|
Chi è Schifani?
Renato Schifani, eletto presidente del Senato della
Repubblica
SCUSATE IL DISTURBO
di Marco Travaglio
Chiedendo scusa per il disturbo, senza voler
guastare questo bel clima di riverenze bipartisan al
neopresidente del Senato Renato Schifani,
vorremmo allineare qualche nota biografica del noto
statista
palermitano che ora troneggia là dove sedettero De
Nicola, Paratore, Merzagora, Fanfani,
Malagodi e Spadolini. Il quale non è omonimo di
colui che
insultò Rita Borsellino e Maria Falcone
(“fanno uso politico del loro cognome”, sic) perché
erano insorte quando Berlusconi definì i magistrati
“disturbati mentali, antropologicamente estranei al
resto della razza umana”: è proprio lui. Non è
omonimo dell’autore del
lodo
incostituzionale che nel 2003 regalò
l’impunità alle 5 alte cariche dello Stato,
soprattutto a una, cioè a Berlusconi, e aggredì
verbalmente Scalfaro in Senato perché osava
dissentire: è sempre lui.
L’altroieri la sua elezione è stata salutata da
un’ovazione bipartisan, da destra a
sinistra. Molto apprezzati il suo elogio a Falcone e
Borsellino e la sua dichiarazione di guerra alla
mafia. Certo,
se uno
evitasse di mettersi in affari con gente di mafia,
la lotta alla mafia riuscirebbe meglio.
Già, perché - come raccontano Abbate e Gomez ne
“I
complici”
(ed. Fazi) - trent’anni prima di sedere sul
più alto scranno del Parlamento, Schifani sedeva
nella Sicula Brokers, una
società di brokeraggio fondata col fior fiore di
Cosa Nostra e dintorni. Cinque i
soci: oltre a Schifani, l’avvocato
Nino
Mandalà (futuro boss di Villabate,
fedelissimo di Provenzano);
Benny
D’Agostino (costruttore amico del
boss Michele Greco, re degli appalti mafiosi, poi
condannato per concorso esterno);
Giuseppe Lombardo (amministratore
delle società dei cugini Nino e Ignazio Salvo,
esattori mafiosi e andreottiani di Salemi arrestati
da Falcone e Borsellino nel 1984). Completa il
quadro
Enrico
La Loggia, futuro ministro forzista.
Nei primi anni 80, Schifani e La Loggia sono ospiti
d’onore al matrimonio del boss Mandalà. All’epoca,
sono tutti e tre nella Dc. Poi, nel 1994, Mandalà
fonda uno dei primi club azzurri a Palermo, seguito
a ruota da Schifani e La Loggia. Il boss, a
Villabate, fa il bello e il cattivo tempo. Il
sindaco Giuseppe Navetta è suo parente: infatti, su
richiesta di La Loggia, Schifani diventa “consulente
urbanistico” del Comune perché -
dirà La Loggia ai pm antimafia - aveva “perso molto
tempo” col partito e aveva “avuto dei mancati
guadagni”.
Il pentito
Francesco Campanella, braccio destro
di Mandalà e Provenzano, all’epoca presidente del
consiglio comunale di Villabate in quota Udeur,
aggiunge: “Le 4 varianti al piano regolatore… furono
tutte
concordate con Schifani”. Che
“interloquiva anche con Mandalà. Poi si fece il
piano regolatore generale… grandi appetiti dalla
famiglia mafiosa di Villabate. Mandalà organizzò
tutto in prima persona. Mi disse che aveva fatto una
riunione con Schifani e La Loggia e aveva trovato un
accordo: i due segnalavano il progettista del Prg,
incassando anche una
parcella di un certo rilievo.
L’accordo che Mandalà aveva definito coi suoi amici
Schifani e La Loggia era di manipolare il Prg,
affinché tutte le sue istanze - variare i terreni
dove c’erano gli affari in corso e penalizzare
quelli della famiglia mafiosa avversaria - fossero
prese in considerazione dal progettista e da
Schifani… Il che avvenne: cominciò la stesura del
Prg e io partecipai a tutte le riunioni con
Schifani” e “a quelle della famiglia mafiosa, in cui
Schifani non c’era”.
Domanda del pm: “Schifani
era al corrente degli interessi di Mandalà
nell’urbanistica di Villabate?”.
Campanella: ”Assolutamente sì. Mandalà mi disse che
aveva fatto questa riunione con La Loggia e
Schifani”. Il tutto avveniva “dopo l’arresto di
Mandalà Nicola”, cioè del figlio di Nino, per
mafia.
Mandalà padre si allontana da FI per un po’, poi
rientra alla grande, membro del direttivo
provinciale. E incontra Schifani e La Loggia. Lo
dice Campanella, contro cui i due forzisti hanno
annunciato querela; ma la cosa risulta anche da
intercettazioni. Nulla di penalmente rivelante,
secondo la Dda di Palermo. Nel ‘98 però anche
Mandalà padre finisce dentro: verrà condannato in
primo grado a 8 anni per mafia e a 4 per
intestazione fittizia di beni. E nel ‘99 il Prg
salta perché il
Comune
viene sciolto per infiltrazioni mafiose
nella giunta che ha nominato consulente
Schifani. Miccichè insorge: “E’ una vergognosa
pulizia etnica”. Ma ormai Schifani è in Senato dal
1996. Prima capogruppo forzista, ora addirittura
presidente. Applausi. Viva il dialogo. Viva
l’antimafia.
(fonte
unità
del 1 maggio 2008)
(La repubblica di tersite, 2 maggio 2008) |
|