Origini del
nichilismo è stato concepito nell'intento di attraversare un'endiadi di
primissimo significato sul piano della storia del nichilismo che rappresenta
anche, in questo medesimo ambito, un'opzione teorica tuttora cogente. Che, nella
storia del nichilismo, Nietzsche e Dostoevskij costituiscano una tappa
fondamentale non è certo una novità. E non costituisce probabilmente neppure
un elemento di vera novità il fatto che essi possano proporsi - quantomeno a
partire dall'insegnamento di Luigi Pareyson - come un'alternativa teorica
stringente. Ma il modo di concepirla e coniugarla oppure anche l'opzione
diversa: quella di prendere le distanze proprio da questa alternativa e dal modo
di concepirla, potevano essere utili e preziose per riattivare la discussione
nei confronti di un tema di primissimo momento. Si potrebbe in breve ipotizzare
che l'autocomprensione religiosa o filosofica, tragica o nichilistica del
nichilismo stesso si delinea in Dostoevskij e Nietzsche in termini così
esemplari da contemplare entro di sé tutto lo spettro della questione e le sue
eventuali soluzioni alternative. t ben difficile pretendere - soprattutto in
casi come questi in cui si ha da fare con grandi pensatori utilizzati come
simboli dei temi che hanno affrontato - di esaurire le loro posizioni delineando
una netta antitesi. Tuttavia - una volta ammesso che si tratta di un approccio
molto schematico - va detto che se per Dostoevskij il nichilismo si definisce in
una chiave che è essenzialmente religiosa, per Nietzsche esso viene ad assumere
per lo più una tonalità estetizzante, che si affianca alle motivazioni
propriamente tragiche del suo pensiero, e rende anche in parte conto della sua
attualità sulla scena filosofica contemporanea. Il cristianesimo è in ogni
caso la base sulla quale entrambi formulano la diagnosi del nichilismo
contemporaneo. Per Dostoevskij il "colpevole" è una visione
anticristica del cristianesimo che condanna - come esemplarmente avviene nella
Leggenda del Grande Inquisitore - a una sorta di totale deresponsabilizzazione
dell'uomo nei confronti del dolore e del male. Per Nietzsche le cose non vanno
poi del tutto diversamente in quanto, un'altra volta, è il cristianesimo, un
certo cristianesimo il colpevole: quello che ha trasformato, sotto l'egida
dell'apostolo Paolo, in una chiave morale ed escatologica l'attitudine
creaturale di Cristo. Tuttavia - e il tuttavia ha qui un peso centrale - per
quanto affini possano esser le diagnosi le prognosi sono profondamente diverse.
Poiché a seconda delle descrizioni del cristianesimo e della sua influenza
sulla cultura europea, le visioni si differenziano profondamente. Se, per
Nietzsche infatti si tratta di abolire la tradizione cristiana in quanto essa è
stata la scaturigine del nichilismo, per Dostoevskij si tratta invece d'inverarla.
Se Nietzsche pensa l'oltrepassamento del cristianesimo (e del nichilismo) in
un'ottica che prelude all'odierna "estetizzazione del mondo della
vita", nell'orizzonte plurale e prospettivistico della volontà di potenza,
per Dostoevskij si ha invece da fare con una sorta di détour interno al
cristianesimo stesso che lo conduce dal nichilismo a un'ottica che vede nello
scandalo della "sofferenza inutile" l'occasione di un paradossale
rovesciamento, la chance antinichilistica simboleggiata dall'"altro"
scandalo, quello paolino della Croce.
Ora se questo era l'interrogativo, la proposta che si era rivolta ai relatori
del seminario, l'effettivo svolgimento dei lavori ha di gran lunga trasceso
l'alternativa così impostata, addentrandosi nei cammini molteplici dei due
"nichilismi". Per ricostruire brevemente il quadro dei lavoro, si è
affrontata la questione innanzitutto sul piano etico-religioso, per venire poi a
quello propriamente filosofico e quindi a quello estetico-letterario.
È così che Paul Valadier, in Forme cristiane del nichilismo, mostra
l'intrinseca articolazione e problematicità del nesso nichilismo-cristianesimo
in Nietzsche, laddove il cristianesimo non è univocamente nichilistico agli
occhi dell'autore dell'Anticristo, poiché non è l'insegnamento di Cristo
stesso ma quello paolino orientato in questo senso. D'altra parte l'abisso della
negazione nichilistica neppure, forse, agli occhi di Nietzsche è del tutto
superabile poiché essa si radica nelle ambiguità irredimibili dell'umano.
Giuseppe Riconda si sofferma invece nel suo contributo su Dostoevskij e il
nichilismo nell'interpretazione di Luigi Pareyson. Il problema è, fra l'altro,
come concepire nichilismo e ateismo in una chiave che non sia a sua volta
nichilistica o ateistica, e ciò avviene, nel pensiero di Pareyson, sulla base
di un ampio confronto con la tradizione filosofica, che prende le mosse da
Kierkegaard e Feuerbach, e che ha in Dostoevskij uno dei propri costanti punti
di riferimento. Se intendiamo ateismo e nichilismo, al di fuori di
un'ermeneutica religiosa, come affermazioni assolute, esse. risultano proposte
monche anche se, nella loro assolutezza, intimamente necessarie. Considerati
infatti indipendentemente dal loro carattere di scelta cui è coessenziale la
libertà, essi si affermano in quanto tali, nel loro carattere quasi assiomatico
e dottrinario: ovvero in quanto ateismo e nichilismo. Concepiti invece entro il
discorso dell'ermeneutica religiosa essi appartengono a quella contemporaneità
al Cristo "mentre si è figli dell'angoscia e del dubbio" che
riformula il loro interrogativo. L'ermeneutica religiosa ripropone infatti
l'abisso propriamente tragico che essi sembrerebbero negare o rimuovere.
Sossio Giametta sottolinea, per parte sua, le ambiguità insite nel nichilismo
nietzschiano: Nietzsche come principale rappresentante della crisi europea è
colui il quale partecipa profondamente di quel fenomeno, il nichilismo, del
quale vorrebbe intendersi come antagonista. Nietzsche è e resta un Giano
bifronte che pone questioni assolutamente rilevanti e inaggirabili ma che non è
in grado di fornire loro una soluzione adeguata. Egli ci pone dinanzi al
nichilismo, alla consapevolezza della inarrestabile disgregazione, dello
scindersi delle compagini culturali e politiche in Machtquanten, in quanti di
potenza, ma, degno figlio del deserto nel quale si è inoltrato, non è in grado
di elaborare risposte persuasive al problema da lui stesso sollevato. La stessa
dottrina dell'eterno ritorno dell'eguale rappresenta, da questo punto di vista,
una contraddizione in termini. 0 l'eterno ritorno è infatti da sempre, e dunque
il nichilismo è sua volta già da sempre superato e insussistente, oppure
l'eterno ritorno non può esser presentato come un orizzonte al quale riferirsi
assiologicamente.
Al di là di ogni considerazione prognostica, è comunque il luogo del
nichilismo quello che resta ancora una volta da identificare e definire, la sua
ambigua topologia; ed è quanto si propongono i contributi di Reinhard Lauth, I
Demoni come esplicazione omeotetica del nichilismo e di Vincenzo Vitello,
Dall'apocalisse di Kirillov al silenzio del prigioniero. L'etica moderna e il
nichilismo. Nel primo di questi contributi le origini più remote del
nichilismo, che trova in Dostoevskij uno dei momenti se non il momento cruciale
della propria maturazione, è riposto nella filosofia schellinghiana che muove
dal principio dell'assoluto in quanto indifferenziato quale vero elemento
fondante l'orizzonte nichilistico. Schelling dunque e non Fiche, come avrebbe
voluto Jacobi, è per così dire l'imputato principale. Infatti è proprio il
principio dell'originaria indifferenza degli opposti che, in lungo cammino che
passa anche attraverso Schopenhauer, giunge a piena maturazione in Dostoevskij
ove la questione assume un volto morale e matura dunque compiutamente. Giunti a
questo stadio del cammino ci si avvede che l'indifferentismo ontologico ed etico
è il principio nichilistico per eccellenza che va a erodere la più autentica
compagine del Sé. La topologia del nichilismo acquisisce un volto propriamente
topologico e insieme tragico nell'analisi di Vincenzo Vitiello, secondo il quale
esso deriva essenzialmente dalla relazione conflittuale di ethos e lex, di
paganesimo e cristianesimo. Il nichilismo sorge, in altri termini, dal
trascendimento del formalismo della legge (connesso alla tradizione
ebraico-cristiana) che cerca quell'ethos che non può darsi che nell'altrove
amoroso del conflitto. L'unico passo che consenta di uscire da questa logica,
che è per l'appunto una topo-logia, e cioè una logica che fonda la vicenda
storica su invarianti di un presente epistemico (ethos lex nel caso del
nichilismo), è quello che conduce alla passività radicale, e cioè a
un'illuminazione del finito nella sua essenziale finitezza, quale è
simbolizzata dal Cristo senza braccia della Frauenkirche di Trier. Ma questo non
è un cammino, non è una via; siamo per l'appunto anche al di là della
topologia, e della sua intrinseca conflittualità, in quanto radice del
nichilismo.
Le preoccupazioni diagnostiche e prognostiche hanno spesso oscurato le
motivazioni scientifiche del nichilismo, in particolare di quello nietzschiano.
Esse vengono ampiamente esposte e discusse da Francesco Moiso in Scienza e
moralità in Nietzsche con uno studio che s'inoltra nell'epistemologia e nella
scienza contemporanee a Nietzsche, ove si rileva un motivo di notevolissimo
rilievo, e cioè che le radici del nichilismo nietzschiano non sono riposte solo
nel cristianesimo ma anche nei 'fondamenti stessi della fisica". Si tratta
di una tesi che, a ben vedere, assevera paradossalmente e in modo ulteriore il
carattere di Weltanschauung del nichilismo.
Per venire ora a un ulteriore e ultimo risvolto della questione, ultimo
quantomeno in questo contesto, che nel nichilismo si annidino delle profonde
radici estetiche, o che il nichilismo stesso sia dotato di un'intrinseca cifra
estetica, è qualcosa che indubbiamente non può stupire chi abbia dimestichezza
con la sua storia e con le sue più remote radici nel romanticismo tedesco. Non
sono tuttavia queste più remote radici a essere tematizzate nell'ambito di
questo convegno, ma, del resto conformemente al tema proposto, le sue ricadute
più tarde, e le prospettive più recenti. In particolare Aldo Giorgio Gargani
si sofferma, nel suo ampio saggio su Esistenza e scrittura in Thomas Bernhard,
sul carattere che potrebbe definirsi salvifico della scrittura per Bernhard. La
parola per Bernhard non designa la verità, anche e innanzitutto in quanto della
verità dell'essere non può dirsi; si tratta infatti di un'irredimibile
pluralità che si sottrae alla connotazione e alla designazione. Su questa via
non solo non è consentita conciliazione alcuna di soggetto e mondo ma il
soggetto stesso è votato all'opacità; e la scrittura letteraria costituisce il
limite estremo di questo cammino estraniante. Paradossalmente tuttavia la
finzione narrativa, l'essere passivo della fictio costituisce, in questo quadro,
anche l'estremo lembo di una salvezza possibile che non coincide appunto con la
verità, ma con quell'essere agito che è l'identificazione narrativa.
Per parte sua Aleksandr Danilevskij si è soffermato nella sua relazione sul
significato di Dostoevskij per lo sviluppo del romanzo neomitologico, in
particolare per ciò che concerne Scimmie di Aleksej Remisov.
Come si può desumere da questo breve quadro illustrativo, è ben difficile dire
in che misura le ricche proposte teoriche e interpretative dei partecipanti a
questo convegno abbiano fornito una risposta all'interrogativo inizialmente
proposto. Esso si è piuttosto arricchito di motivi che non derivano
necessariamente dallo schema interpretativo iniziale, e che invece inducono a
modificarlo. E possibile che ciò dipenda non per ultimo dal fatto che il
nichilismo costituisce un fenomeno ancora così intrinsecamente vivo da rendere
impossibile ogni tentativo di tradizionalizzarlo entro ipotesi interpretative
per altro autorevoli, Potrebbe esser questo un esito ultimo del nichilismo che
si rispecchia anche nel suo volto storiografico? Quasi si trattasse di un nuovo
Proteo che non resiste alla tentazione di modificare ogni volta il proprio volto
per sopravvivere a se stesso?
Il convegno è stato organizzato dal "Goethe-Institut Turin", dal
"Dipartimento di Filosofia" dell'Università di Milano, dal
"Dipartimento di Discipline Filosofiche" dell'Università di Torino,
dal "Dipartimento di Scienze Filosofiche e Storico-sociali"
dell'Università di Udine e dal "Centro Studi Filosofico-religiosi Luigi
Pareyson", con il contributo della Regione Piemonte, dell'Università di
Torino e con il patrocinio del "Consiglio Regionale del Piemonte". A
tutti coloro che hanno contribuito all'iniziativa va il nostro più vivo
ringraziamento
.
Claudio Ciancio - Federico Vercellone