Mill

In Goethe c'è una specie di fatalismo quasi gioioso e fiducioso, che non si rivolta, che non si stanca, che cerca di formare una totalità da se medesimo, persuaso che solo nella totalità tutto si redima e appaia buono e giustificato.

Contro John Stuart Mill. Io ho i orrore la sua volgarità, quella che dice: 'ciò che é giusto per l'uno, è conveniente per l'altro; non fare ad altri ciò che non vuoi, ecc.'; che vuole fondare tutti i rapporti umani sulla reciprocità della prestazione, così che ogni azione appare come una specie di pagamento per un servizio reso. Qui la premessa é ignobile, nel senso peggiore del termine: qui viene presupposta per me e per te l'equivalenza delle nostre azioni, é semplicemente annullato il valore più personale di un'azione (ossia ciò che non può venire compensato o ripagato da nulla). La 'reciprocità' é estremamente volgare: proprio il fatto che ciò che io compio non possa, nè di diritto nè di fatto, essere compiuto da un altro, il fatto che non ci possa essere alcuna compensazione (fuorchè nella elettissima sfera dei 'miei pari', inter pares); il fatto che, in un senso più profondo, non si restituisca mai, perchè si é unici e si compiono solo azioni uniche- in questo fatto, in questa convinzione fondamentale consiste il motivo dell'isolamento aristocratico della moltitudine, perchè la moltitudine crede all''uguaglianza' e quindi alla compensazione e alla 'reciprocità'. (La volontà di potenza, af. 926)

"Siamo indulgenti con i grandi uomini da un occhio solo!" ha detto Stuart Mill: come se fosse necessario sollecitare indulgenza, laddove si é abituati a tributare loro fede e quasi adorazione! Io dico: siamo indulgenti verso chi ha due occhi, grande o piccolo che sia, perchè più in alto dell'indulgenza, così come noi siamo, certo non arriveremo. (Aurora, af. 51)