E così mi chiedo: che cosa vuole effettivamente tutto il mio
corpo dalla musica in genere? Giacchè l'anima non esiste... Credo che voglia un
alleggerimento: come se tutte le funzioni animali dovessero venir accelerate da
ritmi lievi, arditi, distesi, sicuri di sé; come se la vita ferrea, la vita
plumbea dovesse perdere la sua pesantezza ad opera di melodie dorate, delicate,
simili a olio. La mia malinconia vuole riposare negli anfratti e negli abissi
della perfezione: per questo ho bisogno di musica. Ma Wagner fa ammalare.
Che cosa importa a me del teatro? Che cosa mi importano gli spasimi delle sue
estasi "morali" di cui il popolo - e chi non è "popolo"! -
si compiace? E' tutta la ciurmeria mimica dell'attore! Io sono, lo si vede, di
natura essenzialmente antiteatrale, nel fondo del mio animo nutro per il teatro,
quest'arte di massa par excellence, il profondo disprezzo [...]
Nietzsche contra Wagner "Dove faccio obiezioni"
Non ammetterò mai che un tedesco possa sapere cos'è la musica. Quelli che vengon definiti musicisti tedeschi, i più grandi, sono stranieri: Slavi, Ceoati, Italiani, Olandesi oppure ebrei; altrimenti sono Tedeschi della razza forte, Tedeschi estinti come Schultz, Bach e Handel. Io stesso sono sempre polacco abbastanza per cedere il resto della musica in cambio di Chipin: faccio eccezione, in base a tre motivi, per l'idillio di Sigfrido, di Wagner, forse nache per Listz, il quale ha sugli altri musicisti il vantaggio di un timbro orchestrale aristocratico; da ultimo anche per tutto quello che è cresciuto al di là delle Alpi. Non sarei capace di fare a meno di Rossini, e ancor meno del mio Sud della musica, del mio maestro veneziano Pietro Gazia. E quando dico al di là delle Alpi, intendo propriamente soltanto Venezia.
Nietzsche contra Wagner "Intermezzo"
Ugualmente interpretavo a mio modo la
musica di Wagner come espressione di una dionisiaca possanza dell'anima; in essa
credevo di sentire il terremoto con cui un'originaria forza vitale, accumulata
da tempo antichissimo, si fa finalmente strada, indifferente al fatto che tutto
ciò che oggi si chiama cultura possa in tal modo vacillare. Si vede che non
discernevo, si vede altresì di cosa facevo dono a Wagner e a Schopenhauer, di
me stesso.
Ogni arte, ogni filosofia, può essere guardata come rimedio e ausilio di una
vita che cresce o che declina: esse presuppongono sempre sofferenze e
sofferenti. Ma esistono due specie di sofferenti: quelli che soffrono per una
sovrabbondanza di vita, e vogliono un'arte dionisiaca e così pure
un'intelligenza e una prospettiva tragiche della vita, e poi quelli che soffrono
per l'impoverimento della vita, e che esigono da arte e filosofia la calma, il
silenzio, un mare placido, oppure l'ebbrezza, lo spasimo, lo stordimento. La
vendetta sulla vita stessa, la più voluttuosa specie di ebbrezza per questi
esseri impoveriti! Al duplice bisogno di questi ultimi corrispondono sia Wagner
che Schopenhauer, essi negano la vita, la denigrano, e sono in tal modo ai miei
antipodi.
Il più ricco di pienezza vitale, il dio e l'uomo dionisiaco, può concedersi
non soltanto la visione del problematico, ma persini l'azione terribile e ogni
lusso di distruzione, di disgregazione, di negazione; in lui il male, l'assurdo
e il brutto appaiono per così dire leciti, allo stesso modo che, in seguito ad
un sovrappiù di forze generatrici, restauratrici, essi appaiono leciti alla
natura, la quale sa ancora trasformare un deserto in una terra rigogliosa e
fertile.
Viceversa colui che più soffre, che è più povero di vita, più di chiunque
altro avrebbe bisogno della mitezza, della placidità e della bontà, quel che
oggi viene definito umanità - nel pensare come nell'agire, e possibilmente di
un dio che fosse un dio apposta per i malati, un salvatore, e così pure della
logica, della comprensibilità concettuale dell'esistenza accessibile persino
agli idioti - i tipici liberi pensatori, come gli idealisti e le anime belle...
sono tutti décadents - avrebbe bisogno insomma di un restringersi e di un
limitarsi, al caldo e al riparo dalla paura, in orizzonti ottimistici, che
consente l'instupidimento.
In tal modo appresi via via a capire Epicuro, l'antitesi del greco dionisiaco, e
similmente il cristiano, il quale in realtà è una specie di epicureo e con il
suo "la fede rende beati" segue fin dove è possibile il principio
dell'edonismo, sin oltre ogni onestà intellettuale.
Nietzsche contra Wagner "Noi antipodi"
A questo punto non si può certo eludere l'altra domanda, ossia che cosa effettivamente gli importasse di quella virile (ah, quanto poco virile) "ingenuità campagnola" di quel povero diavolo, di quel giovane vergine di cultura qual era Parsifal, che alla fine egli con mezzi tanto capziosi fa diventare cattolico. [...] La predica della castità resta un'istigazione alla innaturalità: io disprezzo chiunque non intenda il Parsifal come un'attentato all'eticità.
Nietzsche contra Wagner "Wagner apostolo della castità"
Da quando Wagner era in Germania, accondiscendeva a passo a passo a tutto quello che io disprezzo, persino l'antisemitismo. Wagner in apparenza il più vittorioso, in realtà un décadent divenuto marcio e disperato, si prosternò improvvisamente misero e affranto davanti alla croce cristiana.[...] ... che ormai io fossi condannato a diffidare più profondamente, a disprezzare più profondamente, a esser solo più profondamente di quanto mai fossi stato prima. Infatti non avevo avuto altri che Richard Wagner...
Nietzsche contra Wagner "Come mi liberai di Wagner"