Epicuro

Un giardino, fichi, piccoli formaggi e insieme tre o quattro buoni amici: fu questa la sontuosità di Epicuro. (Umano, troppo umano)

Epicuro ha vissuto in tutti i tempi, e vive ancora, sconosciuto a quelli che si dissero e si dicono epicurei, e senza fama presso i filosofi. Del resto egli stesso dimenticò il suo nome: fu il bagaglio più pesante che avesse mai gettato via. (Umano, troppo umano)

Sì, sono fiero di sentire il carattere di Epicuro in modo diverso, forse, da chiunque altro, e soprattutto di gustare in tutto ciò che di lui leggo e ascolto la gioia pomeridiana dell'antichità - vedo il suo occhio che guarda un vasto,albicante mare, oltre gli scogli delle coste su cui si posa il sole, mentre grandi e piccole fiere giuocano nella sua luce, sicure e placide come questa luce e quell'occhio stesso. Una tale gioia l'ha potuta inventare solo un uomo che ha perpetuamente sofferto, la gioia di un occhio davanti al quale il mare dell'esistenza si è quietato e che non si sazia più di guardare la sua superficie, e questo screziato, tenero, abbrividente velo di mare: non era mai esistita prima di allora una tale compostezza della voluttà. (La gaia scienza, af. 45)

La lotta contro la 'fede antica' intrapresa da Epicuro fu, in senso stretto, una lotta contro il cristianesimo preesistente- lotta contro il vecchio mondo intristito, moralizzato, inacidito da sentimenti di colpa, diventato decrepito e infermo. (La volontà di potenza, af. 438)

L'epicureo si sceglie la situazione, le persone e perfino gli avvenimenti che si armonizzano con la sua costituzione intellettuale estremamente eccitabile, egli rinuncia al resto, vale a dire al più, perchè sarebbe per lui un cibo troppo forte e pesante. (La gaia scienza, af.306)

Epicuro, l'acquietatore d'anime della tarda antichità, comprese meravigliosamente, come ancor oggi così raramente si comprende, che per tranquillizzare l'animo non é affatto necessario risolvere le ultime ed estreme questioni teoriche. Sicchè a coloro che erano tormentati dalla 'paura degli dèi', gli bastava dire:" se ci sono gli dèi, essi non si preoccupano di noi ",- invece di disputare sterilmente e da lontano sulla questione suprema, se ci siano in genere dèi. Questa posizione é molto più favorevole e forte: si danno all'altro alcuni passi di vantaggio, rendendolo così più pronto ad ascoltare e a ponderare. Ma non appena quegli si accinge a dimostrare il contrario,- che gli dèi si preoccupano di noi,- in quali errori e intrichi spinosi non dovrà cadere il misero, affatto da sè, senza astuzia da parte dell'interlocutore? Costui deve solo avere abbastanza umanità e finezza da nascondere la sua compassione per questo spettacolo. Da ultimo l'altro giunge alla nausea, l'argomento più forte contro quella proposizione, alla nausea per la sua stessa affermazione; si raffredda e va via con lo stesso stato d'animo che é anche dell'ateo puro: "cosa importa poi a me degli dèi? Che il diavolo se li porti!".- In altri casi, specie quando un'ipotesi a metà fisica e a metà morale aveva offuscato l'animo, egli non confutava questa ipotesi, bensì ammetteva che poteva essere così, ma che per spiegare lo stesso fenomeno c'era ancora una seconda ipotesi; e che forse la cosa poteva stare ancora diversamente. Anche nel nostro tempo la pluralità delle ipotesi, per esempio sull'origine dei rimorsi della coscienza, basta per togliere dall'anima quell'ombra che così facilmente nasce dal ruminare un'ipotesi unica, la sola visibile, e pertanto cento volte sopravvalutata. - Chi dunque desidera largire conforto, a infelici, malfattori, ipocondriaci, morenti, si ricordi delle due espressioni tranquillizanti di Epicuro, che si possono applicare a moltissime questioni. Nella forma più semplice esse suonerebbero all'incirca: primo: posto che la cosa stia così, non ce ne importa niente; secondo: può essere così, ma può anche essere diversamente. (Il viandante e la sua ombra; af.8)