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- IL
PROGRAMMA DEL NUOVO GOVERNO DI ROMANO PRODI
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INCASSA LA
FIDUCIA CON AMPIA MAGGIORANZA
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(Con
questo discorso di matrice cattolico democratica e di virtuoso spostamento del
baricentro della politica da centrosinistra a sinistra-centro, il governo Prodi
muove il primo passo del suo mandato elettorale; conquistandosi la piena fiducia
anche della direzione editoriale di "Tersite". Auguriamo al Presidente buon
lavoro).
Tersite.
le
linee programmatiche del nuovo Governo
Il discorso di Prodi al Senato
(Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei
ministri 18.5.2006)
Un
discorso di 61 cartelle per illustrare le linee
programmatiche del nuovo governo, toccando diversi
temi “caldi" che hanno provocato interruzioni da
parte dell'opposizione. Così l'esordio del
presidente del Consiglio, Romano Prodi, nell'Aula di
Palazzo Madama, il 18 maggio, per l'avvio del
dibattito sulla fiducia al governo Prodi II. "Siamo
orgogliosi della nostra partecipazione alle missioni
di pace", ma "non abbiamo condiviso la guerra in
Iraq", che è "stata un grave errore" e "non ha
risolto, anzi ha complicato, il problema della
sicurezza", ha detto tra l'altro Prodi. Quanto al
programma, esso verrà realizzato e "lo faremo
cercando di coinvolgere anche chi non ci ha dato il
suo consenso, non certo con l'intento di punire chi
l'ha negato. Non ci sono nemici né in quest'aula né
fuori. Ci sono solo qui e fuori - ha aggiunto il
premier - gli italiani che amano l'Italia come noi,
ma che legittimamente coltivano priorità e auspicano
scelte diverse dalle nostre". In tema di conti
pubblici Prodi ha poi spiegato che "la correzione è
indispensabile per assolvere ai nostri impegni
europei", per "stroncare al più presto incipienti
segni di sfiducia dei mercati internazionali", ma
"non vi è più spazio per correzioni affidate a
manovre straordinarie. Non vi sono possibili
miracoli di ingegneria finanziaria". Sul fronte
della giustizia, "noi vogliamo ridare serenità ai
giudici italiani - ha sottolineato il presidente del
Consiglio - vogliamo che essi possano operare con
imparzialità e professionalità, circondati dal
rispetto e sempre tutelati nella loro indipendenza".
"Chiederemo tempi più rapidi, processi più veloci" e
"il governo intende proporre al Parlamento di
studiare un provvedimento diretto ad alleggerire
l'attuale insostenibile situazione delle carceri".
Sul tema dei conflitti di interesse Prodi ha detto
di ritenere "essenziale che si ponga mano a una
normativa che li disciplini in linea con quanto
esiste nelle altre democrazie avanzate, una
normativa scevra da intenti punitivi ma ben più
rigorosa di quella in vigore", mentre per quanto
riguarda la vigilanza sul pluralismo
dell'informazione, secondo Prodi sono possibili due
scelte: “o attribuire questa responsabilità
all'Antitrust, considerando che anche il pluralismo
dell'informazione possa essere tutelato con i
normali strumenti attraverso i quali si garantiscono
la libera concorrenza e l'apertura dei mercati,
oppure istituire un'autorità ad hoc, in
considerazione della natura particolare di quel bene
pubblico che è rappresentato da una libera
informazione. Su questo il Governo maturerà la sua
scelta e si confronterà con il Parlamento." Infine
il presidente del Consiglio ha sottolineato la
necessità di "rivedere la politica delle quote per
un'immigrazione di qualità che accolga senza creare
clandestinità". (18 maggio
2006)
Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei
ministri Senato della Repubblica 18.5.2006
Signor Presidente del Senato, onorevoli senatrici e
onorevoli senatori, l'inizio del cammino del
Governo, che oggi si presenta a voi per chiedere la
fiducia, ha coinciso con il termine di un settennato
presidenziale e l'elezione di un nuovo Presidente
della Repubblica.
Sono certo di interpretare i vostri sentimenti e
quelli di tutti gli italiani, se avverto
innanzitutto il bisogno di rivolgere un pensiero di
gratitudine al Presidente Ciampi per il modo
esemplare con cui ha interpretato il suo ruolo di
garante di tutti, per la sensibilità e misura con
cui in ogni circostanza ha saputo farsi interprete
del comune sentire degli italiani, per la passione
con cui ha alimentato il sentimento dell'unità
nazionale, per la forza con cui in ogni occasione ci
ha ricordato come l'Italia sia parte viva
dell'Unione Europea. Grazie Presidente Ciampi: le
italiane e gli italiani le sono e le saranno sempre
grati con affetto.
Allo stesso tempo, voglio rivolgere un saluto
deferente ed un caldo augurio al nuovo presidente
della Repubblica, Giorgio Napolitano. Al momento
della sua elezione, tutti, anche chi non ha ritenuto
di votarlo, hanno sentito il dovere e il piacere di
testimoniargli la stima e il rispetto che ha saputo
meritare lungo un percorso personale e politico
sempre ispirato ad autonomia di giudizio, grande
equilibrio, attaccamento alle istituzioni
repubblicane, passione e fiducia nella democrazia e
nella libertà e senso dello Stato. A lei, presidente
Napolitano, gli italiani guardano con grande attesa,
certi che saprà rappresentare l'Italia ovunque con
la dignità e lo stile ben noti a chi la conosce e
che tutti impareranno ben presto ad apprezzare.
Se mi è consentita una notazione personale, è per me
motivo di grande orgoglio che il
presidente Ciampi e il presidente Napolitano siano
stati entrambi membri valorosi del mio primo
Governo. Mi lega al primo il ricordo dell'azione
svolta insieme, affinché l'Italia fosse nel gruppo
di testa dei Paesi dell'euro; mi lega al secondo
anche il ricordo dell'azione svolta nelle
istituzioni europee, perseguendo in ruoli diversi la
stessa idea dell'Europa.
Signor Presidente del Senato, onorevoli senatrici e
onorevoli senatori, il Governo che oggi si presenta
a voi per chiedere la vostra fiducia è quello che
gli elettori italiani hanno voluto con il loro voto,
il 9 e il 10 aprile scorsi, al termine di una
campagna elettorale che tutti noi avremmo voluto
migliore per la qualità del dibattito e che da tutti
è stata combattuta con passione, anche se a tratti
con qualche asprezza verbale di troppo. Tuttavia, si
è trattato pur sempre di una normale campagna
elettorale, di una competizione che ogni Paese
democratico maturo, come il nostro, periodicamente
vive.
Dico questo perché facendo leva anche sull'esiguità
del vantaggio che ha consegnato la vittoria alla
coalizione da me guidata, si vuole dare talvolta una
lettura drammatizzante della situazione scaturita
dalle urne.
Taluni coltivano l'immagine di una comunità
nazionale lacerata, spaccata, divisa. Non è così.
Consentitemi di dire che chi si attardasse in questa
lettura non renderebbe un servizio al Paese e
neppure ai propri elettori.
L'Italia è sicuramente un Paese con tante diversità
e con distinzioni anche forti, che tendono ad
esprimersi all'interno di una contrapposizione
bipolare che i cittadini hanno fatto propria e di
cui accettano le implicazioni con ammirevole
maturità; maturità di cui è prova anche l'altissima
partecipazione al voto.
Ma distinzione non è uguale a divisione, se la
politica non la rende intenzionalmente tale, se la
politica non sceglie di viverla e propagandarla come
tale. Sicuramente - ve lo dico con la massima
sincerità - non è e non sarà questa la scelta del
Governo e della maggioranza che lo sostiene; la
maggioranza espressa dagli elettori che hanno
dimostrato di apprezzare il nostro programma e la
nostra proposta. E noi realizzeremo il nostro
programma con l'obiettivo di coinvolgere anche chi
non ci ha dato il suo consenso, non certo con
l'obiettivo di punire chi l'ha negato.
Non ci sono nemici né in quest'Aula né fuori. Ci
sono solo, qui e fuori, italiani che amano l'Italia
come la amiamo noi, ma che legittimamente coltivano
priorità e auspicano scelte diverse dalle nostre.
Non c'è un Paese da pacificare; c'è, invece, un
Paese da mobilitare, in tutte le sue componenti, con
un costruttivo spirito di concordia. Non può, non
deve esservi spazio per comportamenti ispirati ad
una volontà di rivincita, ad un esasperato desiderio
di rimarcare ad ogni costo le differenze, alla
voglia di segnare vistosamente un nuovo inizio quasi
che un cambio di maggioranza e di Governo
all'interno di una fisiologica e salutare alternanza
tipica di una solida democrazia dovesse significare
una fratturanella storia del Paese. Noi ricercheremo
la concordia, il che non significa annullamento
delle diversità, né tanto meno il perseguimento di
intese non limpide che stravolgerebbero il
significato del voto.
La ricercheremo per lo spirito con cui intendiamo
operare e vorremmo che lo stesso spirito animasse
l'opposizione. Siamo qui di fronte a voi non solo
per chiedere la vostra fiducia, ma per dirvi che
sentiamo il bisogno e il dovere di guardare al
Parlamento come alla naturale sede del confronto
democratico tra maggioranza e opposizione, tutte e
due a pari titolo rappresentative di parti
importanti del nostro popolo. All'opposizione e ai
suoi leader non faremo mai mancare il rispetto che
la democrazia esige. Chiedo loro solo disponibilità
verso un'attenta considerazione di quello che
verremo proponendo, misurandolo sulla rispondenza
agli interessi generali del Paese.
Lo chiedo perché credo che a nessuno di noi sfugga
la serietà della situazione internazionale e interna
in cui ci troviamo ad operare.
Lo chiedo perché sono profondamente convinto che
usciamo dalle difficoltà e andiamo avanti tutti
insieme o andiamo irrimediabilmente indietro tutti
insieme.
Signor Presidente del Senato, onorevoli senatrici,
onorevoli senatori, il mondo in cui viviamo è ancora
carico di rischi, di tensioni e di paure; le varie
forme di terrorismo, le guerre e la povertà. Sono
tante le ragioni di forte preoccupazione e troppo
spesso di serio allarme. Tra queste negli ultimi
giorni segnalo soprattutto il rischio della ripresa
della proliferazione nucleare.
Occorre perciò un forte e costante impegno nella
lotta al terrorismo internazionale, che minaccia
l'insieme delle società del mondo contemporaneo.
Nei confronti del terrorismo, noi affermiamo la
nostra ripulsa morale e politica. Siamo fermamente
convinti che la lotta al terrorismo vada condotta
con strumenti politici, di intelligence e di
contrasto alle organizzazioni terroristiche e vada
condotta senza comprimere mai né le nostre libertà,
né i nostri diritti, né tantomeno indulgendo alle
suggestioni di fondamentalismi di segno opposto che
predicano crociate e, annullando ogni distinzione,
propugnano scontri di civiltà.
È in primo luogo sul piano politico, sociale ed
economico che dobbiamo battere il disegno del
terrorismo, prosciugando il serbatoio degli adepti.
Nella politica globale per la lotta al terrorismo
noi saremo partecipi convinti, con i nostri valori e
le nostre risorse, anche militari, ogni qual volta
esse siano legittimamente mobilitate dalle
organizzazioni internazionali a cui apparteniamo.
In ogni evenienza risponderemo con prudenza, con
equilibrio e, quando necessario, con fermezza.
Saremo guidati da scelte precise nella nostra
politica estera: noi scegliamo l'Europa e il
processo di integrazione europea come ambito
essenziale della politica italiana.
Scegliamo di mettere la vocazione di pace del popolo
italiano e l'articolo 11 della Costituzione al
centro delle decisioni in materia di sicurezza.
Scegliamo il multilateralismo, inteso come
condivisione delle decisioni e costruzione di regole
comuni.
Scegliamo una politica preventiva di pace che
persegua attivamente l'obiettivo di equità e di
giustizia sul piano internazionale, favorendo la
prevenzione dei conflitti ed il prosciugamento dei
bacini dell'odio; scegliamo la legalità come chiave
per affrontare i conflitti e per la costruzione di
un ordine internazionale fondato sul diritto.
Scegliamo di mettere al centro dell'azione
dell'Italia la promozione della democrazia, dei
diritti umani, politici, sociali ed economici, a
cominciare dai diritti delle donne.
È per questi valori e questa visione del mondo che,
così come in alcuni casi abbiamo ritenuta legittima
e doverosa la partecipazione militare dell'Italia a
importanti missioni di pace delle quali andiamo
orgogliosi, non abbiamo invece condiviso la guerra
in Iraq e la partecipazione dell'Italia a tale
guerra.
Consideriamo la guerra in Iraq e l'occupazione del
Paese un grave errore. Essa non ha risolto, anzi ha
complicato, il problema della sicurezza. Il
terrorismo ha trovato in Iraq una nuova base e nuovi
pretesti per azioni terroristiche interne ed esterne
ai conflitti iracheni. Quella guerra, come ha
ammesso recentemente l'ambasciatore americano a
Baghdad, ha scoperchiato il vaso di Pandora che
rischia di fare deflagrare l'intera regione. È
perciò intenzione del Governo proporre al Parlamento
il rientro dei nostri soldati anche se siamo
orgogliosi della prova di abilità professionale, di
coraggio e di umanità che essi hanno dato e stanno
dando.
Abbiamo purtroppo dovuto piangere numerosi caduti.
Noi tutti siamo vicini alle loro famiglie, noi tutti
siamo riconoscenti per i sacrifici che i loro cari
hanno fatto.
Il rientro del contingente italiano avverrà nei
tempi tecnici necessari, definendone anche in
consultazione con tutte le parti interessate le
modalità, affinché le condizioni di sicurezza siano
garantite. Desidererei poi una spiegazione su quale
differenza ci sia tra queste parole e la proposta di
rientro entro la fine del 2006 votata dal Governo.
Se me la spiegate mi fate un piacere!
Ho già accennato che l'Europa ed il processo di
integrazione europea rappresentano l'ambito
essenziale della politica italiana. L'Europa è la
carta sulla quale l'Italia, uscita distrutta dalla
guerra, ha scommesso il proprio avvenire. Fino a
quando ha fatto questa scommessa ha vinto.
Ma anche l'Europa conosce una fase di crisi, che noi
non sottovalutiamo e l'Europa ha bisogno di noi: ha
bisogno di un'Italia che si rimetta nel solco della
sua grande tradizione. Noi dobbiamo dare subito un
nuovo slancio al processo di integrazione,
attraverso iniziative ed azioni concrete che diano
risposte tangibili alle attese di centinaia di
milioni di europei. Penso alla necessità di dotare
l'Unione monetaria di un vero governo economico e
sociale, allo sviluppo di una nuova politica comune
dell'energia, al sostegno alla ricerca e
all'innovazione tecnologica, all'immigrazione, alla
sicurezza, al ruolo dell'Europa nel mondo e, in
particolare, in tutta la regione a noi vicina, a Est
e a Sud.
Si tratta di azioni che possiamo attuare subito, con
una più forte volontà politica e sfruttando
pienamente i trattati in vigore, sapendo però che
buone e nuove politiche necessitano di buone e nuove
istituzioni.
Per questo dobbiamo rilanciare il processo
costituzionale, perché la nostra Europa ha un forte
bisogno di una nuova Costituzione. Il mio Governo
lavorerà con determinazione, assieme agli altri
Governi europei impegnati in tal senso e alle
istituzioni europee, per trovare una soluzione
all'altezza delle sfide che l'Europa deve
affrontare: una soluzione che va trovata prima delle
elezioni europee del 2009, per permettere a tutti i
cittadini di fare sentire la propria voce.
Il Governo è impegnato a fare tutto quanto in suo
potere affinché l'Europa diventi un soggetto forte
ed unito nello scenario internazionale, anche per
consolidare ed arricchire su un piano di mutuo
rispetto e di reciproca dignità la storica alleanza
con gli Stati Uniti d'America - finalità cui mi sono
sempre ispirato nella mia azione anche a livello
europeo, tanta è l'importanza che attribuisco alla
saldezza di questo legame - ed infine per
contribuire a rafforzare l'autorità delle Nazioni
Unite e la stabilità dell'ordine mondiale.
È nostra intenzione che interesse nazionale ed
interesse europeo siano una cosa sola. È nostra
convinzione che l'Italia conti, anche nei rapporti
con il grande alleato, solo se conta in Europa. Noi
lavoreremo per ricollocare l'Italia tra i Paesi
guida dell'Europa.
L'Italia non guarderà però soltanto all'Europa. Il
Governo si farà parte attiva per rilanciare una
politica per il Mediterraneo che avrà come obiettivo
di fondo la costruzione di una grande area, in cui
pace e prosperità possano affermarsi. Lo faremo
attraverso un'azione politica mirata e supportata
dall'intensificarsi degli scambi commerciali e
culturali. Penso anche alla costituzione con gli
altri Paesi mediterranei della Banca del
Mediterraneo; penso ad università comuni tra Paesi
della sponda Nord e della sponda Sud.
Anche il più lontano continente latino-americano,
che però ci è più vicino per la considerevole
quantità di nostri concittadini che vivono là, ha
bisogno di rinsaldare il legame con il nostro Paese.
È quello che faremo cercando di cogliere le grandi
trasformazioni che stanno caratterizzando tutti i
Paesi di quell'area.
Infine, la nostra responsabilità verso i Paesi
poveri dovrà concentrarsi prevalentemente sul
continente africano, in questi anni troppo spesso
dimenticato. L'Africa è sulle nostre spalle, sulle
spalle dell'Italia e dell'Europa.
Complessivamente accompagneremo la politica estera
del Governo con un grande sforzo per affermare la
cultura italiana nel mondo, una cultura di pace e di
grandi tradizioni e valori universali ed
indivisibili.
Lo strumento che utilizzeremo e che useremo per
questo scopo è la capillare rete consolare e il
rapporto con le Regioni.
Signore Presidente del Senato, onorevoli senatrici e
onorevoli senatori, il mondo del ventunesimo secolo
non è solo un mondo carico di rischi e di paure, è
anche un mondo carico di straordinarie opportunità
nel quale un terzo dell'umanità si è svegliato, è
uscito dall'isolamento e ha trovato la strada più
formidabile dello sviluppo economico nel quale, fra
la Cina e l'India, oltre due miliardi di persone
stanno scoprendo e provando che la povertà e la
miseria non sono una maledizione eterna. Un mondo
che sta imparando a conoscere il valore della tutela
e dell'ambiente, un mondo al quale il progresso
della scienza e della medicina e delle biotecnologie
scrivono nuovi orizzonti e nuove speranze di vita. E
tra rischi e opportunità l'Italia vive in questo
momento un momento di grave difficoltà e incertezza.
La nostra gente sembra più occupata a difendere il
benessere residuo che a costruire per sé e per la
collettività nuove occasioni di sviluppo e crescita
mentre si allarga l'area delle vecchie e delle nuove
povertà. I nostri giovani sembrano costretti a vite
segnate dalla provvisorietà e dall'incertezza sul
proprio futuro, sul futuro professionale e di vita.
Il nostro sistema produttivo sta perdendo colpi, si
stanno erodendo le nostre quote di mercato nel
commercio mondiale; scivoliamo indietro in tutti gli
indicatori più importanti. Le ragioni per cui questo
avviene sono profonde: il mondo è cambiato, sono
cambiati i modi di produrre, sono cambiati i fattori
indispensabili per la crescita e la competitività
del Sistema Italia. Oggi vince chi riesce a restare
sulle frontiere dell'innovazione, un'innovazione
fatta di ricerca, di scuola e di università, di
mercati aperti all'ingresso di nuovi protagonisti e
che trova la propria condizione di successo in una
grande capacità organizzativa dell'intero Paese.
Anche le infrastrutture rappresentano un fattore
critico di successo per la competitività del Paese e
noi proseguiremo nell'azione che i precedenti
Governi di centro-sinistra avevano avviato
completando cioè gli assi nord-sud, est-ovest che
interconnettono l'Italia alla grande rete delle
infrastrutture europee. Effettueremo,
compatibilmente con tutte le risorse disponibili e
mobilitabili, investimenti infrastrutturali mirati
in una logica di sistema integrato piuttosto che
singole grandi opere. E in questa grande partita
globale noi rischiamo di restare invalidi, ma
restare invalidi non significa oggi stare fermi,
significa andare indietro inesorabilmente. Io non
uso, non ho mai usato, la parola "declino", ma
neppure posso ignorare che negli ultimi anni, gli
indicatori sono peggiorati, a cominciare da un tasso
di produttività ormai prossimo allo zero.
Oggi, è necessario dare spazio all'azione di Governo
per affrontare i problemi e cogliere le opportunità
che si presentano e allora, anziché rinfacciarsi
responsabilità, mi preme che tra la maggioranza e
l'opposizione si convenga sulle criticità che
caratterizzano oggi il tessuto economico e sociale
del Paese. Solo partendo da tale condivisione,
potremo, ciascuno facendo la propria parte, fare
ripartire la nostra Italia, per rimetterla in corsa
nella sfida mondiale e per vincere la scommessa del
futuro. Noi siamo tutti chiamati ad un impegno
straordinario, dobbiamo fare ripartire l'Italia, se
vogliamo dare risposte adeguate ai tanti problemi
che affliggono la nostra società e noi dobbiamo
farlo con assoluta coscienza, anche perché lo stesso
imprescindibile e duraturo risanamento delle finanze
pubbliche non è possibile se non ritorniamo a
crescere stabilmente.
Cogliamo oggi segni incoraggianti di una ripresa
congiunturale, ma un fatto che a causa di problemi
strutturali che si sono accumulati nel tempo, siamo
in grado solo di approfittare parzialmente di un
ciclo espansivo dell'economia mondiale, mentre siamo
tra i Paesi più vulnerabili e penalizzati quando
l'espansione si arresta. E quindi è assolutamente
necessario che usiamo almeno il tempo che abbiamo
davanti attivando politiche che da un lato
consentono di beneficiare interamente degli effetti
positivi della congiuntura, dall'altro comincino a
rimuovere quei limiti strutturali che agiscono da
freno.
Il nostro Paese ha bisogno di una forte scossa così
come il nostro sistema produttivo; il nostro Governo
ritiene di avere politiche appropriate a questo
fine.
Ma occorre prima di tutto una forte scossa sul piano
etico. C'è una crisi etica che investe la nostra
società e quanto è accaduto nel mondo calcio, uno
dei beni collettivi a cui italiani tengono di più,
ci dimostra purtroppo che si abbondantemente
superato il livello di guardia.
Ne è una conferma clamorosa l'evasione fiscale che
raggiunge un livello che non ha eguali nel mondo
sviluppato, e che il mio Governo combatterà con la
massima decisione e determinazione non solo per
recuperare ciò che è dovuto alla collettività ma
anche per ragioni di equità e di giustizia.
Noi intendiamo ripristinare anche in questo campo la
cultura della legalità e della responsabilità
civica.
Nella nostra società purtroppo si è prodotto un
clima di tolleranza ed assuefazione a comportamenti
eticamente riprovevoli, se non addirittura illegali,
a conflitti di interesse clamorosi, ad arricchimenti
improvvisi e sfacciati, addirittura premiati da
norme fiscali, allo svuotamento e aggiramento di
ogni regola, alla prevaricazione del più forte. Si è
prodotto un clima di generale irresponsabilità, di
perdita del senso dello Stato e del confine tra
pubblico e privato, d'intrecci tra controllori e
controllati.
Tutto questo è assolutamente preoccupante: noi
dobbiamo dare un segnale di forte discontinuità.
Altrimenti non riusciremo a rimotivare una società
che in larga misura è vittima di questi
comportamenti.
Un problema di regole, perché crediamo che la
politica sia anzitutto regole, per proteggere i più
deboli, per far prevalere il merito, per impedire
che vincano solo e sempre i più furbi.
E nella sfera delle regole considero essenziale che
si ponga mano ad una normativa che disciplini i
conflitti di interessi in linea con quanto esiste
nelle democrazie avanzate; una normativa scevra da
intenti punitivi ma ben più rigorosa di quella
esistente.
Occorrono regole ma anche regolatori. Ed è perciò
intenzione del Governo ridisegnare il sistema delle
autorità che operano nel campo economico e
finanziario, passando da una suddivisione delle
competenze basata sul settore o sui soggetti
sottoposti a controllo di vigilanza ad un'altra,
fondata sugli obiettivi e le finalità del controllo
stesso.
Noi pensiamo ad un sistema più snello e più
razionale sulla base di quattro autorità,
trasformando in agenzie le autorità che sono
attualmente incaricate di vigilare sui lavori
pubblici e sull'informatizzazione della pubblica
amministrazione.
Per quanto riguarda la vigilanza sul pluralismo
dell'informazione, punto centrale di una moderna
democrazia, sono possibili due scelte: o attribuire
questa responsabilità all'Antitrust, considerando
che anche il pluralismo dell'informazione possa
essere tutelato con i normali strumenti attraverso i
quali si garantiscono la libera concorrenza e
l'apertura dei mercati oppure istituire un'autorità
ad hoc, in considerazione della natura particolare
di quel bene pubblico che è rappresentato da una
libera informazione. Su questo il Governo maturerà
la sua scelta e si confronterà con il Parlamento. Ma
per rimotivare la società e dare un segnale forte di
cambiamento sul piano etico non sono sufficienti
regole o regolatori. È mia convinzione che occorrono
anche gli esempi.
E io credo che un esempio deve venire innanzitutto
dal mondo delle istituzioni e della politica.
Penso che dovremo compiere un grande sforzo
determinato sensibilmente, ed in modo non
estemporaneo, a limitare le spese per il
funzionamento delle istituzioni, di tutte le
istituzioni a qualsiasi livello, comprese le spese
per il funzionamento dei partiti e per le campagne
elettorali.
E, per quanto mi compete, è mia intenzione ridurre
di almeno la metà le scorte per il personale
politico e di Governo, date infatti al di là di ogni
necessità reale; il che sottrae risorse finanziarie
e umane che dovrebbero essere destinate alla tutela
ed alla sicurezza dei cittadini. Terremo ovviamente
conto di particolari situazioni di rischi. Ma in
linea di principio le scorte e le automobili di
rappresentanza non possono essere uno status symbol
ma una risposta a reali necessità.
Più in generale vorrei dire che il cosiddetto
Palazzo dovrebbe avvertire l'esigenza di una
salutare autolimitazione, rinunciando ad invadere
ogni ambito a cominciare da quello dell'informazione
e della comunicazione, evitando commistioni ed
ingerenze nella sfera economica incompatibili con
una moderna economia di mercato.
Abbiamo come compito primario quello di ribadire
l'importanza delle regole e soprattutto il loro
rispetto. Credetemi, avremo tutto da guadagnare da
un ritorno alla sobrietà della politica e del
potere.
Quando rifletto su questi temi il mio pensiero va
innanzitutto alle necessità di offrire un esempio ai
giovani ed è infatti ai giovani a cui dobbiamo
soprattutto pensare.
La nostra società e la nostra economia stentato
anche perché non valorizziamo, non impegniamo
pienamente le grandi risorse dei giovani e delle
donne, ma pensando ai giovani mi chiedo come sia
possibile appellarci alla loro freschezza, alle loro
energie, alle loro capacità, alla loro voglia di
fare se la loro vita vive in un contesto che
demotiva e scoraggia perché premia la furbizia
invece che il merito, la disinvoltura sul piano
etico invece del rispetto delle regole. Com'è
possibile vederli partecipi e creativi se essi
arrivano sul mercato del lavoro che li condanna in
misura crescente a una condizione di permanente
provvisorietà
L'Italia non ha scommesso sui giovani, eppure solo
scommettendo su di loro, come il nostro Governo
intende fare, potrà riprendere il cammino dello
sviluppo. I nostri giovani hanno oggi meno speranza
di quanto ne avessimo noi alla loro età, eppure
potrebbero avere davanti a loro orizzonti più ampi.
Nonostante ciò, nei pochi casi in cui vengono date
loro delle occasioni esprimono il meglio delle loro
qualità.
Certo, la società e il mondo del lavoro hanno oggi
bisogno di flessibilità, ma la stessa interpretata
come precarizzazione non ha aumentato la capacità
contributiva del sistema, ma lo ha impoverito. In
realtà la società italiana ha bisogno di meno
precarietà ai livelli medio-bassi d'impiego, mentre
necessita di una cospicua iniezione di competizione
agli alti livelli, ma soprattutto a quelli
medio-alti. Una competizione che premi il talento
individuale e la capacità di lavoro, la creatività e
la capacità di leadership. In una parola il merito;
una competizione orientata anche a ricostruire la
mobilità sociale, perché in questi anni la mobilità
sociale in Italia si è arrestata. In una società
senza mobilità, in cui i figli ereditano la stessa
professione dei padri non è una società che cresce.
In una società retto da gerarchie sociali
consolidate. Una competizione orientata anche a
ricostruire la mobilità sociale perché in questi
anni la mobilità sociale dell'Italia si è arrestata
e - ripeto - una società senza mobilità, in cui i
figli ereditano la stessa professione dei padri non
è una società che cresce. Una società retta da
gerarchie sociali consolidate che demotivano energie
nuove perpetua diseguaglianze inaccettabili. E'
quello che avviene oggi in Italia dove si sviluppa
una società tra le meno nobili in Europa e nel
mondo. Una società che nega il futuro ai giovani è
una società che nega il futuro anche a se stessa. In
proposito intendiamo agire con una gamma di
interventi. Intendiamo sottoporre a revisione la
legge n. 30 per attuare una politica del lavoro
capace di armonizzare flessibilità e stabilità,
riducendo fortemente l'area della inaccettabile
precarietà.
Lo si farà all'interno di un'analisi complessiva
della normativa che regola il mercato lavoro,
cercando di giungere attraverso lo strumento della
concertazione con le parte sociali alla definizione
di un nuovo quadro e attuando una riduzione
dell'eccessivo carico contributivo sul lavoro
dipendente attenueremo anche di molto la convenienza
dei contratti atipici.
Apriremo poi spazi significativi ai giovani nelle
università e nella ricerca, perché l'Italia ha
bisogno di giovani che insegnino e facciano ricerca
con stabilità e libertà.
In Italia le donne partecipano al mercato del lavoro
in misura molto minore rispetto agli altri Paesi
industrializzati, sono penalizzate nei salari, nelle
carriere e poco rappresentate nelle istituzioni e
nelle sedi decisionali, nonostante il loro livello
di scolarità sia in linea con le medie europee.
Ebbene, questa discriminazione priva il Paese di una
grande ricchezza. I punti chiave da risolvere sono
l'accesso al mercato del lavoro, la permanenza nel
mondo del lavoro dopo la maternità, le prospettive
di carriera e di realizzazione professionale, una
loro più estesa partecipazione alle decisioni
politiche e istituzionali.
In questi giorni mi è molto dispiaciuto che non
siamo riusciti ad arrivare a quanto mi ero
impegnato, di avere almeno otto donne nel Governo
rispetto al precedente in cui erano due. Mi sembra
un sostanziale progresso. Vi dico lealmente, e lo
dico per l'esperienza che ho avuto in questi giorni,
che noi dovremo introdurre, anche se qualche anno fa
non ero d'accordo, norme rigide perché questo
avvenga, altrimenti non avverrà mai. Altrimenti non
avverrà mai!
Affrontare in maniera decisa il rapporto tra impegno
familiare e lavoro, garantire alle donne e alle
imprese una rete di servizi e normative per
sostenere la conciliabilità delle funzioni familiari
e lavorative, significa rimuovere forse il
principale ostacolo alla natalità. E non ho bisogno
di ricordarvi quanto basso sia il tasso di natalità
nel nostro Paese, come la denatalità sia divenuto un
fenomeno allarmante, con il risultato che siamo
anche il Paese più vecchio d'Europa.
La famiglia ha bisogno di sicurezza, e quindi va
sostenuta nella sua vita quotidiana con un respiro
di lungo periodo. È finora mancata, invece, una
politica efficace e ad ampio raggio. È questo il
modo non strumentale con cui la politica riconosce e
sostiene un'idea forte di famiglia. Il mio Governo
intende perciò mettere la famiglia, così come
definita nella nostra Costituzione, al centro della
propria azione nella sfera sociale. Ed è per questo
motivo che anche nella costituzione del Governo
abbiamo voluto dare uno spazio così largo ai
problemi delle famiglie e alla lotta contro la
disparità e le discriminazioni. E noi vogliamo anche
un fisco amico della famiglia, una società amica
della famiglia. Noi sosteniamo il diritto di ogni
persona a costruire il proprio percorso di vita e il
ruolo delle famiglie come il luogo di esercizio
della solidarietà intergenerazionale, della cura e
degli affetti.
Riconoscendo il valore sociale della maternità e
della paternità, intendiamo dotare ogni bambino di
un reddito che aiuti la famiglia fino al
raggiungimento della maggiore età e che tenga
presente le esigenze delle famiglie numerose.
Ed è una politica che varrà per tutti, non solo come
è oggi per i lavoratori dipendenti, ma anche per i
lavoratori autonomi e per coloro che non hanno
un'occupazione.
A causa della precarietà del lavoro, le giovani
coppie devono differire la scelta di farsi una loro
famiglia, il sogno di farsi una casa proprio perché
il sistema bancario non concede mutui per la
precarietà dell'occupazione. Agiremo perciò per
ridurre l'area del precariato e per istituire un
fondo di garanzie per i mutui alle giovani coppie.
Per noi, tuttavia, i sistemi economici non si
sostituiscono ai servizi. Porremo perciò a noi
stessi e agli enti locali l'obiettivo di raddoppiare
nell'arco della legislatura il numero degli asili
nido, per andare incontro ad una domanda oggi
largamente insoddisfatta.
Ma ciò vale per tutti gli ambiti dei servizi alla
persona. È questo il modo di garantire i diritti di
cittadinanza a tutti, in particolare alle persone in
maggiore difficoltà, spesso non autosufficienti:
agli anziani, ai disabili, ai malati, a tutti coloro
che vivono con disagio il loro inserimento nella
società.
Intendiamo attuare un programma di sviluppo
dell'assistenza sociale sanitaria integrata, facendo
affluire in un fondo nazionale per la non
autosufficienza tutte le risorse già oggi impegnate
nel settore, predisponendo un percorso di graduale
incremento delle risorse pubbliche e facendo anche
leva sulla grande risorsa del terzo settore.
Sono tutti questi impegni congiunti con le Regioni
ma a noi spetta regolare il sistema dei livelli
assistenziali per garantire i diritti dei cittadini
in qualsiasi parte del Paese essi abitino.
Anche l'immigrazione è una risorsa umana non
pienamente utilizzata. Interi settori dell'economia
italiana sarebbero già paralizzati senza il
contributo dei lavoratori stranieri. I timori degli
italiani per quanto riguarda la competizione sul
lavoro e l'accesso ai servizi sociali non possono
essere ignorati e noi non gli ignoriamo, ma possono
essere superati con un'immigrazione ordinata e
controllata numericamente, che non leda i diritti di
nessuno. Sistemi assurdi di accesso e il mancato
governo di questo fenomeno favoriscono la
clandestinità e impediscono la stabilizzazione e
l'inserimento degli immigrati nella società. La
legge in vigore si è dimostrata insieme demagogica e
inefficiente.
La nostra politica dell'immigrazione non si baserà,
né sull'emarginazione, né sulla criminalizzazione;
il nostro operato si baserà piuttosto su
accoglienza, convivenza e garanzie e insieme sui
doveri degli immigrati. Il tetto numerico va
mantenuto perché il processo va governato ma
dobbiamo rivedere la politica delle quote per
un'immigrazione di qualità che accolga senza creare
clandestinità, insieme alla selezione dei flussi,
favorendo anche immigrazione di alto livello, perché
se non c'è questa il Paese non acquista nuove
esperienze.
Occorre incoraggiare e favorire la piena
integrazione fina alla cittadinanza. Chi vive e
lavora nel nostro Paese deve sapere che se lo vuole
anche per lui ci sarà un posto di cittadino nel
completo rispetto dei diritti e dei doveri.
L'acquisizione della cittadinanza italiana deve
poter essere un traguardo certo dopo un congruo
numero di anni di permanenza, perché la cittadinanza
è anche il più efficace strumento di integrazione di
cui la democrazia dispone ed è anche un potente
fattore di sicurezza. Chi sceglierà di investire il
proprio futuro e quello dei propri figli nel nostro
Paese, chi saprà che qui ha possibilità di
integrarsi per realizzare le sue aspirazioni, chi
identificherà la sua convenienza nel successo della
sua nuova patria sarà sicuramente un cittadino
fedele alle nostre istituzioni e rispettoso dei
nostri ordinamenti.
Signor Presidente del Senato, onorevoli senatrici e
onorevoli senatori, la coesione sociale è un
elemento fondante della qualità civile della nostra
società. È un patrimonio che è stato faticosamente
costruito e che in anni recenti è stato in parte
consumato. Noi dobbiamo ricostituirlo ma in
un'ottica nuova. L'insieme dei servizi sociali, la
sanità, la scuola, la previdenza e la stessa
distribuzione dei redditi non sono solo il risultato
di politiche di redistribuzione ma parte integrante
di un progetto di sviluppo civile, sociale ed
economico del Paese.
Su un altro piano è fattore di coesione anche
l'attenzione a diritti e condizioni nuove, che
meritano di essere comprese e giustamente tutelate.
Per noi la coesione sociale è un fattore di
sviluppo. Non possiamo pensare di competere
riducendo il livello delle tutele e dei servizi
sociali, né aumentando gli squilibri dei redditi; al
contrario, dobbiamo valorizzare i fattori di
equilibrio e coesione della nostra società e per
questo i due fattori importanti sono la sanità e la
scuola.
La sanità non è solo un costo, è un grande settore
che occupa centinaia di migliaia di persone
qualificate, che produce tecnologia e innovazione.
Finché continueremo a considerarla un costo l'ottica
dominante resterà quella dei tagli.
Se invece la percepiremo come un settore di
importanza della nostra società - fermo restando
l'impegno ad un razionale ed efficiente impiego
delle risorse - potremo dedicare la nostra
attenzione allo sviluppo ed alla valorizzazione
delle competenze e delle sue grandi potenzialità. Il
nostro impegno prioritario è comunque quello di
garantire ai cittadini gli stessi standard di
prestazioni ovunque risiedano, in qualsiasi Regione
italiana risiedano.
Per il futuro dell'Italia e per il suo sviluppo
l'istruzione rappresenta l'elemento chiave: non si
torna a crescere senza investire mezzi ed energie
intellettuali nella ricerca, nell'innovazione e
nella scuola. Dobbiamo investire in conoscenza
diffusa, in qualità ed efficacia dei percorsi
formativi, cominciando dalla scuola dell'infanzia
fino ai livelli più alti, restituendo valore e
dignità ai percorsi formativi tecnici e creando
nuovi centri di eccellenza. Noi siamo consapevoli
che la scuola è una macchina complessa, che ha
bisogno di un progetto condiviso e di un lungo
periodo per dispiegare l'efficacia dalla sua azione
educativa.
Dopo dieci anni di riforme e controriforme è giunto
il momento di mettere ordine, di fare il punto, di
cambiare ciò che palesemente non funziona e ciò che
appare sbagliato e di dare finalmente stabilità alla
scuola, valorizzando appieno l'autonomia degli
istituti e il ruolo e i sacrifici degli insegnanti.
Sbagliata appare la liquidazione della formazione
tecnico-professionale: abbiamo bisogno di
valorizzarla e di estenderla attraverso percorsi
universitari brevi, attraverso istituzioni che
diventino le scuole tecniche del ventunesimo secolo.
. Ho già notato che si stanno intensificando in
queste settimane segnali di uscita dalla
stagnazione: ebbene, la ripresa economica sta
evidenziando una mancanza di operai e tecnici
specializzati in molti settori industriali che
caratterizzano il sistema produttivo italiano. Solo
la formazione e la specializzazione professionale
possono riportare equilibrio tra domanda ed offerta
di lavoro, limitando i nuovi flussi migratori. I
nostri giovani devono ereditare ed accrescere la
cultura industriale del Paese, il sistema scolastico
e formativo è lo strumento che deve portare a questo
obiettivo, riavvicinandosi al mondo della
produzione. È necessario ricostituire quel binomio
scuola tecnica-impresa che è stato alla base della
crescita industriale del Paese. Dobbiamo poi
concentrarci sulla ricerca, perché la competitività
economica del Paese richiede un grande salto in
avanti in tutti settori della ricerca e
dell'innovazione. Con appena l'1,1 per cento del PIL
destinato a ricerca e sviluppo - e l'avete fatto voi
- l'Italia è agli ultimi posti in Europa e nell'OCSE.
E allora occorre un forte impegno nelle politiche
per la ricerca, con interventi mirati su specifici
programmi nelle aree di netta priorità, con il
credito di imposta automatico sulle spese di
ricerca, con il riconoscimento di agevolazioni per
le assunzioni di ricercatori e con una politica
attiva di trasferimento tecnologico. Faremo delle
università italiane un polo di attrazione per la
formazione dei giovani e dei ricercatori, italiani e
stranieri, a cui occorre garantire stabilità e
libertà di ricerca; stimoleremo in modo particolare
le lauree in discipline scientifico-tecnologiche,
anche in creazione e al rilancio di distretti
tecnologici collegati con l'università, gli enti di
ricerca e le realtà produttive del Paese.
Come dicevo, noi abbiamo risorse umane, energie,
intelligenze e competenze da mobilitare in uno
spirito di coesione, perché il nostro Paese torni a
crescere; ma dobbiamo misurarci con la realtà dei
conti pubblici che abbiamo ereditato. I conti
pubblici sono sintesi delle politiche di un Paese:
molti anni di bassa crescita e di forte dinamica
della spesa pubblica hanno prodotto due conseguenze,
che ora debbono essere immediatamente affrontate. Si
è esaurito l'avanzo primario costituitosi negli anni
'90 e, per la prima volta dopo il 1995, il rapporto
fra debito pubblico e prodotto interno lordo ha
ripreso a salire. Certo, la correzione è
indispensabile per assolvere ai nostri impegni
europei, secondo le linee concordate anche dal
precedente Governo.
Certo, essa è necessaria per stroncare al più presto
incipienti segni di sfiducia dei mercati
internazionali, ormai detentori di oltre la metà dei
titoli emessi da emittenti pubblici italiani ed
anche per stroncare inquietanti riferimenti a Paesi
insolventi.
Ma più ancora che per questi motivi, la correzione è
indispensabile perché la ripresa in atto, invece di
essere resa effimera dal rapido scontrarsi con un
vincolo finanziario, si possa distendere in un
processo di crescita duratura.
Non vi è più spazio per correzioni affidate a
manovre straordinarie; non sono possibili miracoli
di ingegneria finanziaria. Sarà invece giocoforza
intervenire sulle tendenze dei grandi capitoli della
spesa pubblica centrale e periferica, stabilire un
serio equilibrio tra potere di spesa e
responsabilità della copertura, modificare la
composizione della spesa e dell'entrata per
rafforzare la capacità dei bilanci pubblici di
promuovere la crescita.
Questo sforzo andrà compiuto a inizio legislatura,
guardando avanti, sapendo che la fiducia di chi
investe e consuma in Italia, sia esso italiano o
straniero, può nascere solo da una condizione di
finanza sana.
In ogni parte e regione dell'economia nazionale,
pubblica o privata, vi sono settori, imprese,
uffici, reparti dinamici e ben governati, dunque
generatori di ricchezza, ed altri che invece di
produrre ricchezza la consumano.
La finanza pubblica e quella privata debbono
rafforzare o riacquistare la capacità di distinguere
e di indirizzare il risparmio verso le destinazioni
che promuovono la crescita. La stessa riduzione
della differenza tra quanto il lavoratore riceve e
quanto esso costa all'impresa - il cosiddetto cuneo
fiscale - dovrà essere selettiva e sarà articolata
secondo questi principi.
Una cosa è chiara: non possiamo adottare una
politica dei due tempi, cioè prima il risanamento e
poi la crescita, perché lo stato delle cose non ce
lo consente.
Le risorse aggiuntive di cui abbiamo bisogno per
rilanciare il Paese non possono che essere generate
dalla crescita economica e dalla riduzione, entro
limiti fisiologici, di quel male patologico che si
chiama evasione fiscale. Entrambe queste fonti
devono essere riattivate e tale processo non darà
certo risultati nel brevissimo termine.
Nell'immediato dobbiamo di necessità cominciare a
lavorare con le risorse che abbiamo, cercando di
allocarle meglio e farle rendere di più.
Intendiamo, dunque, ridurre sensibilmente, in una
misura quantificabile in cinque punti nel primo anno
di legislatura, l'eccessivo carico contributivo sul
lavoro dipendente. Una riduzione che, andando a
beneficio sia delle imprese che dei lavoratori, sarà
capace di agganciarci con maggiore slancio alla
ripresa europea, di avviare un nuovo ciclo di
investimenti e di stimolare la ripresa dei consumi.
Una riduzione che, attenuando di molto, la
convenienza dei contratti atipici, contribuirà -
come ho già avuto modo di notare - a contrarre
l'area del precariato.
La crescita del Paese non può non essere guidata dal
nostro sistema produttivo.
Siamo e dobbiamo restare un grande Paese industriale
e quindi dobbiamo tornare a fare politica
industriale. Lo faremo concentrandoci su quattro
elementi. Il primo è il trasferimento tecnologico
per aumentare il tasso di innovazione; il secondo
riguarda la crescita dimensionale dell'impresa, con
interventi fiscali e normativi che favoriscono
fusioni e acquisizioni e il consolidamento delle
filiere che ora sono in crisi; il terzo elemento è
l'internazionalizzazione, con sostegni concreti alle
imprese che esportano e che affrontano nuovi
mercati; il quarto è la nascita di imprese in nuovi
settori, anchecon grandi progetti di ricerca
cofinanziati dal settore pubblico.
È urgente entrare al più presto nei settori da cui
siamo quasi totalmente fuori: le scienze della vita,
la nanotecnologia, le nuove tecnologie di
comunicazione e tutta l'innovazione in campo
energetico, in cui la partita è ancora aperta. A
supportare la crescente economia contribuiranno
anche le politiche per il mercato e le
liberalizzazioni.
Noi dobbiamo garantire a famiglie e imprese servizi
di qualità e competitività, liberando così
importanti riserve da destinare alla crescita.
A questo rinnovato sforzo dell'Italia è necessario
che concorrano tutte le aree del territorio
nazionale, ciascuna secondo le proprie specificità e
le proprie vocazioni territoriali e produttive,
ciascuna sviluppando al meglio le proprie
potenzialità, come è necessario che concorrano tutti
i diversi settori e apparati del Paese, dalla
pubblica amministrazione agli enti locali, al
sistema dei servizi e attività terziarie, alle
grandi reti di comunicazione.
Il Governo avrà perciò il compito di ristabilire un
equilibrio istituzionale tra Stato, Regioni, Città
metropolitane, Province, Comuni e comunità montane,
per affrontare unitariamente le sfide del riordino
istituzionale e del rilancio economico. Sarà anche
compito del Governo coordinare e distribuire con
oculatezza le risorse a disposizione di questi enti
nei prossimi anni. Sarà suo compito soprattutto
ricondurre a strategie integrate le azioni e tutti
gli attori, dagli operatori economici agli
amministratori, dai Governi territoriali alle forze
sociali, per mettere in asse le vocazioni, le
specificità e le differenze che caratterizzano le
grandi aree del Paese.
È giunto, infatti, il momento di formulare una
grande strategia nazionale, in cui le differenze tra
Nord e Sud siano ricondotte a unità, massimizzando
le opportunità di ciascuno.
È in questo quadro che il Governo sente come un
dovere nazionale assicurare al Nord la possibilità
di crescere e svilupparsi, nell'interesse
dell'intera collettività. Il Nord è certamente la
parte più avanzata del Paese e quella che ha
maggiori risorse. A quest'area abbiamo molto da
chiedere e molto da dare. Al Nord chiediamo di
contribuire, come solo può fare, a rimettere in
corsa la nostra economia, per riportare l'Italia nel
gruppo dei Paesi più forti e dinamici. È quello che
il Nord ha già fatto per due volte nella storia
italiana, prima con il processo di
industrializzazione e poi con la grande politica dei
distretti industriali.
Oggi il Paese ha di nuovo bisogno di un Nord forte e
vitale, che traini la riscossa, tornando a
impegnarsi con il dinamismo e l'ottimismo di cui ha
già dato altre volte prova di successo. Al Nord
sappiamo però di dover dare molto affinché possa
riuscirvi. Ha bisogno di un sistema Paese che lo
sostenga; ha bisogno di regole chiare e semplici, di
infrastrutture moderne ed efficienti, di ricerca e
di formazione.
Noi vogliamo questo e opereremo in questo senso.
Vogliamo che questa parte d'Italia e i tanti
cittadini che vi vivono e vi operano sentano lo
Stato non come avversario, ma come sostegno.
L'avversario non è lo Stato; semmai è la
competizione globale con le sue sfide e i suoi
rischi. Nella competizione globale non si sta senza
avere alle spalle uno Stato, che faccia della sua
efficienza un elemento di diminuzione dei costi e
della sua capacità di assicurare le infrastrutture
necessarie come elemento essenziale della capacità
di competere. Questa è la sfida ed è la sfida che il
Nord sente con particolare intensità. Al Nord
dobbiamo una risposta e la dobbiamo in tempi rapidi.
L'altra grande area strategica, tradizionalmente
considerata come area debole e che tuttavia offre
oggi grande opportunità, è il Mezzogiorno. Al
Mezzogiorno e alla sua popolazione noi dobbiamo
molto e lo dobbiamo non solo per ragioni di equità e
giustizia sociale, non solo perché è giusto che
abbia le risorse e le opportunità necessarie per
partecipare a pieno titolo allo sviluppo del Paese,
ma anche perché nella competizione globale il
Mezzogiorno è una grande risorsa e una grande
opportunità.
Al Mezzogiorno occorre un nuovo progetto condiviso e
fatto proprio da tutta la Nazione, che sappia
cogliere la straordinaria opportunità derivante
dalla sua collocazione geografica, che fa di quest'area
la grande piattaforma di interconnessione tra
l'Europa e l'Asia. Grazie alla sua posizione il
Mezzogiorno può e deve diventare lo snodo
commerciale e di trasformazione per i prodotti che
pervengono dall'Asia e che sono destinati
all'Europa.
Occorrono grandi investimenti infrastrutturali nei
porti, nelle strade, nelle reti ferroviarie. Occorre
creare adeguate autostrade del mare che consentano
di smistare per questa via le merci destinate alle
diverse parti del continente, muovendo dai porti del
Mezzogiorno a quelli del Nord Italia e dell'Europa.
Occorrono professionalità e strutture di servizio
adeguate alle dimensioni di un progetto che può
avere prospettive grandiose.
Come ho già detto, solo una grande capacità
organizzativa può farci realizzare ciò. La stessa
capacità organizzativa da cui dipende il rilancio di
un altro importante settore di attività del
Mezzogiorno: il turismo e tutte le attività legate
alla valorizzazione del consistente patrimonio
artistico e culturale.
Certo, il Mezzogiorno ha bisogno di risorse
finanziarie che oggi sono limitate, ma non può
essere concepito come un peso per il Paese. Non è
così ed esso presenta una grande opportunità che sta
a noi cogliere dentro un grande progetto di sviluppo
integrato dell'Italia. Il Governo sarà fortemente
impegnato su questo terreno e ricercherà la
collaborazione di tutte le forze sociali e
produttive, e degli enti locali. Come sarà impegnato
ad intensificare la lotta alla criminalità e
specialmente alla criminalità organizzata. Fino a
che così tanta parte del territorio italiano sarà
attanagliato dal cancro della malavita organizzata è
pressoché impossibile attrarre investimenti
stranieri nella misura che sarebbe necessario. È il
primo problema che gli investitori stranieri mi
evidenziano.
Dunque, lotta senza quartiere alla criminalità
organizzata, sapendo che non si tratta soltanto di
difendere la legalità e la maestà della legge, che
pure sono valori assoluti in uno Stato di diritto,
né solo di rispondere alla domanda angosciosa che mi
sono sentito rivolgere dai giovani di Locri (che mi
hanno tutti chiesto: "Fra un mese, vi ricorderete
ancora di noi?"), ma sapendo anche che, in assenza
di una continua, assidua e determinata azione di
contrasto, non saremo in grado di sostenere e
sviluppare la nostra economia e accrescere la nostra
capacità di attrarre investimenti.
La tutela della sicurezza è peraltro un valore
essenziale per tutti i cittadini, e lo è tanto più
oggi di fronte a nuovi pericoli e minacce che
spaventano e preoccupano. Anche sul fronte della
sicurezza imporre il rispetto reale della legalità è
oggi un valore assoluto. Non lasceremo nulla di
intentato per difendere il dominio della legge in
ogni parte del Paese.
Alle donne e agli uomini delle Forze di Polizia,
come ai Carabinieri che con essi garantiscono la
nostra sicurezza, chiederemo sforzi straordinari.
Essi hanno saputo conseguire successi, anche nella
lotta al terrorismo, per cui li ringraziamo. Noi
cercheremo di sostenerli con ogni mezzo possibile,
consapevoli che da loro, dalla loro professionalità
e dedizione, dipende non solo la nostra
tranquillità, ma anche la nostra crescita economica.
In questi anni sono state compiute scelte in un
settore fondamentale del nostro ordinamento, quale
quello della magistratura ordinaria, che hanno
creato un clima di tensione, talvolta di forte
tensione. Mi riferisco, in particolare, a riforme
pensate ed attuate troppo spesso con uno spirito
punitivo e comunque con atteggiamenti non
adeguatamente collaborativi.
Noi vogliamo ridare serenità ai giudici italiani.
Vogliamo che essi possano operare con imparzialità e
professionalità, circondati dal rispetto e sempre
tutelati nella loro indipendenza. Ma noi siamo
consapevoli, come tutti gli italiani, che la nostra
giustizia è troppo lenta, che troppo spesso non è
assicurato con l'efficienza e la tempestività che la
società moderna richiede il servizio che essa deve
assicurare, per garantire quel valore fondamentale
che è il riconoscimento delle ragioni di chi ha
ragione e la condanna di chi ha torto.
Sappiamo pure molto bene che la lentezza della
giustizia è anche il freno alla competitività del
Paese.
Per questo, mentre opereremo per ridare serenità e
tranquillità ai nostri magistrati e per tutelarne e
garantirne l'indipendenza, chiederemo ad essi di
compiere ogni sforzo per migliorare sostanzialmente
l'efficienza della macchina giudiziaria. Per questo,
mentre faremo tutto il possibile affinché vengano
soddisfatte le giuste richieste di maggiori mezzi e
migliori strutture, chiederemo tempi più rapidi,
processi più veloci e, in definitiva, una giustizia
più giusta.
Sarà compito del Ministro della giustizia seguire
con attenzione questo aspetto essenziale e riferirne
periodicamente al Governo e se il Parlamento vorrà
al Parlamento, con l'obiettivo molto ambizioso -
certo me ne rendo conto - di dimezzare nei cinque
anni il numero delle cause pendenti.
Il Governo intende proporre al Parlamento di
studiare un provvedimento diretto ad alleggerire
l'attuale, insostenibile situazione delle carceri e
lo dovremo studiare con la profondità e la
drammaticità che la situazione ci impone. Già da
anni, anche delle sedi più elevate, questo tema è
proposto alla nostra attenzione. Oggi, all'inizio di
una nuova legislatura, è nostro obbligo offrire una
risposta . Così come dobbiamo offrire una risposta
al rinnovamento delle istituzioni che il nostro
Paese si attende, non la risposta sbagliata e
dirompente di riforme della Costituzione a cui la
nostra maggioranza si opporrà compatta nel prossimo
referendum , ma una risposta di aggiornamento della
nostra Costituzione e di riforma della legge
elettorale, attraverso la ricerca di una costruttiva
e larga collaborazione fra tutte le forze politiche
del Paese.
Ho richiamato in questo mio intervento il Trattato
costituzionale dell'Unione europea e poi la nostra
Costituzione; entrambi valgono come attestazione
della nostra identità condivisa e della nostra
civiltà, si fondono su valori universali e
indivisibili della dignità della persona umana,
della libertà, dell'uguaglianza, della solidarietà e
della pace. Memorie e sintesi di valori umani e
spirituali profondi, di storie e ispirazioni ideali
diverse di cui è ben viva la traccia dell'Umanesimo
e della radice cristiana. Di questi valori, di
questa nostra identità, noi andiamo orgogliosi e
intendiamo viverli nella forma del dialogo,
dell'accoglienza e del riconoscimento delle altre
ispirazioni secondo quello che riteniamo essere il
moderno progetto di un cittadinanza democratica. Un
progetto avverso a tutte le forme di
discriminazione, a tutte le forme di violenza e di
odio, un progetto che la nostra Carta costituzionale
affida al moderno principio della laicità dello
Stato. Tale concetto implica non l'indifferenza
dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello
Stato per la salvaguardia della libertà di religione
in regime di pluralismo confessionale e culturale.
Con la principale di queste confessioni, la Chiesa
cattolica, lo Stato italiano ha elaborato negli anni
un proficuo processo di collaborazione ben definito
da quell'insuperato riconoscimento della nostra
Costituzione riguardo al rapporto tra Stato e
Chiesa, ciascuno nel proprio ordine indipendenti e
sovrani e per ciò stesso capaci di reciproca
collaborazione per la promozione dell'uomo e per il
bene del Paese. In questo spirito, quattro anni
orsono abbiamo tutti salutato nell'Aula della Camera
quell'infaticabile profeta della patria che è stato
papà Giovanni Paolo II. .
Oggi, con lo stesso spirito, vorrei fare giungere
gli stessi sentimenti al suo successore papà
Benedetto XVI e nello stesso momento e con lo stesso
spirito saluto anche tutte le altre chiese, le
chiese evangeliche e ortodosse, le comunità ebraiche
a cui va la mia e la nostra solidarietà per i
recenti tristi atti di intolleranza di cui sono
state fatto oggetto e le comunità musulmane e tutte
le altre comunità religiose che operano nel nostro
Paese, in un comune senso di cittadinanza
democratica a cui tutti offro e a cui tutti chiedo
collaborazione per fare crescere il bene comune come
bene di tutti.
Signor Presidente del Senato, onorevoli senatrici e
onorevoli senatori, nel preparare il discorso con
cui vi ho presentato il Governo che ho l'onore di
presiedere, ho fatto la scelta di non sottoporvi
l'elenco di provvedimenti ma di esporvi piuttosto le
grandi linee di azione che ci accingiamo a svolgere,
il nostro approccio ai problemi che abbiamo di
fronte, se volete - se la parola non è eccessiva -
la nostra strategia.
Io spero innanzitutto di essere riuscito a
comunicarvi il senso di urgenza che avvertiamo, il
senso di urgenza con cui ci accingiamo ad operare.
La nostra società ha in sé le energie e le
competenze per far ripartire l'Italia. La nostra
società ha le risorse che contano nel mondo d'oggi:
lavoratori straordinari e imprenditori, piccoli e
medi, che sono il nostro biglietto da visita nel
mondo.
I nostri successi sono stati il frutto di
ingredienti semplici: imprenditori coraggiosi,
apertura alla concorrenza e ai mercati
internazionali, grande attenzione alle risorse umane
e ai lavoratori, legame con il territorio e le sue
tradizioni produttive, una scommessa sulla
innovazione.
Questa è la ricetta che dobbiamo promuovere e
sostenere, per rilanciare le nostre poche grandi
imprese e per far diventare grandi quelle di media
dimensione. E' una sfida che ancora possiamo
vincere. Ma i tempi si sono fatti molto stretti. Non
dobbiamo ingannare noi stessi, illuderci che in
qualche modo possiamo farcela senza un lavoro duro,
serio, continuo, un lavoro giorno dopo giorno.
E' così che noi ci accingiamo a operare, con
l'impegno di governare per la durata della
legislatura perché solo stabilità e continuità
possono portarci a centrare gli obbiettivi che ci
poniamo.
Noi riteniamo di avervi presentato un programma
serio e un progetto all'altezza dei problemi che
abbiamo di fronte. Non c'è in noi nessuna
presunzione di autosufficienza intellettuale. Non ci
sarà alcuna proposta, da qualsiasi parte provenga,
che non verrà esaminata con attenzione.
Pur nella distinzione dei ruoli, c'è spazio per il
costruttivo apporto di tutti; perché tutti qui
dentro, ne ho la certezza, abbiamo a cuore il futuro
dei nostri concittadini e della nostra Italia;
perché tutti qui dentro, ne sono sicuro, vogliamo
che l'Italia torni a vincere.
Noi lavoreremo perché un nuovo dinamismo percorra
tutto il Paese e uno spirito di coesione sostenga il
suo cammino.
Come sugli antichi sentieri d'Europa, il cammino di
Santiago e la via Francigena, l'Italia non solo
guarda alla meta ma vive la bellezza del percorso,
del dialogo, dell'incontro che lo arricchisce.
Noi ci siamo messi a servizio del suo cammino con
tutte le nostre forze.
Ed è su questi propositi e su questo programma,
onorevoli senatrici e onorevoli senatori, che chiedo
a nome del Governo la vostra fiducia.
Con
questo discorso di matrice cattolico democratica e
di virtuoso spostamento del baricentro della
politica da centrosinistra a sinistra-centro, il
governo Prodi muove il primo passo del suo mandato
elettorale; conquistandosi la piena fiducia anche
della direzione editoriale di "Tersite". Auguriamo
al neo eletto Presidente del Consiglio buon lavoro.
Tersite.
-la
repubblica di tersite 20-05-2006-
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