Così parlò Zarathustra

La stesura dell'opera Cosi' parlo' Zarathustra viene iniziata nel 1883. L'inizio racconta di tre metamorfosi che rappresentano il cammino di pensiero in cui si muove Nietzsche per comprendere il mondo. In esse lo Spirito si fa anzitutto cammello, porta il peso della tradizione e dei valori a cui essa fa riferimento, e si impegna a sopportarli; in seguito diviene leone, rigetta il peso dell'eredita' trasmessa, distrugge e lotta contro i pregiudizi; infine si muta in fanciullo la cui emancipazione dalla tradizione,  permette la creazione di nuovi valori.  

"Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo. Molte cose pesanti vi sono per lo spirito, lo spirito forte nel quale abita la venerazione: la sua forza anela verso le cose pesanti, piu' difficili a portare. Che cosa e' gravoso? domanda lo spirito paziente e piega le ginocchia, come il cammello, e vuol essere ben caricato. Qual e' la cosa piu' gravosa da portare eroi? cosi' chiede lo spirito paziente, affinche' io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza. Non e' forse questo: umiliarsi per far male alla propria alterigia? Far rilucere la propria follia per deridere la propria saggezza? Oppure e': separarsi dalla propria causa quando essa celebra la sua vittoria? Salire sulle cime dei monti per tentare il tentatore? Oppure e': nutrirsi delle ghiande e dell'erba della conoscenza e a causa della verita' soffrire la fame dell'anima? Oppure e': essere ammalato e mandare a casa coloro che vogliono consolarti, e invece fare amicizia coi sordi che mai odono cio' che tu vuoi? Oppure e': scendere nell'acqua sporca, purche' sia l'acqua della verita', senza respingere rane fredde o caldi rospi? Oppure e': amare quelli che ci disprezzano e porgere la mano allo spettro quando ci vuole fare paura?
Tutte queste cose, le piu' gravose da portare, lo spirito paziente prende su di se': come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, cosi' corre anche lui nel suo deserto.
Ma la' dove il deserto e' piu' solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua liberta' ed essere signore nel proprio deserto. Qui cerca il suo ultimo signore: il nemico di lui e del suo ultimo dio vuol egli diventare, con il grande drago vuol egli combattere per la vittoria. Chi e' il grande drago, che lo spirito non vuole piu' chiamare signore e dio? "Tu devi" si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice "io voglio". "Tu devi" gli sbarra il cammino, un rettile dalle squame scintillanti come l'oro, e su ogni squama splende a lettere d'oro "tu devi". Valori millenari rilucono su queste squame e cosi' parla il piu' possente dei draghi: "tutti i valori delle cose - risplendono su di me". "Tutti i valori sono gia' stati creati, e io sono - ogni valore creato. In verita' non ha da essere piu' alcun "io voglio"!". Cosi' parla il drago. Fratelli, perche' il leone e' necessario allo spirito? Perche' non basta la bestia da soma, che a tutto rinuncia ed e' piena di venerazione? Creare valori nuovi - di cio' il leone non e' ancora capace: ma crearsi la liberta' per una nuova creazione - di questo e' capace la potenza del leone. Crearsi la liberta' e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, e' necessario il leone. Prendersi il diritto per valori nuovi - questo e' il piu' terribile atto di prendere, per uno spirito paziente e venerante. In verita' e' un depredare per lui e il compito di una bestia da preda. Un tempo egli amava come la cosa piu' sacra il "tu devi": ora e' costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose piu' sacre, per predar via liberta' dal suo amore: per questa rapina occorre il leone.
Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? Perche' il leone rapace deve diventare un fanciullo?
Innocenza e' il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di si'. Si', per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di si': ora lo spirito vuole la sua volonta', il perduto per il mondo conquista per se' il suo mondo.
Tre metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello, leone il cammello, e infine il leone fanciullo."
(
F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra; tr., Trento, Mondadori 2000, pp. 20-21)

Così parlò Zarathustra è l’opera che riassume il pensiero dell’ultima fase intellettuale di Nietzsche. L’opera è scritta secondo un modello che richiama lo stile del Nuovo Testamento e questa scelta di stesura in forma profetica ci fa intuire come Nietzsche , da questo periodo della sua vita in poi, si senta investito di un compito epocale, una convinzione di dover provocare un mutamento radicale di civiltà, mutamento concepito in solitudine e in un totale isolamento intellettuale. Attualmente è possibile capire che in questo Nietzsche non esagerava poi molto e quando in Ecce homo scrive "Perché io sono un destino" sembra predire la vastissima risonanza che le sue opere hanno avuto e continuano ad avere in tutto il mondo.

Talvolta guardo la mia mano, pensando di avere in mano il destino dell’umanità: lo spezzo invisibilmente in due parti, prima di me, dopo di me (Frammenti postumi 1888 - 1889).

Lo stile profetico dell’opera, i toni che a tratti possono apparire esaltati a chi è abituato a ragionare in una logica intellettuale "costretta" in schemi, hanno fatto pensare ad illustri autori che è lecito trovare un legame tra l’opera della maturità di Nietzsche e la sua pazzia. Jaspers e Lö witz vedono i segni della pazzia in tutti quei tratti di pensiero che in una logica comune sembrano impossibili da concretizzarsi e per Klossowski è la pazzia che porta Nietzsche ad affrontare la tematica della distruzione di tutti i valori, anche quello della propria identità! Ma allora dobbiamo pensare che per un secolo intero si sia perso tanto tempo e si siano scritte migliaia di opere sul pensiero di un pazzo ?  E’ invece verosimile pensare che tutto questo interesse sia scatenato dal fatto che in tutta la letteratura universale non è mai esistita una figura più affascinante, non è mai esistito un fenomeno di tanta straordinaria pienezza e complessità culturale, eppure così difficile da capire perché stravolge tutti i canoni della apparente ragionevolezza. Dunque ben venga una pazzia che dona tanta lucidità di pensiero, che arricchisce di tante doti spirituali e culturali, che ci regala opere mirabili! Pazzia o saggezza a parte, dobbiamo prendere atto che è il primo pensatore a capire il nichilismo, i suoi considerevoli effetti sul presente e le sue conseguenze, passate inosservate ai suoi contemporanei. Non solo, ma lo fa in modo conseguente, inserendolo in un progetto mirante ad un avvenire che è ancora sconosciuto quasi a tutti, ma che inevitabilmente un giorno sarà, un giorno che vedrà la "trasvalutazione di tutti i valori". Si carica così del compito sovrumano di far intendere a tutti la logica elementare del nichilismo, pur nella consapevolezza che pochi avranno orecchie per intendere:

Questo libro si conviene a pochissimi. Forse di questi non ne vive ancora nessuno. Potrebbero essere quelli che comprendono il mio Zarathustra: come potrei confondermi con coloro per i quali già oggi vanno crescendo orecchi? A me si conviene solo il dopodomani. C’è chi è nato postumo (L’Anticristo).

La verità insita in queste parole è comprensibile, se si pensa che il suo pensiero è stato frainteso per oltre mezzo secolo dopo la sua morte e che si è cominciato a capirlo solo grazie alle recenti interpretazioni date della sua opera da M. Heidegger. Lode dunque a quel pazzo che riesce a pensare ad un’umanità finalmente libera da vincoli morali. Ma che cosa significa pensare ad una umanità libera da vincoli morali? Significa si "trasvalutazione di tutti i valori", ma anche significa per Nietzsche la difficile e implacabile necessità di dover interrogarsi sul proprio posto nella storia, significa divisione profonda tra un corpo che vive in un’epoca e una mente che vive molto oltre, significa riesaminare il processo della conoscenza che va rivisto e risistemato in una logica che procede oltre Kant, oltre Hegel, oltre ogni tempo e ogni pensiero. Anche la sua stessa malattia dimostra quello che è un pilastro del suo pensiero, cioè che non esistono fatti, ma solo interpretazioni: si può interpretare la malattia come sofferenza o come mediocrità fisica e spirituale, ma si può interpretare la malattia anche come un destino di genio, come un’avventura intellettuale senza precedenti. Così parlò Zarathustra è un’opera concepita in quattro parti: la prima è dedicata alla distruzione della morale platonico - cristiana, che è una morale di dominio, la seconda parte è dedicata alla redenzione, la terza e la quarta alla dottrina del ritorno. Già nelle opere giovanili Nietzsche mette in luce l’essenza contraddittoria della ratio socratica, che si è con il tempo trasferita nella morale cristiana e nella metafisica. Per Nietzsche l’autentico pensiero è quello che va da Talete ai Sofisti, viene condannata invece totalmente la filosofia greca da Socrate in poi. Socrate, l’eroe anti - tragico per eccellenza, instauratore della dialettica, filosofo della decadenza, rappresenta la negazione della cultura ellenica e il fondatore della morale in quanto porta nella mentalità greca una visione razionale del mondo e delle vicende umane, secondo la quale "al giusto non può accadere nulla di male". Conseguenza di tale contraddizione è l’affermarsi dei concetti di vero e falso, buono e cattivo, concetti finalizzati alle esigenze sociali, anzi è proprio su di essi che si regge la società. Basta infatti pensare come i "peccati", ossia ciò che è considerato cattivo, si identificano sempre con una qualche violazione sociale, ad esempio la lussuria mina la stabilità dell’unità basilare della società cristiana, cioè della famiglia, e per questo inculcando nella gente che la lussuria è "peccato" si opera un vero e proprio controllo sociale. E’ su questo mondo di finzioni e di errori di base che nasce il mondo morale attraverso il quale la società impone le sue esigenze che poi ,attraverso l’abitudine e l’eredità vengono interiorizzate come imperativi categorici.   La prima parte dello Zarathustra dunque è centrata sulla necessità di demolire questo mondo fatto di errori e la morte di Dio è il primo evento necessario per la costruzione di un nuovo mondo:

Ah fratelli, questo dio che creai era opera e follia umana, come tutti gli dei! Uomo era, e solo un povero frammento di uomo e di io: dalla mia cenere e dalla mia vampa venne a me, questo fantasma: E in verità non mi venne dall’aldilà! Ma che avvenne fratelli? Superai me stesso, me stesso sofferente, portai la mia cenere al monte, trovai per me una fiamma più limpida. Ed ecco! Il fantasma si allontanò da me! ...Un nuovo orgoglio mi insegnò il mio io, e io lo insegno agli uomini: non nascondere più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portala libera e scoperta, una testa terrena che crea un senso alla terra....Malati e moribondi erano quelli che disprezzavano corpo e terra e inventarono il cielo e le redentrici gocce di sangue (Zarathustra, Dei transmondani ).

Ma assieme a Dio occorre anche distruggere tutto ciò che Dio ha significato nella storia dell’uomo, ossia i vari aspetti della ratio socratica: morale, metafisica, religione, arte, ma anche ad esempio la garanzia e la sanzione soprannaturale di ogni autorità e di ogni ordine che si vuole stabile:

Stato si chiama il più freddo di tutti i freddi mostri. Ed è freddo anche nel suo mentire e dalla sua bocca striscia questa menzogna: "Io, io Stato sono il popolo". E’ una menzogna.

..."Sulla terra non c’è nulla di più grande di me: io sono il dito ordinatore di Dio" così strepita la bestia.

...Guardate questi superflui! Rubano per sé le opere degli inventori e i tesori dei saggi: cultura chiamano il loro furto, e tutto diventa per loro malattia e molestia!

Guardate questi superflui! Sono sempre ammalati vomitano la loro bile e la chiamano giornale. S’inghiottono a vicenda e non riescono nemmeno a digerirsi ( Zarathustra, Del nuovo idolo).

L’uomo deve dunque liberarsi da tutte le strutture metafisiche autoritarie - paterne di una logica di dominio. La critica di Nietzsche alla morale diventa anche critica alla metafisica come "prodotto" della morale, in quanto si origina sulla base degli stessi bisogni di sicurezza e in quanto entrambe mettono a disposizione dell’uomo un sapere rassicurante. In realtà metafisica e morale perpetuano l’insicurezza, mascherandola in vari modi. Ad esempio l’uomo borghese - cristiano è legato a strutture conflittuali causate tutte da una logica di dominio: anche la giustizia che predica di dare a ciascuno il suo, la carità, la generosità, sono modo di prevaricare, di mostrarsi superiori:

Distruttore della morale mi chiamano i buoni e i giusti: la mia storia è immorale. Se avete un nemico, non ripagategli il male col bene: poiché farebbe vergogna. Dimostrate bensì che anche lui vi ha fatto qualcosa di bene. Ed è meglio che colpiate con l’ira piuttosto che con la vergogna! E quando vi si maledice, non mi piace che vogliate benedire. Meglio che malediciate un po’ anche voi ( Z. Del morso della vipera).

.....similmente occorre liberarsi delle istituzioni:

Questo sia il senso e la verità del tuo matrimonio. Ma ciò che i troppi chiamano matrimonio, questi superflui, ah, come lo chiamo io? Ah questa povertà di anima in due! Ah questo sudiciume in due! Ah, questo misero piacere in due! Matrimonio lo chiamano loro tutto questo; e dicono che i loro matrimoni sono sanciti in cielo. Ebbene io non amo questo cielo dei superflui! No, io non li amo questi animali impigliati nella rete celeste! Lungi da me il dio che si accosta zoppicando a benedire ciò che egli non ha unito! (Zarathustra, Del figlio e del matrimonio).

Ma la più grande liberazione deve riguardare l’idea cristiana della morte, idea strutturata secondo il modello cristiano - borghese di dominio. La paura della morte è la paura della sanzione finale dell’insensatezza dell’esistenza:

Molti muoiono troppo tardi, e alcuni muoiono troppo presto. Suona ancora strano l’insegnamento: "muori al momento giusto!". Muori al momento giusto: questo insegna Zarathustra. In verità, chi non vive al momento giusto, come potrebbe morire al momento giusto? Bisognerebbe che non fosse mai nato! Questo consiglio ai superflui.

Questa pagina richiede una accurata analisi, in quanto è lecito ipotizzare che stia in essa la vera chiave interpretativa del superamento della morale e della metafisica iniziato da Nietzsche e mai portato a termine. Il superamento della morale e della metafisica non si è ancora compiuto perché in definitiva non si è mai arrivati al superamento della paura della morte e nemmeno Nietzsche, con la sua teoria dell’eterno ritorno, riesce concretamente a trovare la chiave di tale superamento. "Muori al momento giusto", questa è la vera via del superamento, via appena abbozzata da Nietzsche ma mai approfondita al punto tale da dare un senso rassicurante ma non metafisico alla morte. Heidegger riprende il tema per il verso giusto quando afferma che "occorre trasformare la morte in una possibilità esistenziale, cioè in un elemento che entri nella progettualità dell’essere", ma poi si perde in trattazioni squisitamente filosofiche, troppo lontane dalla concretezza dell’esistenza, e del resto Heidegger non possiede l’affascinante dialettica di Nietzsche ! Allora l’uomo continua ad affidare alla morale e alla metafisica la soluzione dei suoi mali, senza peraltro riuscire a trovare in questo piena accettazione della idea della morte. Ma ciò che spaventa l’uomo non è certo la morte in sé, quanto il dolore fisico che da questa deriva. E’ allora tanto strana una società che alla religione sostituisce la progettualità della morte con lo scopo di evitare il dolore? E’ tanto strana una società che sa vedere l’essere umano come una entità biologica simile a quella di tutti gli altri animali, con i quali condivide una straordinaria affinità organica? O gli uomini fino alla fine della loro esistenza sono condannati a vivere preda del loro assurdo antropocentrismo che prevede la vita dopo la morte per loro, ma non per il loro cane? Eppure questa è l’unica soluzione possibile e non sarà difficile per un bambino che nasce in questa società adattarvisi perfettamente: fin da piccolo vedrebbe parenti e amici discutere sulla sistemazione dei propri beni e sulla scelta della data della loro morte e tutto sembrerà naturale.  Certamente tutto questo implica una radicale trasformazione dell’uomo, una "redenzione", come la chiama Nietzsche. La seconda parte dello Zarathustra affronta infatti il problema della redenzione.  Il paragrafo intitolato appunto "Della redenzione" inizia con una situazione di intonazione evangelica: degli uomini storpi si affollano intorno a Zarathustra e chiedono di essere aiutati.  Questa scena ricorda Gesù che in più occasioni si avvicina ai malati che vogliono essere guariti, in particolare ricorda l’episodio del cieco in cui il problema, prima di essere quello della guarigione, è quello del "perché" della sua infermità. Certamente Nietzsche vuole alludere alla inespressa domanda se il cieco sia tale per colpe proprie o dei suoi antenati, infatti lo sviluppo di questo discorso porta a scoprire lo spirito di vendetta che, in tutte le situazioni, porta alla ricerca del responsabile di situazioni non volute. I richiami al vangelo dunque non sono affatto occasionali, ma servono a portare a dire che l’infermità è l’emblema di ciò di cui non riusciamo a dare un senso ma che ci si impone come un fatto: dolore, imperfezione, malattia, sofferenza, non possono essere inquadrati in una interpretazione globale convincente e perciò occorre liberarsi dallo spirito di vendetta, dalla rivolta impotente contro il passato per dare una unità di senso tra essere e significato. L’infermità è solo un aspetto di un problema ben più grande, che è quello del problema della "deformità" come carattere generale dell’uomo della nostra civiltà: l’uomo moderno è deforme perché non equilibrato, infatti il suo essere, la sua esistenza, i suoi istinti, si pongono in un modo e tale modo è in contraddizione col significato che si dà di questo essere e di questa esistenza, significato imposto da regole morali innaturali.

Quando io uscii dalla mia solitudine e percorsi per la prima volta questo ponte non credevo ai miei occhi, e guardavo e guardavo,, e alla fine dissi: "Questo è un orecchio! Un orecchio grande come un uomo!" Guardai meglio: e in realtà sotto l’orecchio si muoveva ancora qualcosa, piccolo misero e malcilento da far pietà. In verità l’enorme orecchio posava su esilissimo gambo, ma il gambo era un uomo! Chi si fosse messo una lente davanti all’occhio avrebbe potuto riconoscere anche un visetto invidioso e che sul gambo penzolava anche un’animuccia enfiata. Ma il popolo mi disse che il grande orecchio non era soltanto un uomo, bensì un grande uomo, un genio. Ma io non credetti mai al popolo quando parlava di grandi uomini, e continuai a credere che si trattasse di un disgraziato alla rovescia, che aveva troppo poco di tutto e troppo di una cosa sola (Zarathustra, Della redenzione).

Ma a loro volta le regole morali derivano da una logica di "dominio" che nel mondo ha sempre creato supremazie e subordinazioni. Qui vi è un forte richiamo alle teorie di Marx che Nietzsche non condivide in quanto portano l’uomo a non essere in grado di gestire il proprio destino, ma vi è anche un forte richiamo alla società cristiano - borghese occidentale che genera una divisione del lavoro producendo appunto ancora una volta quelle supremazie e quelle subordinazioni tipici della logica di dominio. Ciò che rende difficoltoso il processo di unificazione di senso tra essere e significato è dunque alla fine l’esistenza di rapporti di dominio perpetrati dalla forma in cui viene concepito il passato, ossia come pura dimensione temporale del "già stato". E allora ai nostri occhi appare una umanità passata che non ha saputo rovesciare il peso del "così fu" e così siamo portati a sentire questo problema come insuperabile. Il passato assume così una configurazione autoritaria e la storia così concepita diventa una costruzione "edipica" del tempo. Il passato, la storia, è un susseguirsi dello stabilirsi di supremazie e soggezioni entro le quali l’uomo si viene via via sempre più deformando. E’ naturale che lo spirito di vendetta sia la reazione legittima della volontà contro l’imporsi del "già stato" come ciò che non si può modificare né ridurre in proprio potere.

Ecco, questa è la spelonca della tarantola! Vuoi proprio vederla? Qui è sospesa la sua tela: toccala, che tremi. Eccola venire di buona voglia: benvenuta, tarantola! Nero hai sul dorso il tuo triangolo e contrassegno, e so anche quel che hai nell’anima. Vendetta hai nell’anima: dove mordi cresce una crosta nera; con la vendetta il tuo veleno fa turbinare l’anima! Così parlo a voi con una similitudine, voi che fate turbinare le anime, voi predicatori dell’uguaglianza! Tarantole siete per me e nascostamente vendicativi! Ma io voglio portare alla luce i vostri nascondigli, perciò vi rido in faccia il mio riso dell’altitudine. Perciò do strappi alla vostra tela, perché la vostra rabbia vi attiri fuori dalla vostra spelonca di menzogne, e la vostra vendetta salti fuori dietro la vostra parola "giustizia". Infatti che l’uomo sia redento dalla vendetta è per me il ponte verso la più alta speranza e un arcobaleno dopo lunghi temporali. (Zarathustra II "Delle tarantole")

La sostanza del passato dell’umanità dunque si può ricondurre tutta alla lotta contro il dominio che favorisce lo spirito di vendetta, lotta che, non trovando possibilità di vittoria, assume forme deviate per trovare rassicurazioni e compensazioni ed è in questo contesto che trovano posto tutti i vari aspetti della metafisica, dalla morale alla filosofia, dalla religione e all’arte. Dunque la ricostruzione della storia della metafisica che Nietzsche fa, consiste in questa sua rigorosa riduzione ad un unico principio motore che è appunto l’istinto di vendetta e cioè alla struttura di dominio e di divisione tra potenti ed oppressi come centro di tutta la storia dell’umanità. La riappropriazione di sé implica innanzi tutto il liberarsi dai simboli prestabiliti. Attività simbolica è tutta l’attività con cui l’uomo si impadronisce delle cose e plasma il mondo secondo la propria ragione e la propria immagine, dunque liberarsi dai simboli equivale a sottrarsi ad ogni autorità, togliendo la trascendenza a punti di riferimento fissi e stabili, primo tra tutti va modificato il modo di concepire il passato come "già stato", la metafisica e la morale. Il nuovo modo di essere dell’uomo nei confronti del simbolo significa nuovo modo di essere dell’uomo nei confronti della realtà. Si tratta di abbandonare l’uso di simboli mascheranti e lasciare libero sfogo ai simboli dell’arte. Per un periodo della sua vita dunque Nietzsche sogna una rigenerazione estetica dell’umanità operata dall’arte, ed è per questo che nel periodo delle opere giovanili adora l’arte wagneriana (La nascita della tragedia). Però ben presto giunge alla conclusione che non è nemmeno nell’arte che si riesce a realizzare una liberazione dal simbolico, perché nell’arte il simbolo è solo ancora "possibilità" perché ancora troppo subordinato al mondo reale, sfigurato dalle esigenze della produzione e quindi non è esente dalla logica di insicurezza e di dominio. L’arte è sempre stata nella sua essenza, aspirazione del simbolo alla propria libertà, ma tale aspirazione non ha mai potuto essere soddisfatta perché il simbolo è ancora troppo legato al mondo reale (Umano, troppo umano). Vedremo che solo con l’annunciarsi dell’eterno ritorno l’arte che abbiamo conosciuto nella società della ratio è destinata a tramontare, perché diventa arte, cioè libera produzione simbolica, tutta l’attività dell’uomo. In questa nuova società il simbolo non nasce più dalla insicurezza originaria o dalla sublimazione connessa con la repressione sociale degli impulsi, sarà così possibile produrre simboli per pura esuberanza interiore derivante dalla trasformazione di ogni fatto in interpretazione. Nella seconda parte dello Zarathustra vediamo anche evolversi la nozione di volontà di potenza, che è strettamente collegata alla liberazione dal simbolico. Già nel discorso "Della redenzione" si parla di volontà di redenzione, volontà di liberarsi dal peso del passato, ma è nel discorso "Della vittoria su sé stessi" che si interpreta la volontà di verità come volontà di potenza.

Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato volontà di potenza; e anche nella volontà di colui che serve ho trovato la volontà di essere padrone (Della vittoria su sé stessi).

La vita è volontà di potenza in quanto è il continuo necessario superamento di se stessa, e ciò può realizzarsi solo con la trasformazione completa dei fatti in interpretazioni. Il mondo nel quale ogni evento è interpretazione è di fatto un mondo costituito esclusivamente di simboli e di segni. Interpretare vuol dire non prendere per buono ciò che appare, ma volere in qualche modo andare oltre. Qui appare tutta la modernità del pensiero di Nietzsche, che riesce così a prevedere il senso dei mali della nostra società contemporanea, che crede di arrivare alla soluzione dei propri problemi attraverso l’incondizionata fiducia nel sapere scientifico e tecnologico. In effetti attualmente assistiamo ad uno sviluppo sociale chiaramente reazionario causato proprio dalla massificazione delle conoscenze tecniche e scientifiche in una società che non ha ancora superato il problema della metafisica e della trascendenza. A questo è dovuto l’imponente fenomeno di rinascita di superstizioni, rituali magici e religiosi, credenze esoteriche e chi più ne ha più ne metta. A questo è dovuto anche la diffidenza verso la medicina ufficiale e il ricorso sempre più frequente a guaritori e a medicine alternative. La terza parte dello Zarathustra parla dell’eterno ritorno, teoria che ha lo scopo di arrivare a pensare ad un uomo non più metafisico, che arrivi cioè a dare unità di senso a "essere" e "significato".Esso si articola in tre momenti fondamentali: rovesciamento della struttura rigida del tempo; liberazione del passato come dominio; liberazione dal simbolico. Si parla per la prima volta di eterno ritorno nel quarto libro della Gaia scienza ma è dopo il 1881 che questo pensiero si impadronisce completamente del pensiero e dell’opera di Nietzsche. Parte fondamentale a questo proposito è il discorso iniziale della terza parte dello Zarathustra "La visione e l’enigma" che ci porta al pensiero centrale di tutta l’opera. Zarathustra nella sua prima visione vede una porta carraia sotto la quale si incontrano due sentieri: sono le dimensione del passato e del futuro :

Guarda questa porta carraia, nano: essa ha due volti. Due sentieri convergono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine.....si contraddicono a vicenda questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro e qui, a questa porta carraia essi convergono. In alto sta scritto il nome della porta :"attimo". Ma chi ne percorresse uno dei due - sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu nano che si contraddicano in eterno? "Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo"

Il nano affermando che tutto è circolarità vuole dire che tutte le cose "dritte", ossia che hanno una direzione, bello o brutto, buono o cattivo, mentono, cioè si rivelano in tutta la loro insensatezza. Passato e futuro si saldano in un circolo e per questo può essere che le cose che devono ancora accadere possano in realtà già essere accadute.

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: "Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un Dio e mai intesi cosa più divina"? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: "Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?" graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun’altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?" (La gaia scienza - 341).

No si tratta di agire in modo da volere che una certa azione si ripeta eternamente in senso Kantiano, ma si può volere che tutto si ripeta solo se l’uomo arriva alla felicità grazie alla piena coincidenza di senso ed esistenza vissuta, senza la tensione di vivere il tempo in modo angoscioso per il compimento di qualche cosa a venire, ossia della trascendenza. Ciò implica l’esistenza di un uomo nuovo che neghi la trascendenza e la metafisica tradizionale e che si liberi dalla tradizione platonico - cristiana che ha una struttura del tempo lineare e che si riappropri del passato guardandolo libero dalla trascendenza. La temporalità lineare, quella che si articola in presente, passato e futuro, ciascuno irripetibile, implica che ogni momento ha senso solo in funzione degli altri: da qui il sottile gioco che in ogni società, e prima ancora in ogni famiglia, si instaura il "già stato" che pretende di imporre i propri modelli di esistenza in una struttura sociale che si mantiene e si sviluppa solo con la violenza mediante cui il passato assoggetta i nuovi membri di essa secondo una logica di dominio. Si verifica così una rigida distribuzione dei ruoli che porta prima o poi al risentimento e alla ribellione dei sottomessi verso i dominatori. Ciò che l’eterno ritorno vuole dunque, non è la negazione del tempo in sé, inteso quantitativamente, e nemmeno vuole considerare a ritroso lo scorrere del tempo, ma semplicemente implica che quello che è già stato e già voluto da altri, non debba imporsi al singolo come limitazione della propria creatività. La morale è dunque il prodotto di questo risentimento, ossia del risentimento di coloro che soccombono alla logica di dominio dei più forti. Tale meccanismo, originatosi inizialmente dalla lotta tra la casta cavalleresco - aristocratica e quella sacerdotale, ha finito col diventare nel tempo una miriade di norme archetipiche incise a fuoco fin nei più intimi recessi psichici dell’umanità.

Si sarà già intuito che i criteri di valutazione dei sacerdoti possono facilmente separarsi da quelli cavalleresco - aristocratici, fino a diventare il loro opposto. I giudizi di valore cavalleresco - aristocratici presuppongono una prestanza fisica, una salute florida, ricca, debordante e insieme tutto ciò che ne condiziona il mantenimento, guerra, avventura, caccia, danza, tornei, insomma tutto quello che comporta una vita attiva, forte, libera, serena. I criteri di valutazione sacerdotali hanno altri presupposti. ..C’è qualcosa di malsano in queste aristocrazie sacerdotali e nelle abitudini che le dominano, aliene all’azione, parte sentimentalmente esplosive e parte malinconicamente assopite, qualcosa la cui conseguenza pare essere quella nevrastenia e quella cagionevolezza intestinale che sembra inevitabilmente endemica tra i sacerdoti di ogni tempo... I sacerdoti sono, come è noto, i nemici più crudeli. E per quale ragione poi? Perché sono i più impotenti. L’impotenza genera in loro un odio che arriva a diventare mostruoso e sinistro, spiritualissimo e tossico al massimo grado. Nella storia universale coloro che più degli altri sono stati capaci di odio, e di genialità nell’odio, sono sempre stati i preti - a paragone della genialità della vendetta sacerdotale, ogni altra dote intellettuale può appena essere presa in considerazione. ..gli Ebrei, quel popolo sacerdotale che non ritenne di aver ricevuto la dovuta soddisfazione dai propri nemici e sopraffattori, se non dopo averne radicalmente ribaltato i valori, cioè solo grazie ad un atto della più spirituale vendetta. Sono stati gli Ebrei che hanno osato ribaltare e mantenere, stringendo i denti dell’odio più abissale (l’odio dell’impotenza), l’equazione aristocratica di valore buono = aristocratico in "i miserabili solo sono i buoni, i poveri, gli impotenti, i sofferenti, gli indigenti, i malati, i brutti sono gli unici ad essere pii, beati in Dio, solo a loro è concessa la beatitudine - là dove voi, al contrario - voi, nobili e potenti, voi sarete per l’eternità i malvagi, i crudeli, i corrotti, gli insaziabili, gli empi, e sarete anche per l’eternità infelici, dannati e maledetti" (Genealogia della morale, 8)

Il Dio originario degli Ebrei è la naturale espressione della potenza del popolo ebraico ed è pertanto concepito antropomorficamente come padre e come re, potente e vendicativo. Ma nel tempo questa potenza viene meno e a man mano che Dio appare sempre meno reale, anche il concetto di Dio subisce un processo di moralizzazione e di purificazione: viene introdotta l’idea di peccato, colpa, aldilà che trasforma la sua decadenza, la sua morte sulla croce, in un nuovo dio, il Dio dei cristiani. In questo modo la sconfitta storica di Gesù, la sua morte sulla croce, è spacciata per una vittoria e il progetto storico del cristianesimo è una gigantesca mistificazione per cui i più nichilisti, i più impotenti diventano i padroni del mondo in nome di una entità inesistente che loro stessi gestiscono e amministrano.  Ciò avviene inculcando agli uomini un perverso sistema di divieti, di giudizi e di scale di valori assolutamente arbitrari con lo scopo di spegnere i essi tutte le reattività, indebolirlo, renderlo simile a loro reprimendo le pulsioni naturali. L’uomo, spinto a soffocare i propri impulsi e a vergognarsene, trova il suo sfogo nel mondo interiore dove trovano spazio angoscia e inquietudine. L’uomo, che crede di essere arrivato sul gradino più alto dell’evoluzione, è destinato a diventare sempre più malato, come sempre più malata è la sua produzione artistica e letteraria, piena com’è di lacrimevoli retoriche su pentimenti, rimorsi, problemi di coscienza e problemi esistenziali. La morale ha riempito l’uomo di mostri interiori e lo ha trasformato in una povera bestia acculturata. Chiunque pensi che il disprezzo di Nietzsche per la morale, per il cristianesimo, per la cultura, sia un elogio alla violenza, dimostra di non avere capito nulla. Nietzsche non è il filosofo del potere, ma il filosofo del divenire, ed è per questo che accanto al cristianesimo combatte il socialismo, l’anarchismo, il femminismo e il concetto stesso di ideologia. Ogni ideologia nasce da uno stato di malessere e di "risentimento", al pari del cristianesimo. L’idea ebraica e cristiana del libro che cambia la vita è ereditata dal socialismo in cui gli intellettuali prendono il posto dei preti ed è ereditata dal femminismo in cui le donne prendono il posto dei preti e degli intellettuali e così via. Le ideologie sono teorie sempre confutabili che hanno in comune il fatto di proporre libri programmatici, precetti, ideali nella cui genericità e universalità nessuno si riconosce. Queste considerazioni permettono a Nietzsche di interpretare il processo storico e filosofico dell’età moderna in modo profindamente originale. Il movimento che da Lutero e dalla Riforma protestante porta a Leibniz, a Kant, alla filosofia tedesca, assume qui un significato regressivo: la rivolta del mondo tedesco contro Roma è la rivincita della teologia e della morale nei confronti di quel sano scetticismo veramente progressivo e creativo del Rinascimenti italiano. L’importanza fondamentale dell’ Italia e della sua cultura consiste nel fatto che in questo paese si è tentato di uccidere Dio prima che in qualsiasi altro luogo, proprio nel Rinascimento, quando si è riconosciuto il carattere temporale e politico dei condizionamenti metafisici.

L’umanità non rappresenta uno sviluppo verso il migliore, o il più forte o il superiore, così come oggi si crede. Il "progresso" non è altro che una idea moderna, vale a dire una idea sbagliata. L’europeo di oggi rimane, nel suo valore, profondamente al di sotto dell’europeo del Rinascimento; sviluppo non è assolutamente, per chissà quale necessità, elevazione, crescita, rafforzamento (L’Anticristo).

Delle ideologie Nietzsche critica ogni struttura di pensiero che pretende di inquadrare la realtà in schemi custodi di presunte verità. E’ questo che lo fa sentire un "destino" nella storia della conoscenza, responsabile di portare l’uomo a capire l’affermazione dionisiaca del divenire, farlo uscire dal dominio culturale dei più forti, superare la fiducia di un progresso automatico che ricorda l’ingenuità della provvidenza manzoniana. E’ in questa prospettiva di sviluppo che va collocato il suo pensiero, il suo linguaggio "forte" e anche il suo attacco alla cultura:

In qualche angolo remoto dell’universo che fiammeggia e si estende in infiniti sistemi solari, c’era una volta un corpo celeste sul quale alcuni animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto puù tracotante e menzognero della "storia universale": e tuttavia non si trattò che di un minuto. Dopo pochi sussulti della natura, quel corpo celeste si irrigidì, e gli animali intelligenti dovettero morire (Verità e menzogna in senso extramorale).

E in questa prospettiva va collocato anche il suo attacco ai tedeschi dei quali l’idealismo e la mistificazione come strumenti di consenso e di potere del nuovo Reich. Sottovalutare la portata di questa polemica, alla luce dell’esperienza storica successiva, non è possibile.