La cosa più bella che io
sappia dire in lode all'uomo Shakespeare é questa: egli ha creduto in Bruto, e
non un granello di diffidenza ha gettato su questo tipo di virtù! A lui ha
consacrato la sua migliore tragedia- la si continua sempre ancor oggi a chiamare
con un falso nome-, a lui e al più terribile compendio dell'alta morale.
Indipendenza dell'anima!- di questo si tratta! Nessun sacrificio può essere in
questo caso troppo grande: ad essa bisogna saper sacrificare anche l'amico più
diletto, fosse anche per giunta l'uomo più splendido, il vanto del mondo, il
genio senza eguali- quando si ama, cioè, la libertà, come la libertà di anime
grandi, e attraverso l'amico un pericolo minaccia questa libertà- in questo
modo deve aver sentito Shakespeare! L'altezza alla quale innalza Cesare é il più
squisito onore che potesse rendere a Bruto: soltanto così conferisce immensità
di proporzioni al problema interiore di questo come al pari della forza
spirituale che fu capace di tagliare questo nodo!- E fu realmente la libertà
politica a spingere questo poeta a simpatizzare con Bruto- a condividerne la
colpevolezza? Oppure la libertà politica fu solo un simbolo per qualcosa
d'inesprimibile? Ci troviamo forse di fronte a un qualche oscuro evento, rimasto
sconosciuto, e ad un'avventura dell'anima stessa del poeta, di cui egli solo per
segni poteva parlare? Che cosa é tutta la melanconia di Amleto di fronte alla
melanconia di Bruto!- E forse Shakespeare conosceva anche questa, come quella,
per esperienza! Forse anche lui come Bruto aveva le sue ore fosche e il suo
angelo malvagio!- Ma, comunque possano essersi configurate tali analogie e
correlazioni segrete, Shakespeare si prosternò davanti all'intera figura e alla
virtù di Bruto e si sentì indegno e lontano: nella tragedia ha inscritto la
testimonianza di tutto questo. In essa per due volte ha introdotto un poeta e
per due volte ha versato su di lui un tale impaziente ed estremo disprezzo che
suona come un grido- come il grido di dispregio di se stesso. Bruto, Bruto
stesso perde la pazienza quando appare il poeta, presuntuoso, patetico,
importuno, come sono soliti esserlo i poeti, una persona che pare traboccare di
possibilità di grandezza, anche di grandezza etica, e che tuttavia, nella
filosofia dell'azione e della vita, raramente giunge sia pure alla comune onestà.
'Lui conoscerà i tempi, ma io conosco le sue fisime- via da me quel pagliaccio
coi sonagli!' grida Bruto. Si riporti questo all'anima del poeta che lo scrisse.
(La gaia scienza, af. 98)
Shakespeare come moralista. Shakespeare ha molto
meditato sulle passioni e ha anche avuto, per il suo temperamento, assai facile
accesso a molte di esse (i drammaturghi sono in genere uomini alquanto cattivi).
Ma egli non sapeva, come Montaigne, parlare di esse, e pose invece le
osservazioni sopra le passioni in bocca a personaggi appassionati: il che
veramente é contro natura, ma rende i suoi drammi così densi di pensiero, da
fare apparire vuoti tutti gli altri e da suscitare facilmente una generale
avversione contro di loro. Le sentenze di Schiller (alla cui base stanno quasi
sempre idee false o insignificanti) sono appunto sentenze da teatro e producono
sempre come tali un effetto molto forte, mentre le sentenze di Shakespeare fanno
onore al suo modello Montaigne e contengono in forma concisa pensieri serissimi,
ma perciò troppo lontani e sottili agli occhi del pubblico dei teatri, cioè
sono inefficaci. (Umano, troppo umano; af. 176)