, governatore della Sardegna, riesce a sapere chi c'è
dietro le finanziarie a cui fanno capo le tre fabbriche del gruppo
Legler. "Lasciare senza lavoro 1.200 persone nella provincia di
Nuoro - aggiunge Carlo - è come chiudere la Fiat nel nord Italia.
Noi siamo disposti a fare tutto, chissà ...forse Bush ci può aprire
qualche poligono di tiro".
Nessuno di loro, precisano, vive questa
manifestazione come "una critica al governo". Sperano però che le
loro testimonianze possano "servire a migliorare le scelte e il
programma del governo". Non parlano del protocollo sul welfare, meno
che mai chiedono una crisi di governo. Chiedono una politica
diversa, "che esca dai palazzi, che sappia aprire gli occhi ed
ascoltare".
Antonio Ferrentino, presidente della comunità
Bassa val di Susa, spiega come sia possibile che la politica "faccia
le sue scelte partendo dal basso, dalle persone, dal territorio, da
chi con quelle scelte dovrà convivere". La storia del progetto
dell'alta velocità in val di Susa, un progetto sbagliato, disperato
e adesso, dopo lotte ed occupazioni, riveduto e corretto con la
collaborazione degli abitanti, è la prova che "un altro modo di
lavorare, di decidere e di fare politica è possibile".