(Suvvia,
ridi! - Opera in MI minore del 1862)
Composizione
in mi minore, esala fin dalle prime battute un pathos languido, quasi a
delineare un orizzonte di lacustre e rassegnata calma. Profondi bassi in ottave
sorreggono, con compiaciuta solennità, una melodia esile e incerta nel suo
sussurrare repressi singhiozzi. Un secondo lungo respiro, senza tecnicismi, con
un equilibrio trovato quasi per caso che annulla l'invadente figura del
pianista... e la pagina prosegue uniforme e leggera.
Un incrocio di mani costringe ad un movimento indesiderato ed inopportuno.
Un indistinto sentimento di disagio assale e prende forma in un disorientamento
dovuto alle aspettative e all'attesa di uno spartito brutale, infuocato,
critico, insofferente, intollerante. Invece sorge sotto le mani una delicata
figura dall'esile profilo e dai gesti delicati. Possibile che sia questo il
volto di Zarathustra? Esiste un
secondo Nietzsche oppure è questa l'anima profonda e delicata nascosta sotto un
velo di aggressività?
Ma
attenzione, l'emozione del particolare, del frammento, avvolge... ogni più
piccolo accordo, più si suona, pare come non mai evocare il suo creatore:
egli parla ai suoi familiari, ai suoi amici, a chi conosce il perché di questo
pezzo.