Il bhakti yoga nella Bhagavad Gítá

Il bhakti-márga, che la Gítá definisce bhakti-yoga, delinea il sentiero della devozione.

La bhakti è un attaccamento sentimentale nei confronti del Signore, a cui sono dedicate tutte le capacità emotive. Attraverso il sentimento religioso si instaura un legame tra il devoto e Dio, che lo fa approdare alla percezione dell'Essere supremo.

Questa via è aperta a tutti, poiché essendo la più facile, può essere perseguita da chiunque, infatti, mediante il bhakti-yoga, gli illetterati, gli ignoranti, i deboli e gli umili possono raggiungere l'unione col divino . Al contrario, il karma-yoga e lo jñána-yoga sono vie ardue, in quanto è necessario accordare la volontà umana con quella divina, attuare una disciplina ascetica ed operare strenui sforzi con le facoltà intellettuali.

Nella via della devozione è, invece, sufficiente amare intensamente il Signore, che a sua volta libererà il devoto dai legami del mondo materiale.

È necessario, quindi, abbandonarsi completamente al Signore prendendo rifugio solamente in lui. Così, Dio, richiedendo una devozione incondizionata, cancellerà in cambio tutti i peccati degli uomini trasfigurandoli nella sua luce.

L'amore del vero bhakta è la bruciante follia davanti alla quale ogni altra cosa svanisce. Tutto l'universo, per lui, è pieno di amore e solo di amore. Pertanto, solo quando un uomo ha in sé questo amore, diventa eternamente beato, eternamente felice.

Nella Gítá, Krishna afferma che la meditazione sull'assoluto, essendo immanifesto, è estremamente ardua, in quanto non offre all'uomo alcun punto d'appoggio, mentre coloro che si dedicano completamente al Signore, nella Sua manifestazione personale, saranno aiutati nel loro cammino verso la perfezione da un libero atto di amore di Dio.

Arjuna, infatti, si chiede se sia migliore il devoto che adora direttamente il Signore impersonale, assoluto, inalterabile, immanifesto, oppure colui che si rivolge alla figura dell'avatára.

"Fra i bhakta che, perennemente uniti a te in ispirito, in questo modo ti adorano e quelli che adorano l'Inalterabile, l'Immanifesto, quali sono i più esperti nello yoga?"  (BG XII, 1)

Con questa domanda rivolta a Krishna, Arjuna vuole avere delle delucidazioni sul perché esistano coloro che cercano di realizzare l'unità con l'Assoluto, inteso come  figura impersonale, che non ha alcun rapporto con il mondo, e quelli che, invece, ricercano l'unità con il Dio personale che si manifesta nel mondo.

La risposta di Krishna non potrebbe essere più chiara: entrambi raggiungono l'unione con Dio, ma coloro che adorano il Dio personale sono considerati i migliori . La distinzione è data dalla difficoltà di fissare la mente sull'immanifesto. Da ciò il consiglio di considerare Krishna come meta unica ed unico oggetto di fede . L'Assoluto, infatti, è difficilmente afferrabile dalla mente umana, mentre è decisamente più facile raggiungere lo stesso fine attraverso la devozione al Dio personale a cui dedicare tutte le proprie energie.

Il bhakti-yoga è naturale, dolce e affettuoso. Il bhakta non compie gli alti voli del jñána-yogin, non si innalza sulle vette della conoscenza, e perciò non è esposto al rischio di precipitare.

A tale riguardo, il fondatore della "Associazione Internazionale per la coscienza di Krishna" A. C. B. Prabhupáda osserva:

"Non è difficile per un devoto avvicinare l'Essere Supremo, immediatamente e direttamente, mentre coloro che intraprendono la via dell'impersonalismo incontrano numerosi ostacoli. Infatti, per comprendere l'aspetto non manifestato dell'Assoluto, gli impersonalisti devono non solo studiare le Upanishad e altri testi Vedici, ma devono anche percepire ciò che non è percepibile e infine assimilare e realizzare perfettamente tutto questo studio. Compito ben arduo per un uomo comune! Il devoto, invece, impegnato nel servizio a Krishna, non ha difficoltà a realizzare Dio, la Persona Suprema, seguendo le istruzioni di un maestro spirituale autentico, rendendo regolarmente i propri omaggi alla forma del Signore installata nel tempio, ascoltando le glorie del Signore e mangiando i resti del cibo che gli è stato offerto". (A. C. Bhaktivedanta Prabhupáda, La Bhagavad Gítá "così com'è", Firenze, Ed. Bhaktivedanta, 1981, pag. 514.)

Anche se il commento di A. C. B. Prabhupáda è sicuramente condizionato da un forte senso devozionale  - che è il cardine centrale della dottrina del movimento da lui creato -, è importate per comprendere l'importanza che la bhakti riveste all'interno della Gítá e nell'intera cultura hindú.

Le forme assunte dalla bhakti sono diverse. Dalla contemplazione della potenza, della sapienza e della bontà di Dio, alla conversazione con altri intorno alle sue qualità. Dall'esercizio di ricordarsi di lui costantemente, al cantare le sue lodi insieme ai confratelli, per terminare con il compiere ogni nostro atto come se fosse un servizio al Signore. Non esiste una regola precisa che stabilisca il modo migliore per accostarsi a Dio. A seconda del temperamento umano, infatti, sarà privilegiato uno piuttosto di un altro.

Le caratteristiche ideali che contraddistinguono il perfetto sono: la benevolenza, la compassione, la pazienza, la contentezza, il controllo di sé e la purezza. Tra tutte, però, la principale sembra essere l'equanimità su cui la Gítá insiste più volte:

"Colui che è uguale con il nemico e con l'amico, nell'onore e nel disprezzo, nel freddo e nel caldo, nel piacere e nella sofferenza, libero da legami, uguale verso il biasimo e la lode, silenzioso, soddisfatto, di qualunque cosa, senza una dimora, con la mente ben salda, pieno di tenera devozione - quest'uomo mi è caro". (BG XII, 18-19)

L'equanimità è una caratteristica su cui Krishna insiste più volte all’interno del poema. L'importanza di questa qualità dipende dal fatto che, essendo il mezzo che conduce l'uomo al di fuori dell'illusione del mondo materiale transitorio essa rappresenta la premessa su cui si basano tutte le altre virtù, costituendo l'equilibrio tra gli opposti e di conseguenza, il loro superamento. Attraverso l'equanimità è possibile trascendere la dualità presente nel mondo e raggiungere quella beatitudine tipica del Brahman.

La Gítá assegna alla bhakti un posto centrale nella vita dell'uomo. Questo è il segno indicante la via maestra che conduce l'uomo al Signore. Non  alla figura impersonale e astratta che sarebbe difficilmente afferrabile dalla mente umana, ma al maestro e all'amico dell'anima.

L'esortazione finale di Krishna è di rivolgersi costantemente a lui, con amore e devozione; così facendo ogni uomo sarà liberato da qualsiasi vincolo e legame e potrà dimorare costantemente nell'Assoluto . È necessario abbandonare ogni dharma e rifugiarsi nel Signore. Questa è la suprema parola della Gítá .



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