La visione e l'enigma

La prima scena rappresenta l'oppressione e la rassegnazione. Zarathustra sale faticosamente verso una meta - la cima della montagna -sopportando il peso del nano deforme - i valori della morale che rendono la vita un insieme di costrizioni e di doveri. La metafora del nano è spiegata in un successivo capitolo dello Zarathustra, intitolato Dello spirito di gravità. Il nano è colui "che scava come una talpa" e dice: "buono per tutti, cattivo per tutti", rappresenta cioè i valori "universali". Essi, però, impediscono di dare significato alla propria vita. Si è liberato dal nano, aggiunge Nietzsche, "colui che dice: questo è il mio bene e male". Il coraggio è quello di considerare se la propria vita, sottratta ai valori esterni, ha di per sé valore, e, dato che la risposta è ovviamente negativa, di iniziare a vivere in altro modo, nella prospettiva dell'eterno ritorno.

b. Liberatosi dal nano, cioè dai significati trascendenti della vita, Nietzsche illustra la teoria dell'eterno ritorno come fondamento di un senso diverso e nuovo dell'esistenza. Non si tratta di una teoria in senso stretto, poiché non è dimostrata e neppure argomentata. Per questo, Heidegger la definisce una "dottrina", sottolineando comunque che essa è così centrale nel pensiero di Nietzsche, che lo Zarathustra può essere definito come "la seconda comunicazione della dottrina dell'eterno ritorno". Lo stesso Nietzsche, d'altra parte, in Ecce homo, definisce il pensiero dell'eterno ritorno come la concezione fondamentale dell'opera.

Il nano propone una prima formulazione dell'eterno ritorno, quella tradizionale che si richiama allo stoicismo. Zarathustra replica irato, non perché il nano sbagli, ma per la sua superficialità. Egli, infatti, presenta l'eterno ritorno come una teoria conoscitiva, senza capirne le profonde implicazioni sul piano esistenziale. Se la si accetta, secondo Nietzsche, essa sconvolge il nostro modo di vedere e di essere, come viene esemplificato drammaticamente dalla metafora del pastore e del serpente.

Nella Gaia scienza la dottrina dell'eterno ritorno era stata presentata nel suo significato morale, come esigenza di dare un senso eterno ad ogni momento della vita. Ma questo non è possibile in una concezione lineare del tempo, in cui ogni momento non ha in sé il proprio significato perché lo deriva dal precedente, che comprende in sé. Il nucleo centrale del discorso di Zarathustra non è, infatti, l'analisi o la giustificazione dell'eterno ritorno, ma la conseguenza che questa concezione ha sull'attimo presente ("E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo?"). L'attimo non è un momento di una sequenza, ma è il convergere di due sentieri infiniti, il punto di incontro del passato e del futuro. Ogni attimo ha in sé un significato eterno.

La concezione lineare del tempo si è imposta con il cristianesimo, che ha scalzato la precedente concezione greca, circolare, alla quale Nietzsche si richiama. Per il cristianesimo il presente deve essere vissuto in funzione della salvezza o della dannazione. Anche nell'interpretazione del nano il tempo è una successione, benché poi si ripieghi su se stessa dando luogo a un circolo, che nel suo insieme è l'eternità. Per Nietzsche, al contrario, ogni istante è l'eternità ed è, in quanto tale, salvezza o dannazione eterne. Deve perciò essere vissuto di per sé, proprio perché tornerà in eterno.

Si noti che nell'interpretazione di Nietzsche, all'eterno ritorno non è connesso nessun fatalismo: gli attimi della vita presente non sono quelli già vissuti che tornano, ma quelli che diverranno eterni. L'eterno ritorno non deve essere interpretato, nel significato stoico, come destino (tutto è già avvenuto e si ripeterà nello stesso modo), ma come creazione (ciò che adesso io faccio tornerà in eterno). In questo senso, nonostante le giustificazioni filosofiche o anche scientifiche che Nietzsche tenta di dare a questa teoria, essa rimane una dottrina, enunciata e non dimostrata, con una finalità e un significato esistenziali e non ontologici.

c. La scena cambia radicalmente, diventa cupa, oppressiva. Il pensiero dell'eterno ritorno porta con sé, per l'uomo non ancora trasformato, prospettive angoscianti. La metafora del serpente che ha conficcato i denti nella gola del pastore viene chiarita da Nietzsche in un successivo capitolo dello Zarathustra, Il convalescente. "Il grande disgusto per l'uomo - ciò mi soffocava e mi era strisciato dentro le fauci". Il disgusto, spiega subito dopo, è per "l'uomo piccolo", che fa piccole cose sia nel male che nel bene, per il quale tutti gli attimi della vita sono allo stesso livello, sostanzialmente indifferenti. Se tutto è destinato a tornare, anche l'uomo piccolo tornerà in eterno.

Ogni uomo è piccolo prima di aver compreso l'eterno ritorno, lo stesso pastore della metafora, cioè Zarathustra: il pensiero dell'eterno ritorno rende terribili gli "attimi piccoli" che hanno costituito la vita e impone una trasformazione. Infatti, finché si è convinti che l'importante sia il significato complessivo della vita, o il fatto che preluda alla salvezza eterna, i singoli istanti sono irrilevanti. Ma se si accetta l'eternità di ogni attimo, quelli considerati insignificanti diventano terribili, perché torneranno in eterno nella loro mediocrità.

Il serpente che si insinua nelle fauci è appunto il pensiero della vita vissuta come un insieme di attimi insignificanti, nell'attesa che la loro somma produca qualcosa di sensato, o, come sostiene il cristianesimo, che la miseria della vita terrena prepari un'esistenza autentica dopo la morte.

Il morso dato al serpente è il rifiuto di questa dinamica, il suo rovesciamento. Ogni istante ha valore in quanto tale e ad ogni momento della propria vita occorre dare un senso. Accettare ciò implica una metamorfosi, vuol dire andare oltre l'uomo. Dopo essersi liberato dal serpente, il pastore è un uomo nuovo, anzi, un superuomo; egli ride, accetta ogni momento della vita per se stesso, senza derivarne il senso dal passato o dal futuro.