Tonino Rago


Un ricordo di Franco Ciampitti


 

L’istituzione di un premio giornalistico intitolato alla memoria di Franco Ciampitti (1997), poi la bella monografia pubblicata da Giambattista Faralli per l’editore Marinelli (1998), hanno fatto tornare di attualità la figura dell’illustre scrittore isernino, pioniere del giornalismo sportivo e splendido narratore della saga della transumanza. Un personaggio che già in vita, almeno per la mia generazione, appariva avvolto in un alone di leggenda, mista a strane voci su certi suoi poteri, diciamo paranormali, che aleggiavano intorno alla sua figura. Erano voci alimentate, sempre con garbo e simpatia, dagli stessi suoi amici ed estimatori. Alla sua persona è legato il ricordo di una giornata che per me è rimasta indimenticabile. L’episodio risale a una decina di anni fa. Con altri amici avevo in mente di realizzare un giornale, che, fra gli altri obiettivi, si proponesse di raggiungere i molisani emigrati nel mondo. In quel periodo, per iniziativa della Regione Molise, era appunto in programma un convegno sull’emigrazione. La sede era l’Hotel Roxy di Campobasso. L’occasione sembrava favorevole, per incominciare ad allacciare qualche rapporto che ci riuscisse utile per il futuro, e decisi di andare. Erano con me Gino Schioppa, che è ora uno dei più apprezzati collaboratori del Quotidiano, la pagina molisana del Messaggero, e Michele Tuono. Era una domenica.

......

Partimmo la mattina presto con la mia macchina, una 126. All’altezza del bivio di Vinchiaturo ci accorgemmo di aver bucato una gomma. Scendemmo dalla macchina in una vera tempesta di pioggia, tra le imprecazioni di Michele, che, non so perché, se la prese con Gino, addebitandogli strani poteri di influenza sulle condizioni del tempo. Gino replicava con altrettanta veemenza. L’atmosfera si fece presto pesantissima, elettrica, quasi presaga di qualche avvenimento rovinoso. Riuscimmo comunque a rimetterci in moto, e arrivammo a Campobasso a convegno già iniziato. La sala era molto affollata, e piena di confusione. Michele, il più esperto di quel genere d’ambiente, e subito molto a suo agio nell’atmosfera, conosceva quasi tutti e ci indicava: quello è Tizio, quello è Caio; questo ha scritto questo, quello ha scritto quell’altro. Da perfetto profano, io ero molto disorientato. Riconobbi soltanto Giambattista Faralli, monterodunese come noi tre, e il leggendario Giose Rimanelli, cantore scelto dell’emigrazione, che sembrava il mattatore del convegno. Ma c’erano anche Renato Lalli, Alberto Mario Cirese, Sebastiano Martelli. Mentre armeggiavo con le cuffie della traduzione simultanea, sentii un movimento serpeggiare nella sala. L’attenzione di tutti si rivolse verso l’ingresso: entrò un vecchietto curvo, vestito di scuro, con grandi occhiali neri da vista. Sentii i bisbigli della sala ("è arrivato Franco Ciampitti"), accompagnati da una specie di sospiro, che non decifravo, sguardi di intesa, e uno strano frusciare negli stretti sedili ricoperti di velluto.

......

Durante la pausa per l’ora di pranzo andammo a rendere omaggio a Giambattista Faralli, che era un po’ il punto di riferimento culturale per tutta la generazione nata dal Sessanta in avanti. Dovevamo a lui la conoscenza di Franco Ciampitti e Giose Rimanelli. Mentre chiacchieravamo con lui sopraggiunse un altro signore, che ora non ricordo, il quale ci disse che aveva portato con sé in macchina Franco Ciampitti, da Isernia, ma per il ritorno non poteva riaccompagnarlo. Giambattista trovò subito la soluzione: "Ciampitti lo portate voi". Di colpo pensammo alla burrascosa mattinata che avevamo vissuto, ai presagi che ad un certo punto ci avevano attraversato, e, con una certa preoccupazione, al viaggio di ritorno. Ma naturalmente acconsentimmo, divisi tra il piacere di una simile illustre compagnia e una certa ansia. Quando ci congedammo da Giambattista, e uscimmo per andare a pranzo, già trovammo una sorpresa. La macchina non voleva partire assolutamente. Dovemmo rimandare a dopo pranzo ogni altro tentativo. Mangiammo malissimo in una vecchia trattoria del centro storico, a un prezzo incredibile. Poi tornammo alla macchina, che sembrava ancora meno intenzionata ad avviarsi, nonostante i riti apotropaici, gli esorcismi, le imprecazioni che presero presto a risuonare nella città deserta e silenziosa. Ma non ci fu modo di farla avviare. La portammo a forza di spinte su per le diverse salite di cui Campobasso è generosa, per poi provare a lanciarci in discesa, ma proprio non c’era verso. Un vigile assisteva con grande interesse alle nostre evoluzioni, intervallate da liti furibonde; poi si decise a farci usare i suoi cavetti per ricaricare le batterie. Alla fine ce la facemmo.

......

Quando tornammo al Roxy il convegno era alle sue ultime battute. L’atmosfera era di smobilitazione. Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Morello (che è stato recentemente per breve periodo presidente della Rai), ospite del convegno, si era assunto l’incarico di riaccompagnare a Roma due o tre fra le più avvenenti hostess della manifestazione. A noi toccava riportare a casa Franco Ciampitti. Ci domandammo se non avesse trovato qualche altra soluzione, magari più confacente alla sua fama, che non la mia 126, quel giorno particolarmente malsicura. Michele si incaricò di cercare l’ospite che ci era stato affidato, e dopo qualche minuto di incertezza lo ricondusse fra di noi. Nel frattempo io avevo recuperato la macchina, preoccupatissimo di tenerla in moto. Ripartimmo, alla fine. Ciampitti si sistemò naturalmente sul sedile davanti. Gli chiesi come si trovasse, scusandomi per la precarietà della sistemazione. Fu molto gentile: la sua voce di straordinaria robustezza, il tono signorile, molto modesto, ebbero il potere di sgelarci. Capii che anche i miei amici provavano piacere nello stargli accanto, in quella piccola macchina che attraversava la bufera. Aveva ripreso a piovere forte. Ma sembrava che la presenza di Ciampitti avesse messo per noi le cose in modo propizio. Mi accorsi di guidare lentamente, tra i gorghi d’acqua che vedevo schiumare, davanti alla mia macchina, attraversati dalla luce gialla dei fanali, quasi volessi prolungare i momenti trascorsi in sua compagnia, e ascoltare meglio ogni sua parola. E intanto cercavo l’occasione per farlo parlare dell’argomento cui aveva dedicato gran parte, o forse solo la più famosa, della sua opera magistrale: i tratturi. Lui accettò l’invito con grande dolcezza, e la sua voce cambiò tono. Lui stesso parve trasfigurarsi. Non ricordo con precisione le cose che ci raccontò: quali storie, quali personaggi evocasse in quell’ora di viaggio. Ricordo soltanto il nostro rimanere ammutoliti, rapiti, dalle ondate di poesia che emanavano dalla sua voce massiccia, che gli anni non avevano sfiorato. Ci trovammo, vagamente sbalorditi, davanti al portone di casa sua, nella vecchia Isernia, e fu come un improvviso risveglio, un rientrare di colpo nella realtà piatta e banale.

......

Riuscimmo, poi, di lì a un anno, a realizzare il giornale che avevamo progettato. Quando Ciampitti morì, mi pare alla fine del 1988, non riuscimmo a ricordarlo per tempo, se non aggiungendo all’ultimo momento un trafiletto nella pagina letteraria. Ma per il numero successivo, grazie a Giambattista Faralli che aveva in custodia parecchi materiali inediti di Ciampitti, riuscimmo ad avere un dattiloscritto di un suo stupendo racconto, La vigna, che pubblicammo non so se con più piacere o commozione. L’idea fu molto apprezzata da Giuseppe Caroselli, altra nobile figura, quando, pochi anni dopo, pubblicò una sua bellissima monografia su Franco Ciampitti. Ma le cose non furono per niente facili. La mattina in cui si trattò di comporre il racconto in tipografia (il giornale si stampava a Roma) le macchine si bloccarono improvvisamente e senza alcuna apparente spiegazione, allo stesso modo della mia 126. Michele, che curava per il giornale quella parte del lavoro, poi mi raccontò che dovette lasciare le cose come stavano e rimandare all’indomani. Recatosi nell’altro posto in cui lavorava a quell’epoca (un archivio privato dalle parti del Pantheon), si trovò di fronte allo stesso inconveniente: il computer che avevano in dotazione era inesorabilmente bloccato, e non ci fu verso di smuoverlo per tutta la giornata. Ciampitti, e la sua fama, naturalmente non c’entravano. Anche perché, assicurano fior di esperti, certi poteri, se mai esistessero, svanirebbero con la morte. Era, probabilmente, solo un modo di farsi ricordare, così come ora noi lo ricordiamo, con grande rispetto, grande stima, e grande commozione.

 


 


 

 

 

Franco Ciampitti matricola all’Università di Napoli, da G. Caroselli, Franco Ciampitti. La memoria, la pagina, Edizioni Enne, Campobasso 1990.