Le parole del vino
alcune espressioni tipiche sul vino e sull’arte del bere

L' "üga" può essere "mericàna, clìntun, bianca, négra, da vin, biciulàna, passa".
L' "üga biciulàna" ha grossi acini ovoidali, adatta per mettere sotto alcol o per produrre la grappa detta "zània".
Il "clìnto o clìnta" produce un vinello leggero e grossolano ed è ricavato dal vitigno omonimo.

Un grappolo, " 'na sgràzza d' üva", si può mangiare ma è considerato peccato in quanto sottrae materia prima alla produzione vinicola.



Una volta raccolta, "catà i grapèi" o i "sgrazz d'üga",  se "pestan tutti i pincirö", durante la fermentazione si rimestano le vinacce,
se "folà o fulà", si mette il tutto nella botte, "bóta o bótt".

Il vino si commerciava in "brènta" pari a  75.55 litri corrispondenti a 3 "stèe", staia litri 25,18, uguali a 4 "quartée", di litri 6,29 corrispondenti a 4 "fiàsch o pint" di litri 1,57, per  2 "bucàa", di litri 0,786 che per 96 fa una brenta.

Quanto tutto è pronto si imbottiglia "imbutiglià" si tappano le bottiglie, "imbüsciunà coi büsciùni".
La "butìglia, butéglia, butiglùn", si distingueva perchè il contenuto, "vin de butìglia", era vino scelto di qualità mentre  il "vin de past" veniva venduto sfuso.
Il vino pregiato poteva essere conservato in una botte la cui spina aveva una serratura ed era detto " vin de la ciavetta".
A volte il vino " al sà da vassèl" ovvero ha preso un cattivo sapore dalla botte.
Avvertenza per le bottiglie :  mai "saquagià", non agitare la bottiglia.



Nel "cròtt", grotta o crotto se in anfratto naturale o alla "fràsca", così chiamata perchè un tempo la frasca di vite era il simbolo dell'osteria  si poteva ordinare un boccale, " bucàal o bucàa", "un mèzz da quell bùn o un quartìn": < scià 'n quartìn > o, per i più morigerati un "bianchìn per bagnà 'l bècch" o anche del "vin négar" vino rosso oppure un "gótt o gutìn", < damm scià 'n gótt da vin > .
Si poteva anche optare per un "bicéer, bicèrin, bicèrott", o una "bicèrava" in compagnia.
In alcune osterie gli abituès  avevano la loro tazza personale col manico, "ra tàzza", depositata in osteria ed erano chiamati la "cumpàgnia d'ra tàzza". La tazza si riempiva col "cazzü",    mestolo, < nemm a bévan un cazzü >, ovvero andiamo a bere un bicchiere. per esser certi di non aver lasciato neanche un goccio si doveva " scorà el boccaa" ovvero vuotar bene il boccale fino in fondo.
Altro nome delle osterie o bettole era "trani", ove si vendeva di solito vino rosso sfuso di Puglia di alta gradazione i cui proprietari inizialmente provenivano da questa regione.



Per i più incalliti c'era il giro delle osterie prima di rincasare chiamato < 'na a tö ra perdunànza >  nel "refùgium peccatòrum" ovvero nelle osterie. Questa visita all'osteria era fatto anche dalle donne al lunedì di ritorno dal mercato:" al 'na a tö ra perdunànza da scundùn di óman a bée la zània" ( bicchierino di grappa).

La qualità del vino poteva essere:
- "crùell", vino di prima spremitura
- "nustranèll", vinello locale leggero prodotto da uve povere
- "grimèll", vinello nostrano di bassa gradazione da Grimelli,  che nell'ottocento, distrutte le viti dalla crittograma da oidio, vendeva un  
    beverone chimico spacciandolo per vino <'l fasèva dumà pissà >.
- "brüschétt", vino locale di bassa gradazione di gusto asprigno
- "ciurlìna", vinello acquoso
- "càspi", vino pessimo, ottenuto dalla torchiatura delle vinacce, facendo attenzione che non abbia il "fiurétt", muffa sul vino che sta
    inacidendo.

Varie sono le maniere per bere:
"tàzzà", bere smodatamente ma anche "canà o trincà" che significa trincare, bere alla canna, tracannare da cui "canada": bevuta epica
< gh’ho piccaa ona canada!> per poi "ciapà la cióca, ciucà, ciucatà",  ubriacarsi col relativo epiteto di "ciucatèe, ciucatùn, ciucàtt, ciuchìna" ovvero ubriacone che ha "ciapà ra cióca".
Ovvero "l' à ciapà la gaìna o, gajnna" ubriacarsi: epiteto rivolto dai ragazzini a color che camminano per la strada ubriachi, zigzagando; o anche "ciócch 'me 'n minìn", ubriaco come un micino barcollante, appena nato.
L' ubriaco può essere solo "imbalàa", imballato perchè ha "sbevascià", sbevazzare in eccesso e disordinatamente.



Ricordando il detto : < che ul Signùr di ciócch > protegge gli ubriachi o i proverbi di saggezza popolare < per guarì la debulézza pìnul de cüsìna e decòtt da cantìna >, < L’è mej ùl vìn càld che l’aqua fresca >< mangià senza bev, l'è come murà senza malta > .
Altro uso del vino era di servirlo "brülé" ovvero vin rosso corposo riscaldato con aggiunta di zucchero, cannella e/o chiodi di garofano oppure col "vin négar" si faceva una bevanda come "lacc e vin", latte e vino; oppure "fà pan muìn", inzuppare il pane nel vino.

Oltre al vino si poteva bere un:
- "cichétt" o "zirupìn" grappino o  liquorino
- "grapìn o grapòt", grappa ricordando che la ruta nella grappa < erba rüga tutt i màa i a destrüga >.
- "mistrà", anicione, detto anche "nivulèta" o "fümm" ( Pernod )

E per finire brindiamo con il :

" biccer de la staffa", il bicchiere della staffa, l’ultimo bicchiere di vino buono che si dava ai postiglioni quando erano già a cassetta.

Prosit!!!

pubblicato il 3/4/2011 su www.rmfonline.it