«Tutto
ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde hanno per l'immagine
e l'allegoria perfino dell'odio. (...) Ogni spirito profondo ha bisogno di una
maschera: e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente
una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale
interpretazione di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà.»
La maschera è dunque un mezzo ambiguo, dietro il quale da un lato la verità
ama nascondersi per salvaguardare la propria profondità; ma che dall'altro
noi utilizziamo per non vedere la realtà, per sfuggire da essa.
Secondo Schopenhauer
ciascuno di noi è abitato da una doppia soggettività: la soggettività della
specie che impiega gli individui per il suo interesse che è poi quello della
propria conservazione e riproduzione, e la soggettività dell'individuo che si
illude di disegnare un mondo in base ai suoi progetti che altro non sono se non
illusioni per vivere e non vedere che a cadenzare il ritmo della vita è
l'immodificabile esigenza della specie.
Questa doppia soggettività viene codificata dalla psicoanalisi dalle parole
"Io" e "inconscio". Nell'inconscio è custodita la verità
dell'esistenza, nell'Io e nella sua progettualità l'illusione concessa
all'individuo per vivere. La psicoanalisi, quindi, strutturando il suo edificio
sulla dialettica tra le due soggettività, è un evento del pensiero
romantico.
La lezione fu accolta da Nietzsche che considera Schopenhauer suo
"educatore" e da Freud che lo considera
suo "precursore".
L'assunto di Schopenhauer è che la vita" e la "verità" non
possono coesistere, perché se la verità della vita dell'individuo è nel suo
essere strumento della conservazione della specie, l'individuo per vivere deve
illudersi, indossando quella maschera che chiama "Io", e quindi
fuoriuscire dalla verità della sua vita.
In questa condizione Nietzsche scorge l'essenza del
"tragico".
Freud non conosce la "tragedia" perché, da clinico, guarda alla
"salute", alla salute dell'umanità media che la maschera della
religione e di certa filosofia aveva già salvato prima di lui, sottraendola
alla visione del tragico, in cui è custodita la "verità"
dell'esistenza che rende la "vita" impossibile.
Dopo avere elencato le due grandi mortificazioni che l'umanità ha conosciuto nella sua storia:
la prima "quando ha scoperto che la sua terra non è il centro dell'universo", | |
la seconda "quando la ricerca biologica gli dimostrò la sua provenienza dal regno animale togliendogli la pretesa posizione di privilegio nell'universo", |
Freud enuncia la terza:
"La più scottante mortificazione l'umanità è destinata a subirla da parte dell'odierna indagine psicologica, la quale ha l'intenzione di dimostrare all'Io che egli non è padrone in casa propria. Questo richiamo non siamo stati noi psicoanalisti né i primi né i soli a proporlo, ma sembra che tocchi a noi sostenerlo nel modo più energico e corroborarlo con materiale clinico". |
Il riconoscimento di
Freud tende ad abolire una distanza che rimane abissale, ricopre la verità con
un'altra maschera, la maschera della guarigione e della salute per quanti non
hanno il coraggio del tragico.
Nietzsche è più coerente con Schopenhauer, suo "educatore" di quanto
non lo sia Freud che pure lo considera suo "precursore", perché,
gettando la maschera dell'illusione, che sola consente la vita, Nietzsche getta
anche la verità:
"Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? Forse quello apparente? Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!".
Non c'è più storia e non c'è più sapere se non come liberazione di tutte le maschere, senza nessuna serietà, perché il tragico è stato visto nella sua essenza ineliminabile e non addolcito nella metafora della malattia da cui si può anche guarire. Con Schopenhauer il disincanto ormai è accaduto e con le maschere si può solo giocare. Freud, buon lettore di Schopenhauer, è stato cattivo lettore di Nietzsche:
"Nello sforzo di capire un filosofo - scrive Freud - ho sempre pensato che sarebbe stato inevitabile impegnarsi nelle sue idee e sottoporsi alla sua guida durante il proprio lavoro. Per questo ho rifiutato lo studio di Nietzsche, anche se mi era chiaro che potevano essere trovate in lui concezioni molto simili a quelle della psicoanalisi".
Simili sì, ma divaricanti. Infatti una volta assunta l'ipotesi schopenhaueriana restano due vie praticabili:
o la "rinuncia" ad assecondare il gioco della natura, come vuole l'ascesi di Schopenhauer che, scoperto l'inganno, non vuole restare irretito nella sua trama, | |
o l'"accettazione" del gioco della natura con conseguente liberazione di tutte le illusioni, di tutti gli inganni: in termini nietzscheani, come liberazione del dionisiaco, perché "tutto ciò che è profondo ama la maschera", e quindi: "Dammi ti prego una maschera ancora, una seconda maschera". |
Di fronte a queste due vie, Freud tenta l'ipotesi più ardita: la "scoperta delle regole del gioco", mentre per Nietzsche la via da seguire è l'accettazione delle regole della natura.
Ecco dunque che per Nietzsche la massima è: "Diventa ciò che sei". La libertà dell'oltreuomo è una ricchezza di possibilità diverse, da qui appunto la rinuncia ad ogni certezza assoluta e da qui anche la profondità tipica dell'oltreuomo, l’impossibilità di definire e giudicare la vita interiore, dalla quale non si attinge altro che la maschera.
Il concetto di maschera è uno dei fili
conduttori del pensiero di Nietzsche, in quanto da questo concetto si sviluppano
i temi essenziali della sua filosofia.
Il problema della maschera è il problema del rapporto tra essere e apparenza,
tematica che il filosofo trova già elaborata nel pensiero di Schopenhauer:
l'idea antihegeliana dell'impossibilità di una coincidenza tra essere e
apparire è tema dominante nella concezione del mondo come volontà e
rappresentazione.
Frutto dell'inevitabile divergenza tra essere e apparire è la maschera.
Confrontando diversi modelli di vita presente e passata Nietzsche vede la vita
presente caratterizzata dalla decadenza, intesa non come mancanza di
bellezza, ma come assenza di unità stilistica, assenza di coerenza tra forma e
contenuto. Per questo ad un osservatore la forma non può apparire che come
travestimento.
Il travestimento è qualcosa che non appartiene all'uomo naturalmente, ma che si
assume deliberatamente in vista di qualche scopo: nell'uomo moderno questo
travestimento viene assunto per combattere uno stato di paura e di debolezza.
Tale paura ha radici specifiche nell'eccesso di cultura storica e
nell'affermarsi del sapere scientifico: la finzione, nella sua accezione più
generale, copre il dissimularsi e l'escogitare finzioni utili quali i concetti
scientifici, ed è in ogni caso legata alla paura, alla insicurezza, alla lotta
per l'esistenza.
Ma la questione più interessante è cercare
di capire come la decadenza si sia potuta produrre. Questo equivale a chiedersi
come la libera plasticità della maschera dionisiaca si sia potuta irrigidire in
forme contrapposte apollinee vero-falso, nella bugia e nel travestimento.
La storia della fine della tragedia greca, che Nietzsche ricostruisce facendo
centro sulla figura di Socrate, rende conto dell'origine del significato
dell'evento (la minuziosa riproduzione della realtà sulla scena del teatro
greco, ha presupposto l'idea che essa sia un tutto ordinato razionalmente).
Socrate è colui che rivendica per primo la possibilità di distinguere tra
verità ed errore e in questo si incarna in qualche modo il processo della
fissazione di vero e falso.
Storicamente il socratismo appare a Nietzsche legato al costruirsi di un sistema
politico: Socrate infatti è strettamente legato allo sviluppo della supremazia
ateniese; in assenza di questa sarebbe rimasto un anonimo sofista. L'ottimismo
di Socrate si fondava sull'idea che il singolo fosse inserito entro un sistema
razionale. Predicando che c'è un ordine razionale dell'essere e che il giusto
non ha nulla da temere, Socrate fa coincidere la razionalità con la felicità.
Ecco che quindi il razionalismo socratico si sviluppa sia come teoria sia come
forza pratica di integrazione sociale.
La storia del razionalismo, cioè della nostra civiltà, appare a Nietzsche
ricostruibile in termini di violenza: violenza dell'integrazione sociale, della
fissazione dei ruoli, di regole logiche per stabilire cosa è vero e cosa è
falso su basi assolutamente arbitrarie. L'uomo socratico paga il raggiungimento
di una certa sicurezza esistenziale con l'inserimento dentro un ordine rigido
che sfugge al suo controllo.
A questo punto le apparenze, nel loro contrapporsi alle pretese di un'unica
verità, diventano il modo in cui esprimere liberamente la creatività
dionisiaca.
L'arte ha assunto significato nella storia della nostra civiltà solo nella misura in cui si è fatta portatrice di contenuti religiosi
Non senza dolore si ammette che gli artisti di tutti i tempi hanno portato a celeste trasfigurazione proprio quelle idee che noi oggi riconosciamo come false: essi sono gli esaltatori degli errori religiosi e filosofici dell'umanità, e non sarebbero potuti esserlo senza la fede nell'assoluta verità di questi errori (Colli Montinari, F. Nietzsche, Umano troppo umano, vol I pg. 220)
Attraverso il suo riferimento a prospettive
metafisiche come quella del carattere apparente del mondo, e dell'esistenza di
qualcosa di permanete nell'essere, l'arte opera in senso rassicurativo in modo
analogo alla metafisica.
Ma c'è un genere di rassicurazione che è peculiare dell'arte: la sua capacità
di rovesciamento del mondo di tensione che caratterizza la nostra vita.
Rappresentando l'assurdo ci libera momentaneamente dalla costrizione del
necessario.
Nel carattere effimero di questa consolazione risiede la contraddittorietà
dell'arte nel mondo presente e la radice del suo tramonto, al pari della
metafisica, della morale, della religione.
L'arte ne risulta però più avvantaggiata: nell'arte, più che nelle altre
forme, si fa sentire la relativa autonomia del simbolico nella società della ratio
socratica.