Nietzsche nichilista? No, fu il precursore di Freud

Tre filosofi tedeschi al microfono di radio Francoforte esattamente alla metà del Novecento (31 luglio 1950) a discutere di un altro filosofo tedesco, Friedrich Nietzsche, vero e proprio nervo scoperto del pensiero europeo del Novecento: in primo luogo per l’appropriazione da parte degli ideologi nazisti, ma anche per tutta una serie di malintesi che riguardano il nichilismo, il positivismo, l’effetto delle sue idee di volta in volta interpretate in senso ultra-conservatore o ribellista. Una volta convenuto che Nietzsche sia stato un gigante capace di influenzare tutto il XX secolo, è naturale che i tre filosofi abbiano voluto scacciare i fantasmi in camicia bruna, spiegando che Friedrich si presta a malintesi e travisamenti, anche i più intollerabili; e fanno appello alle risorse delle rispettive scuole, l’Ermeneutica d’ispirazione heideggeriana per Hans Georg Gadamer (1900-2002), la Teoria critica per Max Horkheimer (1903-1969) e Theodor Adorno (1895-1973), i due pilastri dell’Istituto per la ricerca sociale più noto come scuola di Francoforte.
Nel dibattito pubblicato per la prima volta in Italia da Micromega , il trio radiofonico liquida subito chiunque abbia dedotto dalla sua opera (vedi Alfred Baumler nel 1930, a sostegno di un Hitler ormai alle porte) che la «volontà di potenza sia l’unica cosa che valga nel comportamento umano e che essa giustifichi qualsiasi arbitrio o violenza»; e liquida anche chiunque abbia pensato d’imbalsamarlo nel Pantheon della filosofia («proprio lui che rifiutava la tradizione filosofica ufficiale in nome del primato della vita», parole di Adorno). No, protestano i filosofi: gli stessi travisatori onesti non hanno saputo leggere dietro l’uso parodistico che «il suo Zarathustra fa di tutti i valori» (Gadamer), né oltre i giochi linguistici incomprensibili agli americani, sempre bisognosi di dare un nome preciso alle cose, o ai russi che prendono tutto alla lettera (Horkheimer).
Chi non capisce le parodie, dunque, i giochi di parole e soprattutto l’ironia che spesso nasconde l’opposto di quanto sembrano dire le parole (Adorno ricorda la commozione di fronte al cavallo bastonato dal vetturino di Torino, da parte di un filosofo che aveva definito la compassione «l’ultimo peccato»), non capisce Nietzsche oppure ne distorce le idee per fini diversi.
Per esempio, il suo invito a sbarazzarsi dalla morale convenzionale, dalle briglie dell’istinto, non era una legittimazione della violenza (nazismo) né un via libera agli impulsi distruttivi (nichilismo), bensì un’intuizione psicologica: confessando a sé stesso quegli istinti, l’uomo avrebbe perso la propria violenza e al posto dell’uomo incattivito perché non può assecondarli, sarebbe affiorato un uomo né buono né cattivo, che non ha più niente da reprimere e si ritrova libero (Adorno).
Gadamer, da parte sua, fa giustizia del malinteso sul nichilismo: tutti sanno, argomenta, che Nietzsche preconizzò la nascita del nichilismo europeo, ma la profezia non era una legittimazione del futuro, bensì «un modo per prepararsi e riuscire a resistere a qualcosa di apparentemente inevitabile che si approssima». Horkheimer, infine, liquida il malinteso positivista: le «radici aeree» del pensiero nietzchiano e i suoi valori senza fondamento nella società ("una torre nel vuoto") sono stati trasformati dalla scienza tedesca, con Max Weber, in un positivismo radicale per cui la scienza non doveva «più in assoluto prendere posizione sui fini». Equivoco orribile che scontiamo tutt’ora, di fronte alla cecità di una tecnica priva d’umanesimo e consapevolezza.
No, proclamano i filosofi: Nietzsche era illuminista, figlio di quella tradizione. Egli non ha sostenuto l’irrazionalismo per accordare alle potenze dell’inconscio il primato sul pensiero, ma ha sostenuto che «la consapevolezza dovesse liberare l’istinto, così che questo, non avendo bisogno di essere rimosso o negato, di fatto perdesse il suo elemento demoniaco» (Adorno).
Gli fa eco Gadamer, per il quale «è ora di prendere coscienza del ruolo avuto da Nietzsche come psicologo di livello mondiale e per il suo modo di interpretare i fenomeni morali». Non a caso si sentiva affine a Dostoevskij, «perché entrambi cercavano di spiegare le vere motivazioni esistenti dietro gli impulsi dell’agire e dell’errare umani».
Horkheimer lo chiama addirittura «precursore di Freud», in quanto «trascina l’inconscio» in tutte le pagine della sua filosofia scrivendo per esempio in Al di là del Bene e del Male: «"Io ho fatto questo", dice la memoria; "Io non l’ho fatto", ribatte l’orgoglio irremovibile».
Alla fine, scrive, è la memoria ad arrendersi: ed è questa, in breve, la dottrina dell’inconscio prima di Freud, elaborata da un illuminista che voleva l’uomo consapevole dei propri impulsi distruttivi perché se ne potesse sbarazzare: che cercava, in altre parole, la liberazione.
 

Il Corriere della Sera-25 NOVEMBRE 2003