Con la crisi di
governo è emersa in tutta la sua gravità la crisi della politica. E la
politica di sinistra. La caduta del governo Prodi, nelle intenzioni dei
“tattici”, voleva essere propedeutica alla nascita del futuro partito
riformista. La drammatizzazione della chiamata al voto sulla relazione
“estera” del ministro D’Alema non voleva verificare la compattezza della
maggioranza. Non c’era allo stato dei fatti nessuna emergenza politica
tale da chiamare i senatori a blindare la politica estera del governo.
Il voto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan sarà in
agenda parlamentare solo nei prossimi mesi.
La chiamata al voto,
voluta dal presidente DS e vice-premier, allora nascondeva altre ragioni
di altra natura politica e non legate a specifici provvedimenti. Il
dibattito tutto interno ai DS che si sta svolgendo con le convocazioni
dei congressi periferici sulla mozione Fassino del Partito Democratico
aveva bisogno di fare chiarezza tra "progressisti" e "massimalisti". Tra
progressisti riformisti e massimalisti universalisti. I DS sanno
benissimo che se il partito democratico tarda a nascere la politica
italiana scivolerà lungo una deriva “democristiana”: il movimentismo di
Casini allude a questa possibilità.
Lo smarcamento di Casini da Berlusconi ha la tendenza ad attrarre nell’area centrista la Margherita
di Rutelli-Marini: consacrando l’addio al partito democratico a dominio
diessino veltroniano. Portando il pallino in mano ai “mandarini”
democristiani. D’Alema, quindi, per difendere il progetto “democratico”
e per tenerlo al riparo dalla carsica azione di logoramento “casiniano”,
ha approfittato del passaggio delicato della legislatura per evidenziare
la distanza tra la “sinistra democratica” post comunista e la sinistra
comunista per rinsaldare il legame con la Margherita con l’intendo di
addossare la crisi di governo a Rifondazione ricacciandola nel ruolo di
testimonianza.
Le segreterie
politiche di PRC e PdCI e Verdi intuito il gioco hanno subito
riaffermato la fiducia a Prodi respingendo così, questa volta – 1998
docet? -, l’accusa di tradimento del mandato elettorale e di
responsabili della caduta del governo.
Fiducia che ha
stoppato, almeno per il momento, l'accelerazione "riformista" dalemiana. Prodi, contestualmente, per non perdere la premiership, aveva
bisogno di trovare una sponda solida nei partiti della sinistra
“antagonista”. La fiducia della sinistra radicale, giunta inaspettata,
ha smascherato l’ingegnoso “deviazionismo dalemiano”: lasciando il
cerino in mano agli uomini dell’Ulivo. Che non potendo più accusare
l’ala radicale dell’Unione ha dovuto riaffermare nella figura di Prodi
l'unica possibilità per continuare la legislatura.
Insomma, se la sinistra
radicale avesse tolto la fiducia a Prodi niente avrebbe potuto fermare
il progetto politico definito del “taglio delle ali”. Tanto caro a
Casini. Ecco il perché, da parte dell’UDC, la richiesta di un governo di
transizione o istituzionale guidato da Marini presidente del Senato. In
un colpo solo Casini avrebbe fatto capitolare due teste: quella di Prodi
e quella di Berlusconi.
Quindi è stato Prodi
a frenare. E’ stato il professore bolognese che, assicuratosi della
lealtà dei “comunisti”, ha bloccato l’operazione.
Questa volta Casini
ha perso, anche grazie al soccorso bianco di Follini.
Soccorso che non
voleva “lasciare il paese al buio”. Cioè: una volta sfumato il governo
di “transizione”, Follini non ha voluto riconsegnare il paese a
Berlusconi e alla destra rozza e populista.
I DS hanno, ad oggi,
tutta la necessità di accelerare la nascita del PD altrimenti i dorotei
udicì potrebbero cogliere petali di margherite indebolendo il ruolo
dominante dei DS nella futura alleanza tra i Democristiani di Casini e i
democratici riformisti di Veltroni. I DS, dopo essendosi svenati
incamminandosi verso il PD, si potrebbero trovare nuovamente in "mezzo
al guado" ecco perché occorre loro fare in fretta: non più il
2009, ma se non entro l’anno, al massimo nei primi mesi del 2008. Il
“centro” di gravità è permanente e ha il magnetismo sempre attivo e
capace ancora di attirare.
La balena bianca ha ripreso ad agitarsi. Moby
Dick per riprendere il largo deve slamarsi dall’arpione bipolarista: ha
bisogno di essere libera di nuotare. Ritorna a nuova vita se riesce ad
approdare al Proporzionale, altrimenti spiaggerà. O ripescata dalla
destra berlusconiana.
I DS di conseguenza
per non essere respinti nel recinto del “massimalismo” politico
lavorano affinché Moby Dick non si riossigeni attraverso il
proporzionale e mettono in campo il “maggioritario a doppio turno”. Per
rinsaldare, con la Margherita, il patto costitutivo del futuro Partito Democratico. Perché
solo così potranno candidare alle prossime politiche il sindaco di Roma,
l’uomo american-kennedyano: Veltroni.
Questa operazione
“transgenica”, artificiale, tutta estetica e poco culturale, però, schiaccerà la
sinistra storica italiana in un ruolo recitativo e non di protagonista.
Cioè avrà solo nel nome la ragione di definirsi di sinistra ma nella
sostanza reciterà solo una parte velleitaria. Le politiche che dovrà
deliberare saranno sempre più conservatrici e di deperimento dei diritti
acquisiti. Prova ne è – già oggi - il rifinanziamento delle missioni
militari, la riforma delle pensioni, il riconoscimento del “merito”.
Per
inciso: il più letto sociologo polacco
Zygmunt
Bauman nel suo
illuminante libro “voglia di comunità” definisce la meritocrazia
levatrice di società deboli. Come si sposa quindi la cultura destrorsa
del merito con la cultura di sinistra? Anche alla luce delle
chiarificanti tesi di Bauman?
La sinistra non si può porre solo il
sufficiente obiettivo di governare, e lasciare la soluzione delle
contraddizioni della società nel “prossimamente”: perché quando si abbandona il
solco storico ci si perde nella ampollosità dei solo irrisoluti
pronunciamenti. Perché ritenere che si governa solo dal “centro” vuol
dire che non rimane che ammettere che la sinistra ha perso per sempre.
Di fronte a questo
“deviazionismo borghese” il voto al senato non ha fatto i conti con la
coscienza delle persone. E il “no” espresso da due senatori è stato
bollato come tradimento. Voto cospiratore. Voto Ribelle. I due senatori
della “sinistra-comunista” votando secondo la volontà del “popolo” di
Vicenza e del popolo della “piazza” sono stati accusati di Alto
Tradimento. Di ribellione. Espulsi dai rispettivi partiti: PRC e PdCI.
Processati “stalinianamente” e allontanati. Ancora una volta la sinistra
riesce a frantumarsi. A farsi male, da sola.
Dichiarare
“gratuitamente” la fiducia al governo significa ammettere che la
sinistra per stare al governo deve assolvere solo il compito di votare “maggioritariamente”?
Ma questa pratica l’entrista, che consiste di entrare nella stanza dei
bottoni per tentare di condizionarne il comando, non è un po’ vetusta? E
non è una tattica che storicamente non ha mai portato a nessun
risultato? Menchemeno a condizionare governi? E non ha consegnato alla
storia di questo Paese il risultato se non di una
maggiore divisione e all’ampliarsi della galassia delle sinistre?
Se così è, se la
sinistra storica approda al “centro” e se quella antagonista si illude
ancora di praticare il l’entrismo, allora la questione di una sinistra
socialdemocratica, o di cambiamento, resterà in sonno per molte altre generazioni.
Al momento non
ci si può che ribellare.
la repubblica di tersite - 04-
MARZO -2007 |