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feninno, editore

 Barak Obama, la speranza

di  Vito Feninno

  Il giorno più atteso dalla storia per gli afro-americani dal 1864; dopo la proclamazione per legge dell'abolizione della schiavitù, firmata da Lincoln.

C’è voluto il fallimento di Bush per vedere un candidato afroamericano alla casa bianca. Un fallimento totale: economico militare sociale. 8 anni di guerre “esportando” la democrazia con le bombe e carri armati in Afganistan e Iraq. E da ultimo il crollo di wall street, il cuore economico americano.

 Obama_Barak_20081105_074702Il liberismo americano contempla 50 milioni di cittadini senza assistenza sanitaria su circa 400 milioni di abitanti. I lavoratori americani impoveriti dai mutui subprime. Una classe media sempre più incapace di difendere il suo potere d’acquisto. Una società dove i ricchi sono sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Dove milioni di americani per provvedere al loro pranzo fanno la spesa con la “Food-Card”, la carta del cibo.

La popolazione americana attraversata da crescenti disparità salariali, da preoccupante stagnazione reddituale e sempre più indebitata e sempre più isolata dal contesto mondiale per via dell’unilateralismo bushiano in materia di politica estera, votando Obama cerca una via d’uscita da quasi trent’anni di deregulation e militarismo ritornando al multilateralismo come strumento politico per affrontare, sul piano globale, le sfide dello sviluppo, la riduzione delle disuguaglianze e la protezione dell’ambiente.  

Obama è un democratico. E’ un americano. E’ un uomo politico giovane. Di colore. L’uomo del posto giusto al momento giusto. E’ l’uomo della speranza. Della fiducia. Del New Deal. E’ la persona che incarna il sogno americano: anche le minoranze possono democraticamente arrivare a governare il paese più “forte” del mondo. E dove anche gli ultimi possono diventare primi.

Sarà davvero Obama capace di costruire la pace, eliminare lo sfruttamento, dare l’assistenza sanitaria ai 50 milioni di homeless e a chi è finito per strada per la crisi di wall street e a chi è senza protezione sociale; sarà capace di proteggere l’ambiente, e liberare la “suaAfrica dai predoni occidentali del petrolio dell’oro e dei diamanti?

In verità, la politica per il nuovo inquilino della Casa Bianca, anche se è un nero, sarà quella di correggere il liberismo con il riformismo: cioè alleggerire appena le sofferenze e il dolore dei più sfortunati e più deboli della società.

Sarà difficile per Obama garantire benessere agli americani perché metà del debito pubblico è finanziato dai fonti governativi dei paesi arabi e la bilancia commerciale pressoché fallimentare può riequilibrarsi solo grazie alle nuove economie emergenti come la Cina e l’India se accetteranno massicce esportazioni americane.  

Durante la campagna elettorale per le presidenziali americane Lei, Obama, in uno Stato Americano è stato fatto bersaglio, con cartelloni giganteschi, di essere comunista, e per spaventare l'elettorato l'hanno etichettato come marxista e leninista. Cosa che certamente a Lei non è per niente stata gradita.

Così dal 17 settembre 1787 anno della costituzione americana, dopo un lungo travaglio culturale e politico di integrazione sociale della razza nera, un presidente di colore dimostrerà che Marx avrà ancora una volta ragione: i problemi dell’uomo non sono di natura culturale ma materiale. Cioè aldilà del colore della pelle dei governanti è la questione dell’uguaglianza che rende l’uomo libero dal bisogno e dall’oppressione.

Tutti i borghesi proclamano l’uguaglianza dei diritti dell’uomo, ma “quando la produzione capitalistica ha cura che la grande maggioranza delle persone uguali in diritto riceva solo lo stretto necessario per vivere o neppure quello” allora cosa importa proclamare l’uguaglianza solo a parole se poi nei fatti ciò non si tramuta?

Potrei essere d’accordo con Lei, Presidente Obama, solo quando questa verità non sarà uguale solo a parole!

Tutta la società è in crisi, gli uomini sono separati gli uni dagli altri, abbiamo perso il senso universale: dobbiamo ritrovare l’altra parte di noi.

Lei ha coronato il sogno pronunciato il 28 agosto 1963 a Washington da Martin Luther King "che un giorno i miei bambini possano vivere in un Paese che non li giudichi dal colore della loro pelle, ma dalla qualità del loro carattere".

Il mio sogno è vivere in una società egualitaria dove l’uomo, qualsiasi uomo, è considerato un capolavoro e non una forza-lavoro che si vende al capitale e viene pagato in base al titolo e al ruolo sociale che occupa.

La vera vittoria è se Lei saprà veramente cambiare la storia: portare l’uomo fuori dall’alienazione.

La speranza è che Lei, presidente, riesca almeno a lottare contro la mostruosità della “normalità” di questa America.

 

 

la repubblica di tersite - 05- novembre -2008

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