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Finalmente (dopo qualche anno) riesco a mettere nel sito il mio articolo sulla "Radio Caterina" pubblicato nella rivista "La Scala Parlante" A.I.R.E. numero 6 del 2004 e facente parte di un più ampio scritto riguardante le radio di emergenza
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La
radio “Caterina”
nasce nel campo di prigionia di Sandbostel nella
Germania nord-occidentale nel 1944, ad opera di
alcuni ufficiali dell’ esercito italiano ivi
detenuti dopo i fatti dell’ 8 settembre 1943. Gran parte del gruppo di
internati si mobilitò alla ricerca di idee e
materiali utili alla costruzione di vari
componenti, in particolare il capitano Aldo
Angiolillo e il tenente Oliviero Olivero idearono
il circuito e costruirono i componenti necessari
al funzionamento della ricevente, basata su una
valvola (pentodo) di tipo 1Q5, fatta entrare di
nascosto all’ interno della borraccia del
tenente Martignago. Per
costruire le bobine venne usato il filo di rame
tolto dalla dinamo della bicicletta del postino
tedesco (soprannominato Margarina). I condensatori
vennero fabbricati usando la stagnola dei
pacchetti di sigarette e le cartine stesse erano
il dielettrico isolante; sciogliendo la cera delle
candele, si cercava di migliorare il dielettrico
dei condensatori stessi. Per le resistenze venne usata la
grafite delle matite, ma quel che più stupisce fu
la capacità di alimentare detto apparecchio dato
che una valvola abbisogna almeno di due sorgenti di alimentazione, una a basso
voltaggio per l’ accensione del filamento e una
per l’ alimentazione del circuito (anodica). Per qualche tempo fu possibile
alimentare la radio tramite l’ illuminazione
elettrica delle baracche, due sottilissimi fili
nascosti nelle screpolature del legno, con
all’ estremità due spilli, risalivano fino ai
fili della luce, dove all’ occorrenza venivano
conficcati nei conduttori stessi. Quando
i tedeschi responsabili del campo vennero a
conoscenza dell’esistenza di una radio fecero
togliere l’ illuminazione elettrica dalle
baracche degli italiani e allora divenne
necessario alimentare la “Caterina” con
sorgenti autonome. La
pila per il filamento venne costruita partendo da
un rettangolo di zinco ritagliato dal rivestimento
dei lavatoi, opportunamente sagomato a cilindro.
Diversi furono gli elettroliti sperimentati, dagli
acidi presenti in infermeria e sottratti
inventando le più acute forme di reumatismi e
malesseri vari per farsi ricoverare. Vennero
provati anche degli stracci imbevuti di
ammoniaca ricavata dai pozzi neri. L’ elettrodo
positivo era il cilindretto di carbone di una
vecchia pila esaurita. Con audacia si procedeva
anche alla ricarica della pila stessa, legandola
ad una gamba, sotto alla tonaca del Padre
Cappuccino Luigi Grigoletto, meno sospettabile e
non soggetto a perquisizioni, il quale si recava
poi in infermeria con il pretesto di visitare gli
ammalati. La batteria anodica fu realizzata
alternando monete di rame da 10 centesimi e
dischetti di zinco dello stesso diametro, tra i
quali veniva interposta una garza imbevuta da
liquido dei sottaceti (liquido a composizione
acida) avuti dai prigionieri francesi che erano
assistiti dalla Croce Rossa internazionale e
quindi godevano di un trattamento migliore a
differenza degli italiani. In pratica la pila di
Volta. Come
cuffia d’ ascolto venne usata una scatoletta di
latta il cui fondo era stato opportunamente
sagomato per ottenere una membrana sensibile e
all’ interno vi era collocato un magnete con del
filo avvolto. Il
componente più originale e forse più importante
però era il corpo del tenente Oliviero, che
tenendo in bocca il filo d’ antenna e
avvicinando ed allontanando un piede al pavimento
portava il ricevitore in prossimità
dell’innesco , dove come si sa, i ricevitori in
“reazione” hanno la maggiore sensibilità. L’ascolto
avveniva sempre tra le 21 e le 23 mentre il campo
era senza luce e gli altri prigionieri dormivano e
le notizie venivano lette al mattino successivo da
due ufficiali (Capolozza e Pisani) i quali
passavano poi il “bollettino” ai lager
confinanti dopo averlo tradotto in inglese. Numerose
furono le perquisizioni, in particolare il 27
gennaio del 45, le pareti, i pavimenti i tetti
delle baracche maggiormente sospettate, furono
quasi completamente disfatti da squadre della
“Gestapo” alla ricerca della sfuggente radio,
ma la smontabilità della “Caterina”era una
delle sue principali caratteristiche e così il
variabile diventava un innocuo raschino per
pulire, il contenitore diventava una scatola
portaoggetti, appesa alle brande, l’ auricolare,
una scatoletta portamonete e il gruppo bobine
variometro veniva nascosto in una gavetta sotto
scorze di patate. In
questo modo tutti i tentativi di scoprire Radio
Caterina furono sempre elusi e per
più di 12 mesi questa fu l’ unica voce della
verità e della speranza per centinaia di persone
che oltre a vivere in condizioni precarie, erano
anche all’ oscuro di ciò che accadeva nel
mondo. Ho
cercato di ricostruire il più fedelmente
possibile un a copia statica della radio Caterina, potendomi
basare sull’ osservazione e sulle foto da me
scattate all’ originale, conservata nel museo
dell’ internamento di Padova. Tecnicamente si tratta di un
ricevitore in reazione ad una valvola con circuito
di sintonia a variometro, più un condensatore
variabile realizzato con due spicchi di lamiera di
rame separati da un foglio di carta oleata; l’
armatura mobile sporge per poter essere mossa
(vedi foto). Semplicemente sfilando la spinetta di
legno, sulla sinistra, che serve a far ruotare la
bobina interna, tutto il gruppo viene liberato e
pronto ad essere tolto (a volte strappato) e
nascosto. Ovviamente non ci sono saldature e tutte
le connessioni sono effettuate a filo ritorto. Ho
provato a ricreare la batteria anodica utilizzando
le attuali monetine da 5 centesimi di Euro,
alternando dei dischetti di zinco dello stesso
diametro e interponendo dei dischetti di stoffa
imbevuta di aceto. Con 10 elementi ho ottenuto una
tensione di poco superiore ai 12 volt e qualche
milliampere, permettendomi di accendere 6 led per
qualche minuto (i risultati migliori si ottengono
con l’aceto a 7 gradi di acidità). Deduco che
la tensione ricavata dalla batteria originale
fosse di 20-25 volt, dato che gli elementi erano
20. Se
in futuro dovessi
rintracciare altre notizie o
caratteristiche costruttive, non escludo di
ritornare sull’ argomento. Un
ringraziamento particolare va al direttore del
museo, Don Alberto Celeghin, che mi ha dato la
possibilità di consultare l’archivio del museo
stesso da cui ho potuto trarre notizie
approfondite su questo particolare ricevitore
unico al mondo, eccezion fatta per la radio
“Mimma”, simile alla Caterina, ma con la
possibilità di ricevere anche le Onde Corte e
costruita successivamente nel campo di
Fallingbostel nel nord della Germania quando quasi
tutto il gruppo di Radio Caterina fu ivi spostato. Coloro
che volessero vedere di persona l’ originale
della Radio Caterina, e altri particolari storici
di quel periodo, possono visitare il Museo dell’
Internamento a Padova (Loc. Terranegra) Viale
dell’ Internamento Ignoto, 24. Per
contattare il museo, telefonare al n. 049751986. P.S.
Il
museo è aperto anche la Domenica dalle 9.00 alle
12.00 e dalle 15.00 alle 18.00
Renzo Casagrande |
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