Nietzsche, la morale come egoismo

Qual è il politico di più alta moralità?  Quello che fa il bene del suo Paese.  E qual è il bene del suo Paese?

Primeggiare sugli altri Stati con la potenza (gli Stati sono anche detti «potenze»), cioè far trionfare il proprio egoismo.  Dunque la moralità consiste qui nel fare per lo Stato e non per sé, nel fare per la collettività ciò che normalmente l'individuo fa per sé.  Ma la collettività è appunto un grande individuo, in concorrenza con gli altri grandi individui, allo stesso modo degli individui normali.  Fra essi si riproduce dunque l'homo homini lupus.  Ma perché un «piccolo» individuo serve un grande individuo?  Non c'è dubbio: per ingrandirsi a sua volta.  Ossia per realizzare quella parte di sé che si può attuare solo con la realizzazione massima della collettività di cui essa è espressione.  Ancora e sempre utilità ed egoismo.  Ma sentire come esigenze personali le esigenze della collettività è anche quello che gli uomini chiamano grandezza.  C'è pure un'altra collettività, di cui tutti siamo espressione: è l'umanità; e ce n'è un'altra ancora, quella con tutti gli altri esseri del creato e, per chi ci crede, col Sommo Fattore.  Ma se uno si sente partecipe di queste più che di quella statale, allora la politica non è il suo posto, non è la sua occupazione: deve - se segue la grandezza - fare piuttosto il poeta, il musicista, il filosofo o, rispettivamente, il sacerdote, il missionario o il santo.  Ma dei politici ci sarà sempre bisogno.  Anche poeta, musicista, filosofo e sacerdote, missionario, santo perseguono tuttavia il loro utile.  Nietzsche, per esempio, strillava che i problemi della causalità gli stavano molto più a cuore della causa col suo editore (finita male, con molto suo danno), cioè la sua felicità o infelicità dipendeva più da quelli che da questa.  Ma questo suo egoismo, come quello del poeta, dell'artista, del musicista e del filosofo, nonché quello del prete, del missionario e del santo, combaciava con quello dell'umanità, qui dell'umanità filosofante, e prevaleva su quello privato.  Al punto che - è sempre lui che parla anche annunziare una verità ferale, luttuosa, se è una scoperta filosofica, dà grande felicità; come, secondo lui (in ciò in contrasto con Aristotele), la davano le tragedie antiche sia agli autori sia agli spettatori.  Proprio Nietzsche, che è stato il cuore della destra, ha tuttavia insegnato ad accettare la realtà e gli uomini coi loro difetti e vizi, perché questi cospirano, negli stessi individui o in altri, con i pregi e le virtù, nel senso della grandezza.  E mentre da un lato, così come per Machiavelli e sulla scia dei moralisti francesi, scopriva l'interesse personale, anzi fisiologico, più variegato che si annida dietro le pretese e le affermazioni spirituali, dall'altro insegnava a riconoscersi e ad accettarsi nella propria realtà senza schifiltosità idealistiche e romantiche, in modo da non dover vergognarsi di sé.  Dunque in ciò ha operato in senso rivoluzionario, diciamo nel senso della sinistra (in cui opera da sempre la grande cultura, cioè combattendo pregiudizi, ingiustizie, illusioni, errori e sovrastrutture), aggiungendo, lui affossatore del cristianesimo, due grossi comandamenti di sinistra al decalogo cristiano: 1) Non si deve solo scontare la colpa altrui (come Gesù), ma anche assumersela. 2) Non si deve causare vergogna agli uomini.  Anche la più alta moralità, dunque, che ha origine nella solidarietà (nel senso sia dell'egoismo sia dell'altruismo), non può fare più che promuovere l'umanità, l'utilità della specie umana.  La specie umana è un individuo ancora più grande dell'individuo-Stato, un grandissimo individuo tra altri grandissimi individui, con cui è a sua volta in concorrenza.  Il prosperare di una specie comporta lo sfruttamento di altre.  La vita si nutre di se stessa, è una piramide in cui quelli che stanno sopra si nutrono di quelli che stanno sotto, e quelli che stanno sopra si nutrono gli uni degli altri.  La specie umana usa le altre specie, non senza talvolta soccombere ad esse (belve, insetti, bacilli).  Dunque anche nella più alta moralità si tratta sempre di egoismo, di lotta per la sopravvivenza, e di niente di trascendente.  Il che è comprovato dal fatto che anche la moralità più rarefatta, quella degli ideali ascetici propugnati per esempio da Schopenhauer, si è rivelata, all'indagine del Nierenprufer (moralista, colui che scruta le reni degli uomini) Nietzsche, un grandioso fenomeno di autoconservazione e di antropomorfismo.

Il Giornale-21 AGOSTO 2002